1 Distintivi con decorazione e Dame Patronesse 2


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o con i r

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omani ter

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orizzati



orizzati

dagli elefanti

dagli elefanti


IL NASTRO AZZURRO

33

(1) A Canne trovarono la morte:



– il console Paolo Emilio;

– 2 consoli dell'anno precedente;

– 2 questori;

– 21 tribuni;

– 80 senatori;

– 25.000 soldati e oltre 10.000 prigionieri (passati successivamente a fil di spada).

(2) Dionigi (o Dionisio), retore e storico greco del I° secolo a. C., visse per oltre vent'anni a Roma dove morì nell'anno 7 a. C. Scrisse

la "Romaikè Archeilogia" dove riporta in venti libri la storia dell'Urbe dalle origini all'inizio della prima guerra punica (264 a C.).

(3) Publio Decio Mure cercò volutamente la morte sacrificandosi, come avevano già fatto in precedenza sia il padre che il nonno,

secondo il rito della Devotio. In casi di estrema gravità il comandante romano, per impetrare la benevolenza degli Dei e far arri-

dere la vittoria ai propri soldati, votavat (consegnava) se stesso e l'esercito nemico agli Dei Mani e alla Terra. Il comandante,

indossata la toga praetexta, un cui lembo doveva coprire il capo (capite velato), saliva su una cavalcatura impugnando un'arma

da lancio (telum) e, tenendo con una mano il manto, pronunciava la rituale formula della Devotio, quindi, annodata la toga

praetexta al cintus gabimus (in vita), si scagliava contro le file nemiche trovandovi la morte.

Nel caso di Publio Decio la formula rituale fu suggerita dal Pontefice Marco Valerio: “Oh Giove, Marte, Padre Quirino, Bellona,



Lari, Divi Novensili, Dei Indigeti, Dei che avete potestà su noi e sui nemici, Dei Mani vi prego, vi supplico, vi chiedo e vi ripromet-

to la grazia che voi accordiate propizie al popolo romano dei Quiriti, potenza e vittoria e rechi terrore, spavento e morte ai nemi-

ci del popolo romano dei Quiriti. Cosi come ho espressamente dichiarato, io immolo, insieme con me, agli Dei Mani e alla Terra

per la Repubblica del Popolo Romano dei Quiriti, per l'Esercito, per le Legioni, per le Milizie ausiliarie del Popolo Romano dei

Quiriti, le Legioni e le milizie ausiliarie dei nemici."

(4) Plutarco, scrittore greco, nato in Beozia (Cheronea, tra il 120-127 a. C.) si inserì perfettamente nel mondo romano e fu uno degli

scrittori più prolifici dell'antichità. Di lui ci sono pervenuti non meno di 260 "titoli" distinti in due grandi sezioni: "Opere mora-

li" (Ethikè) e "Vite" (Bioi).

(5) Mommsen Theodor (Carding, 1817 - Schleswig Charlottenburg - Berlino, 1903). Storico tedesco fra i più grandi, diede alle stam-

pe nel 1856, dopo tre anni di duro lavoro, la monumentale "Romiscbe gesschicbte" (Storia di Roma antica) che ebbe un enor-

me successo, ma suscitò anche acerbe critiche.

(6) Scipione (il futuro "l'Africano") aveva affrontato Annibale già tre volte in passato:

nel 218 a. C. quando, appena diciassettenne. aveva salvato Publio Cornelio Scipione (padre e figlio avevano lo stesso identi-



co nome) ferito nelle battaglia del Ticino;

nel 216 a. C. quando, a 19 anni, in qualità di tribuno aveva organizzato e guidato la fuga dei romani, assediati nel campo di



Canne, contro il parere di altri 10.000 soldati che si apposero al piano di fuga; preferirono restare e, successivamente, furo-

no fatti prigionieri da Annibale;

nel 205 a. C. quando a 31 anni con scarse truppe e per giunta quelle più spregiate dal Senato (in quanto reduci dalla scon-



fitta di Canne) impegnò severamente Annibale in Calabria.

