Quaderno di traduzioni
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- Bu sahifa navigatsiya:
- Happiness makes up in height for what it lacks in lenght
- On looking up by chance at the constellation
- On the hearth’s beginnings to cloud the mind
- In memoriam: Robert Fitzgerald
- From the land of the unspoken
- Hailstones 136 I
120 Robert Frost 121 Desert place Neve che cade fitta come la notte Lasciandolo alle spalle guardai un campo, e la terra appianata dalla neve non lasciava intravedere che stoppie. Attorno non è che dominio di boschi. Gli animali si stringono nelle tane. Io sono troppo assente per far parte; la solitudine m’include inavvertitamente. E, solitaria com’è, la solitudine Non potrà diminuire, e diverrà Bianco vuoto di neve colto dal buio, senza espressione, inespressivo nulla. Non mi impauriscono gli spazi vuoti Tra stella e stella, dove non c’è uomo, se così vicino a casa, in me stesso, posso impaurirmi con i miei deserti Time out Fu quando si fermò che lui comprese La pendenza del monte che risaliva Come un libro tenuto innanzi agli occhi (e era un testo, seppur fatto di piante) Corniolo, filodoro maiantemo, legge, e seguono riga a riga le dita, fiori appassiti nel seme a venire… 122 Happiness makes up in height for what it lacks in lenght Oh, mondo tempestoso, I giorni senza vortici Tra nuvole e foschie, o, avvolta in un sudario l’alta ruota del sole non fu in parte o tutta oscura al nostro sguardo, furono così rari, che mi chiedo come si possa conservare il senso della luce. Se è giusto questo dubbio Potrebbe esser che tutto Sia frutto di un giorno unico, quando già chiaro all’alba, il giorno venne chiaro per chiaro terminare. E davvero io credo Che l’impressione splendida Nasca da un giorno unico Privo d’ombre che mia, quando da casa a bosco tra fiori fiammeggianti mutammo solitudine. To a moth seen in winter E ora ti prego, dimmi, che t’allettò Con falsa speranza a tentare l’eterno, a cercare l’amore in questo inverno? Ma aspetta, ascoltami: sono convinto Che troppa è la fatica del tuo volo, così non puoi incontrare l’amore. ma c’è qualcosa in te che mi commuove, quell’antica e incurabile stonatura, principio di ogni male. ma vai, hai ragione: la pietà non serve, vai, finchè non avrai ali fradicie e fredde. Io non ho la tua semplice saggezza, e come posso toccarti, salvarti, io, che già stento a salvare me stesso? 123 Directive Via da questo ora che è troppo per noi, via, in un tempo fatto semplice, per la perdita di dettagli, arsi, dissolti e disfatti come statua mortuaria dalle intemperie. C’è una casa che non è più casa in un podere che non è più podere ed in una città che non c’è più. On looking up by chance at the constellation A lungo occorre attendere che oltre le nuvole qualcosa accada in cielo. Sole e luna s’incrociano senza toccarsi mai, né sprizzano scintille con fragore. Pianeti paiono sfiorarsi in orbita ma nulla accade mai e non c’è danno. E allora ci conviene pazientare, e cercare non in cielo le pene e i mutamenti che per non impazzire ci divengono necessari. Certo, certo, l’aridità diventa pioggia, come la più lunga pace discordia. Ma non verrà premiata l’attesa di chi veglia Nella speranza che s’infranga la quiete celeste. Il cielo sembra salvo questa notte. Fire and ice Qualcuno dice che il mondo brucerà. E altri che sarà ghiaccio. Per quanto ne so io del desiderio Preferirei il fuoco. Ma se dovesse accadere due volte, l’odio non ha mai limiti, anche il ghiaccio sarebbe una catastrofe sufficiente. 124 The road not Due strade divergenti nel giallo del bosco. Ed io, triste di non poterle percorrere entrambe, essendo uno, restai a lungo a guardare, fino al termine dello sguardo, dove una andava a curvare nel sottobosco. Poi presi l’altra, buona anch’essa, forse Migliore, per l’erba meno battuta; benchè in realtà fossero tracciate entrambe dalle stesse passeggiate, ed entrambe, quel mattino, sembravano ancora non segnare il passo nero dell’uomo tra le foglie. Già, potevo lasciar la prima per un giorno avenire, perché ogni strada conduce all’altra, ma dubitavo di poter tornare. Sì, racconterò ciò con un sospiro, in qualche luogo fra chissà quanto tempo: due strade divergevano nel bosco ed io presi quella che mi sembrava più ignota, e qui fu la differenza. The armful Per ogni pacchettino che raccolgo Me ne cade un altro E la pila intera perde equilibrio; bottiglie, ciambelline, estremi difficili a conciliare… Eppure nulla voglio dimenticare. Con tutto ciò che li può sostenere, mani e mente e cuore, se serve, tento