(7) Il contenuto di questo articolo è tratto dalle spiegazioni fatte dall'Autore ai soci della Federazione di Bari, in occasione di una

visita culturale nella Città di Ascoli Satriano (22 aprile 2010).

nemmeno da una freccia fu colpito questo straordina-

rio condottiero, e tanto meno da una spada brandita

da prode guerriero, ma da una tegola..., si, una volga-

re tegola scagliata da una donna, e per giunta vecchia,

che si era rifugiata sul tetto di una casa. Fu "la classica

tegola sulla testa"!

Malgrado questa fine cosi poco gloriosa per un

generale, la fama delle sue straordinarie capacità mili-

tari fu grandissima per tutta l'antichità, insieme a quel-

la ineguagliata di Alessandro Magno. Ne parlavano a

Nagarrara, 70 anni dopo, anche Annibale e Scipione

l'Africano alla vigilia della battaglia di Zama (18 otto-

bre 202 a. C.) che pose fine alla seconda guerra punica

e consacrò Roma prima e unica potenza in tutto il

Mediterraneo.

Annibale si era recato nella tenda del suo avversario

di sempre(6) per chiedere a Scipione un armistizio ono-

revole, ben sapendo che il giorno seguente sarebbe

stato sconfitto irrimediabilmente e avrebbe dovuto

accettare (come poi avvenne) condizioni durissime e

umilianti. Scipione sarebbe stato anche disposto a con-

cedere l'armistizio al grande rivale, ma non poté farlo

per ordine esplicito del senato romano, dove risuonava

martellante il monito di Catone: “Carthago delenda

est! Carthago delenda est!”.

Prima di separarsi i due avversari ebbero un ultimo

scambio di battute: "Chi, secondo te," chiese Scipione

"è stato il più grande generale del passato?"

"Senza dubbio Alessandro Magno!" Rispose pron-

tamente Annibale.



"Sono d'accordo." Assenti Scipione e subito dopo

chiese ancora: "Chi secondo te, è stato il secondo gene-



rale del passato?"

"Senza dubbio Pirro re dell'Epiro." Fu la pronta

risposta di Annibale.



"Sono d'accordo." assenti ancora Scipione.

Poi, mentre Annibale si accingeva ad uscire dalla

tenda, chiese un'ultima volta: "E chi ritieni sia stato il

terzo?"

Annibale guardò negli occhi Scipione e poi rispose

deciso: "Il terzo sono io, ma se domani dovessi batterti

sarò io il primo generale!"

Conosciamo tutti l'esito della battaglia di Zama:

Annibale non riuscì a diventare il primo generale del-

l'antichità; Cartagine dovette accettare un trattato di

pace severissimo e umiliante (premessa della sua defini-

tiva scomparsa): Roma si avviò a conquistare la supre-

mazia assoluta su tutto il bacino del Mediterraneo (7).

Gen. Giuseppe Dr. Picca 

(Presidente della Federazione di Bari 

e Consigliere Nazionale)


34

IL NASTRO AZZURRO

I SANTANGELO

A

bnegazione, sacrificio, serenità e fermezza, nel



solco della tradizione. La tradizione è il DNA

della storia. E le memorie, che sono la vita, vivo-

no nelle lunghe catene di una famiglia: la famiglia

Santangelo. 

Giuseppe Santangelo nasce nelle vicinanze di

Catania nel 1877. Un’Italia "male acclimatata" al Sud,

come dirà il barone Franchetti nel suo “La Sicilia” nel

1876, ma questo non significa affatto che non si produ-

cano vocazioni, nel Meridione e soprattutto in Sicilia, di

straordinari servitori dello Stato. Un’Italia che medita,

senza inutili retoriche ma con ragionevolezza, la sua

nuova politica estera. Cavour sa bene che lo spazio del

nuovo Regno unitario è in ogni caso il Mediterraneo.

Anche Crispi, nel suo lungo legame con la Germania di

Bismarck, ripete che, come diceva Napoleone, la politica

estera si fa soprattutto con la geografia. 

Giuseppe Santangelo va alla Regia Accademia di

Modena e soccorre, tra le sue prime operazioni sul

campo, le vittime del terremoto di Messina del 1908.

L'evento, tra i più tragici del XX secolo, che distrusse

le città dello Stretto tre giorni dopo Natale. E si trattò

di un fatto che portò all'Italia la solidarietà di tutto il

mondo, oltre allo scampato pericolo oggettivo di

spezzare le comunicazioni tra Sicilia e Penisola, che

sono l'asse della presenza italiana nel Mediterraneo.

La guerra italo-turca del 1911-12 vede Giuseppe

Santangelo decorato con una Medaglia d'Argento,

una Medaglia di Bronzo e una Croce di Guerra al Valor

Militare. La campagna di Libia non fu una semplice

imitazione delle imprese coloniali degli altri paesi

europei. Fu piuttosto un’azione che evitò la chiusura

dello spazio mediterraneo all'Italia, stretta tra un

Egitto ormai del tutto britannico e una Tunisia con-

quistata dalla Francia nel 1881.

Giuseppe Santangelo continua la sua

carriera nella Grande Guerra, che vedrà

la partecipazione forte, decisa, unitaria

dei soldati e degli Ufficiali del

Meridione, prima vera fusione degli spi-

riti dopo l'Unità nazionale. Anche qui il

IL CAPOSTIPITE 

GIUSEPPE SANTANGELO

Giuseppe Santangelo, padre del

Generale Roberto e del Sottotenente

Antonio e nonno del Generale

Giuseppe, nasce ad Ademò (CT) nel

1877. Frequenta nel biennio 1896-

1898 la Regia Accademia di Fanteria a

Modena.

E' nominato Tenente nel 1902. Ha



prestato soccorso alle popolazioni in

occasione del terremoto di Messina

(1908). Ha partecipato alla campagna

italo-turca (1911-1912) e alla campa-

gna di Libia (1911) ove è stato decora-

to con una Medaglia d'Argento, una

Medaglia di Bronzo e una Croce di

Guerra, al Valor Militare. Ha parteci-

pato alla Grande Guerra, durante la

quale comandava il 25° rgt. Fanteria,

ed è stato decorato con una Croce di

Cavaliere dell'Ordine Militare di

Savoia, una Medaglia d'Argento e

due Medaglie di Bronzo, al Valor

Militare. Ha successivamente coman-

dato il 4° rgt. f., il Distretto Militare di

Catania e il Distretto Militare di

Reggio Calabria.

Congedato col grado di Generale

di Divisione, Giuseppe Santangelo

muore a Catania il 23 agosto 1953.


IL NASTRO AZZURRO

35

Maggiore Giuseppe Santangelo comanda con lucido



valore il 25° rgt. Fanteria, e nella Prima Guerra

Mondiale egli sarà decorato con la Croce di Cavaliere

dell'Ordine Militare di Savoia, una Medaglia

d'Argento e due Medaglie di Bronzo al Valor Militare.

Vale la pena di ricordare la motivazione della

Medaglia d'Argento al Maggiore Santangelo nella

Grande Guerra: "in combattimento, con le forze a sua

disposizione, conseguiva risultati distinti vincendo col

suo valore e con la sua tenacia la forte resistenza

nemica; esempio costante di abnegazione e sacrificio

ai propri dipendenti"

Abnegazione e sacrificio per i propri soldati: ecco la

chiave della scienza del comando, oggi e sempre. La

Prima Guerra Mondiale non fu una "inutile strage": si

compì il Risorgimento nazionale e si presentò l'Italia

unita, con il volto nuovo dell'onore e della vittoria,

all'Europa e al mondo. 

La carriera di Giuseppe Santangelo prosegue con il

comando del 4° rgt. Fanteria e quello dei Distretti

Militari di Catania e di Reggio Calabria. Morirà nella

sua terra, a Catania, nel 1953. Un anno in cui i valori e

la tenacia del Generale di Divisione Santangelo sareb-

bero, con le fatiche del dopoguerra, tornati a illumi-

nare l'Italia. 