di conservarli interi sul mio petto. Ma è inutile piegar le ginocchia A prevenire il crollo: così mi siedo In mezzo a loro. Ed ora non mi resta Che d’ammucchiarli meglio… On the hearth’s beginnings to cloud the mind Qualcosa vidi (o mi sembrò soltanto?) Nel deserto dell’Utah a mezzanotte, guardando fuori dalla mia cuccetta, cielo e terra al chiarore della luna. Il cielo aveva stelle qua e là; 125 la terra una sola luce lontana, patetica, tremante luce umana, mantenuta accesa contro la notte, da qualcuno laggiù, disperatamente, da sembrarmi abbandonato da Dio. Avrebbe tremolato ancora un po’, per cadere come un ultimo petalo. Ma il cuore cominciò a confondermi la mente- E conoscevo una storia migliore. Sono le fronde a far tremare la luce; e possono tenerla ben accesa: e quando non interessa più loro, possono lasciarla alle cure di altri. E un’estate, ripassando qui, di sicuro la ritroverei identica. It is almost the year two thousand Per cominciare, il mondo ebbe un’età dell’oro privo delle miniere, e qualcuno parla dei segni della prossima età che viene, il vero Millennio, il finale scintillio dorato per concluderlo. E se è così (E la scienza dovrebbe dircelo) dovremmo tirar sù la testa dal manto del giardino da sarchiare, o dai libri chiosati, per vegliare questa fine di lusso. 126 Seamus Heaney 127 Settings XXI Una volta, una soltanto ho sparato- con un calibro 22, al quadro di un fazzoletto inchiodato ad un ramo a sessanta yarde. M’inebriò il suono del proiettile alla facile pressione, la breve contrazione del bersaglio, capire all’improvviso cos’è un fucile. E da allora vidi l’anima come uno straccio bianco rapinato via in buie galassie. Nello sparo c’era il peccato contro la vita eterna- frase che si dilata in luce nuova. settings XXIV Calma del porto deserto. Ogni pietra Chiarificata dorme sotto l’acqua, il molo una muratura di quiete. Pienezza. Bagliore. Alto Atlantico carico, gli ormeggi tesi appena, leggerissimo il chiocciare delle onde sul fasciame. Ultimi tocchi: minareti di molluschi laggiù, tra lisci cocci di bottiglia, detriti di conchiglie e una gemma di arenaria. Aria e oceano consapevoli di chi precede l’altro. In opposizione a Onnipresenza, l’equilibrio e il margine. 128 crossings XXVIII Ghiaccio come bottiglia. In coda, avidi Di rientrare ancora nel lungo scivolo Perfezionandoci a ogni tentativo Correndo, preparandoci, lasciandoci Su una verticale fine a se stessa: addio alla stabilità, un lancio oltre l’usuale presa su se stessi. E via di nuovo, dalla presa al perdersi, stretta via lattea nel ghiaccio nero, salir su, cosa libera e ritorno- ripetendo, come un cerchio di luce superato e verso cui salpare. A postcard from iceland Tastando la corrente a qualche passo dalla sorgente calda, era possibile udir soltanto il fango ribollire. Poi la mia guida dietro di me disse, “Lukewarm. E forse vorreste sapere che luk significava un tempo umano” E vi racconterò (già lo sapete) quanta pressione e carezza sembrarono consuete, quando l’intima palma acquea trovò la mia palma. 129 Glanmore sonnets (I) Vocali arate in altre: terre aperte. Il più mite febbraio da vent’anni Brume a bande sui solchi, assenza di suoni Vulnerabile al lontano gorgoglio dei trattori. La nostra strada fuma, le zolle volte fiatano. Buono sarebbe ora traversare un campo e arte un paradigma di terra al tornio degli aratri. È ben svelto il mio podere vecchi vomeri ingoiano il sottosuolo dei sensi ma mi risveglia una fragranza di terra coltivata, come una rosa scura non sbocciata. Appaiono, di fronte alla nebbia, in grembiule da semina, alle stazioni primaverili, i miei fantasmi in marcia. Vortica il grano del sogno come un capriccio di neve a Pasqua. Da Glanmore sonnets (IV) Mi sdraio con l’orecchio sulla linea Perché dicono che si sente un suono Che corre avanti, un tuono di metallo, flange e pistoni picchiati sul suolo. Ma non mi è mai capitato. E invece, due miglia oltre, colpi di cambi e agganci sopra i tronchi. La testa di un cavallo turbina da un cancello, grigio giro di fianco e di criniera e io lì a guardarlo apparire. Due campi prima, in casa, piccole onde Tremavano silenti nel bicchiere (mentre adesso mi tremano nel cuore) Per sparire dove sembravano iniziare. 