Il Suo primo figlio, Roberto Santangelo, segue la

carriera del Padre: non si tratta solo di tradizione

familiare, che pure conta, ma di un trasferimento di

valori, dignità, modelli di vita, senso dello Stato. Fare

il militare non è un lavoro: è un sacerdozio per la

Patria, una dichiarazione di amore per la propria

terra, la devozione a valori che valgono per tutti, per

i civili come per i militari. 

Nella "triade indoeuropea" delineata dal linguista

Benveniste, contadini, mercanti e soldati, sono i milita-

ri a difendere, anche sul piano valoriale, l'intero conte-

sto sociale, in pace come in guerra. 

Roberto Santangelo nasce a Firenze nel 1910, segue

l'iter dell'Accademia e della Scuola di Guerra del nostro

Esercito, straordinarie esperienze di cultura, non solo

militare, e civiltà italiana, e partecipa alla Guerra di

Spagna. Non è questo il momento per parlare di quel-

la guerra civile. Qui al Tenente Roberto Santangelo

vengono conferite due Croci di Guerra al Valor

Militare. È utile leggere una parte significativa di una

delle due motivazioni: "…Egli continuava con tranquil-

lità, serenità e fermezza a dirigere il fuoco del proprio

reparto, cooperando validamente al raggiungimento

degli obiettivi"

Serenità e fermezza: altre due chiavi essenziali per

comprendere il vero spirito militare, la sua essenza

profonda. Successivamente, sull'onda del principio del

dovere, eredità di Suo Padre, il Capitano Roberto

Santangelo partecipa alla Campagna in Africa

Settentrionale, colonizzazione di un'area ma anche

tradizione delle missioni di Crispi, e presenza necessa-

ria dell'Italia per garantire la sicurezza del

Mediterraneo prima della zona, allora britannica, di

Suez, giugulare del Mare Nostrum. Fu prigioniero in

Tunisia, quella terra che la Francia aveva preso per

chiudere l'Italia nell'area occidentale del Maghreb.

Dopo la fine della II Guerra Mondiale, Roberto

Santangelo comanderà il I/184° rgt. a. camp. ed il 33°

rgt. a. camp. "Folgore", testimonianza di una pagina di

puro eroismo a Cefalonia dove il Reggimento fu deci-

mato con la Divisione "Acqui" del Gen. Gandin, scri-

vendo, nel contempo, una delle pagine più tragiche ed

eroiche del nostro Esercito. L'Alleanza Atlantica, nata

dalla valutazione razionale della crisi europea, e suc-

ROBERTO SANTANGELO

Roberto Santangelo, figlio del Generale Giuseppe

Santangelo, fratello del Sottotenente Antonio e padre

del Generale Giuseppe Santangelo, nasce a Firenze nel

1910. Frequenta il 110° Corso presso la Regia

Accademia di Artiglieria e Genio di Torino negli anni

1928-1932. Partecipa alla Guerra di Spagna, ove è

decorato con due Croci di Guerra al Valor Militare. Al

rientro frequenta il 70° Corso dell'Istituto Superiore di

Guerra. Partecipa alla campagna in Africa

Settentrionale e viene fatto prigioniero in Tunisia. Ha

comandato il I/184° rgt. a. camp., il 33° rgt. a. cam.

"Folgore", ha prestato servizio presso AFSOUTH a

Napoli, lo Stato Maggiore Difesa ed è stato Addetto

Militare, Navale e Aeronautico ad Atene. Congedato

con il grado di Generale di Divisione, Roberto

Santangelo, muore a Roma il l0 settembre 1993.



IL NASTRO AZZURRO

36

cesso geopolitico straordinario nella storia moderna,



vide il Generale Roberto Santangelo prestare servizio

ad AFSOUTH, a Napoli, poi allo Stato Maggiore della

Difesa e, infine, una lunga presenza quale Addetto

Militare presso l'Ambasciata d'Italia ad Atene. Il punto

di crisi della NATO, la porta socchiusa per la Marina

Militare dell'URSS verso il Mediterraneo. 

La strategia terrestre di Stalin aveva in parte fallito,

Mosca giocava, durante la guerra fredda, la carta della

guerra marittima. Il Generale Roberto Santangelo

morirà a Roma nel 1993. 

Il Fratello di Roberto, Antonio, segue anch'egli la

tradizione e la vocazione della famiglia, il Servizio alla

Patria. Dopo il Collegio Militare di Roma e la Regia

Accademia di Torino, nelle file del 122° Corso, il

Sottotenente di Artiglieria Antonio Santangelo viene

assegnato al 133° rgt. a. cor. "Littorio" nella Campagna

di Sicilia. Morì a Solarino (SR), durante i feroci combat-

timenti del '43 che videro gli Alleati attaccare con

forze massicce la colonna del Col. Ronco e quella del

Sottotenente Santangelo, che reagì come dice la moti-

vazione della Sua Medaglia d'Oro al Valor Militare:

"…stretto da ogni lato da forze corazzate continuava

a resistere fino all'estremo, ferito gravemente il ser-

vente dell'ultimo pezzo si sostituiva ad esso e continua-

va il fuoco finché, investito da una raffica di mitraglia,

cadeva a terra incitando i pochi supersiti alla lotta"

Non si possono aggiungere commenti. 

Possiamo solo sperare che il S.Ten. Antonio

Santangelo protegga, dal cielo degli Eroi, il nostro

Paese e le sue Forze Armate. 

Ma la tradizione, per la sua stessa forza intrinseca,

non può non continuare. 

Il figlio di Roberto Santangelo, nipote quindi di

Giuseppe e Antonio, decide anch'egli di servire la

Patria in armi, il sacerdozio laico di ogni organizzazio-

ne statuale. 

Nato a Palermo nel 1950, nel dopoguerra in cui

tutto, con la sconfitta, sembrava essere dimenticato,

frequenta anch'egli l'Accademia Militare di Modena

nelle file del 151° Corso, quell’Accademia, fucina di

tutta la straordinaria storia militare unitaria italiana. 

Nel 1973, Tenente di Artiglieria, presta servizio al

132° "Ariete", anch'esso simbolo di gloria in Africa

Settentrionale, all'8° Artiglieria e all'Accademia di

Modena ed esprime la sua esperienza "sul campo" allo

Stato Maggiore Esercito e poi allo Stato Maggiore

della Difesa. Prassi e Teoria, il ciclo interminabile di

ogni vero Ufficiale. 

Comanda l'8° gr. a. "Marmore" e da Colonnello

assume il comando, che deve essere stata una esperien-

za straordinaria, del 33° rgt. a. "Acqui", lo stesso

Reggimento che fu comandato dal Padre. Una testimo-

nianza tangibile della continuità, che è spirituale ma

anche fisica e storica, delle nostre Forze Armate. Poi,

come è accaduto per il Padre, esperienze di Addetto

Militare, a Bruxelles presso la NATO ed in Romania. In

Belgio, dove si riconnette il progetto dell'Unione

Europea, e dove si sta rinnovando l'Alleanza Atlantica,

e nel Paese del Patto di Varsavia più anomalo rispetto

ai diktat di Mosca, due esperienze di strategia globale

"sul campo". Poi, per il Generale Giuseppe Santangelo,

il capitolo nuovo e già glorioso delle missioni di pace:

il comando, nel 2005, del Contingente italiano ad

Herat, ed il ruolo-chiave, nell'ambito dell'operazione

ISAF tuttora in corso, di Coordinatore dell'Area

Regionale ovest dell'Afghanistan; missione per la

quale venne decorato - come il Nonno - con la Croce di

Cavaliere dell'Ordine Militare d'Italia e, dove, come

riporta la sua motivazione "………operava con indi-

ANTONIO SANTANGELO MOVM

Antonio Santangelo, figlio del Generale Giuseppe Santangelo, fra-

tello di Roberto e zio di Giuseppe, nasce a Catania nel 1922.

Frequenta dal 1937 al 1940 la Scuola Militare di Roma e dal 1940

al 1942 la Regia Accademia di Artiglieria e Genio nelle file del 122°

Corso. Nominato Sottotenente di Artiglieria, è assegnato al 40°

Raggruppamento artiglieria di C.A. del 133° rgt. a. cor. "Littorio"

e opera nella Campagna di Sicilia col 10° Gruppo da 105/28 moto-

rizzato. Muore nel fatto d'arme di Solarino (SR), e viene decorato

con la Medaglia d'Oro al Valor Militare.

MOTIVAZIONE DELLA MEDAGLIA D'ORO AL V.M. CONCESSA

ALLA MEMORIA DI ANTONIO SANTANGELO

"Comandante di una sezione di artiglieria facente parte di una

colonna destinata ad una importante operazione, in tre giorni di

aspri combattimenti dava prove di spiccate virtù militari. Chiesto

ed ottenuto di essere impiegato in funzione controcarro, esplicava

tale compito con perizia infliggendo gravi perdite all'attaccante.

Nella difesa dell'ultimo caposaldo, stretto da ogni lato da forze

corazzate continuava a resistere fino all'estremo. Ferito gravemen-

te il servente dell'ultimo pezzo si sostituiva ad esso e continuava il

fuoco finchè, investito da una raffica di mitraglia, cadeva incitan-

do i pochi superstiti alla lotta".

Sicilia, Km 27 strada Solarino-Palazzolo Acreide, 10-13

luglio 1943


IL NASTRO AZZURRO

37

scussa professionalità ed elevatissima capacità organiz-



zativa in un contesto caratterizzato da difficile situa-

zione socio-politica e da forti tensioni etnico-triba-

li……..e che, grazie ad una brillante e incisiva azione di

comando, ha dato grande lustro all'Italia e alle sue

Forze Armate". Una esperienza che, ricordando le

Vittime e l'eroismo quotidiano dei nostri soldati, è

essenziale per porre, proprio come accadde nella

Grande Guerra e nei conflitti successivi, in cui Suo

Nonno, suo Zio e suo Padre ricevettero Medaglie al

Valor Militare, l'Italia nel suo ruolo determinante nel

nuovo mondo post-bipolare. E solo se avremo la pre-

senza di uomini come quelli della famiglia Santangelo,

e se ci riferiremo tutti alle tradizioni che loro rappre-

sentano, l'Italia avrà il futuro che merita il suo passato.

La fiducia in sé stessi è l'essenza dell'eroismo, diceva

Emerson. E la fiducia che l'Italia ha riposto ed oggi

ripone in queste persone è la fede che essa ha ancora

nei suoi valori, nel suo ruolo nel mondo, nell’efficienza

delle sue Forze Armate. 

Patton affermava che le guerre sono combattute

con le armi, ma vinte dagli uomini. Ed è lo spirito di

chi segue e di chi comanda che guadagna al Paese la

vittoria. 

La tradizione degli Ufficiali della famiglia

Santangelo, una famiglia che ha dato alla Patria 2

Croci dell'Ordine Militare d'Italia, 1 Medaglia d'Oro al

Valor Militare, 2 Medaglie d'Argento al Valor Militare,

3 Medaglie di Bronzo al Valor Militare e 3 Croci di

Guerra al Valor Militare, rappresenta la vittoria più

bella di un Paese che continua ad affermare la sua

modernità e la sua spinta di progresso e di democrazia,

col cuore sempre rivolto ai valori immutabili delle

nostre tradizioni militari.

GIUSEPPE SANTANGELO: LA TRADIZIONE CONTINUA

Giuseppe Santangelo, figlio di Roberto e nipote di Giuseppe e Antonio, nasce a Palermo nel 1950. Frequenta il 151


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