130 Glanmore sonnets (VI) Visse là, tra intraducibili luci. Vide il fucsia di un giorno piovigginoso, il sambuco al tramonto come una luna che sorge e i verdi campi farsi grigi al vento sui dossi. “Verrò fuori da questa glassa”, ripetè “Di pacifiche assenze e perfette foschie” Sicuro come l’uomo che sfidò il ghiaccio e attraversò il fiume Moyola in bicicletta. Non lo vedemmo mai. Ma in quell’inverno del quarantasette, quando la neve, come uno studio, i campi illuminava, e le cose o cristallizzavano o affondavano, la sua storia ci animava, bianca oca selvatica che vola nel buio, oltre la neve dei tetti. Glanmore sonnets (VIII) Lampi, su ciocchi a pezzi: grosse gocce Sul corpo caldo, e impregnate d’indizi Che schizzano ombre sul ferro dell’ascia. Oggi la gazza ispezionava a balzi Un cavallo nel sonno presso il bosco, pensai a rugiada su armatura e carogna. Che pretendevo, in strada, sangue fresco? Fin dov’è giunto, il rospo, sotto la legna? Che s’avvolge nel silenzio dei campi? Ti ricordi quella pensione a Les Andes Dove una vecchia cullava tutto il tempo, con una canzoncina, un mongoloide tra le braccia? Son sopra, vieni, io tremo. Tuo, bosco di betulle tra i lampi. 131 A New song Ho incontrato una ragazza di Derrygarve E il nome, muschio potente perduto, richiamava il lontano perdersi del fiume, il balzo blu del martin pescatore o le pietre, che come neri molari affondano nel guado, il vetro mutevole dei gorghi, il Moyola che va a scorrere piacevolmente fin sotto agli ontani. E Derrygarve, pensavo, era soltanto musica svanita, acqua del crepuscolo- fluida libagione del passato versata per caso da questa figlia vestale. Ma ora si levino le nostre lingue di fiume dalle dimore native e profonde, dilaghino in abbracci di vocali su terre di consonanti… Squaring (XLVIII) Strano come le cose al largo, intuite, si convertano in cose prevedute; e come ogni evento ci sia chiaro solo alla luce di vecchie esperienze. Forse il settimo cielo è verità Di un sesto senso già prestabilito. Ad ogni modo, quando m’investirà la luce, come sulla strada oltre Colerain dove il vento si fece più salato, il cielo più precipitoso e un argento lamè tremolò sulla Barm tra le pertiche tinte del canale, quel giorno sarò al passo con quanto m’è sfuggito. Squarings (XXXVII) In famose poesie del saggio Han Shan, Fredda Montagna è un luogo che può significare Uno stato della mente. O differenti stati in tempi differenti, perché sembrano poesie uniche e impulsive, come quelle che iniziano “Sto seduto qui, di fronte a Cold Mountain 132 Da ventinove anni”, o “Non c’è cammino che termini”, sostanza invidiabile, semplice e credibile. Ma parlarne non basta. Citarle almeno ci dimostrerà la virtù di un’arte che conosce il suo progetto. Squarings (XLVII) Il mare visibile all’orizzonte O oltre la rada all’ancora Si nominava il largo. Più rimaneva vuoto, più forzava Lo sguardo a scandagliarlo. Ma appena gli voltavi la tua schiena, la tua schiena s’empiva d’occhi come Argo. Poi, tornando a guardare, il largo sembrava Sempre inviolato, quasi abbandonato, come se una truppa in esercitazione al bordo della visione si fosse ritirata dietro l’orizzonte a organizzar manovra. In memoriam: Robert Fitzgerald I fori in testa alle scuri, squadrati come ingressi di tombe megalitiche il passaggio lastricato che si apre davanti alle pietre di un’altra porta che si apre su una terza. Non c’è l’ultima, solo pietra di soglie, di montanti che ripetono entra entra entra entra… stipiti e architravi volano nel buio. Da corda d’arco la nota di rondine freccia di migrazione il cui bersaglio lascia un soffio sussurro in ogni foro. Terminata è la Prova, i nervi ronzano, viaggia ora fuori da ogni conoscenza mira perfettamente al centro vuoto. From the canton of expectation 133 I La nostra era la terra degli ottativi sotto nuvole e banchi di rassegnazione. Fruscii di perdita nelle parole Non nella nostra vita, poi l’avvilimento quando si pregava Concedete o degnate, ci facevano onore, bastava al giorno. Ci radunavamo in un campo ogni anno per danzare in tende dove i bimbi cantavano canti imparati a voce nel vecchio linguaggio. Un banditore che aveva combattuto nella confraternita elencava umiliazioni da noi date per scontate, ma neanche lui, penso, le considerava come un appello. Voci d’acciaio dagli altoparlanti frustavano l’aria, ma nessuno di noi si sentiva in colpa. Lui ci confermava. Quando il nostro inno di rivolta chiudeva l’incontro, si tornava alle vessazioni solitite di miliziani ai posti di blocco. II Ma all’improvviso questi cambiamenti. Libri aperti in cucine con gli impianti elettrici nuovi. Giovani menti pronte a sonnecchiare tutta la vita al fianco delle mucche s’impegnavano a tracciare le strade lungo i testi prescritti. Poi arrivarono le pietre nei cortili delle scuole e una grammatica di imperativi, nuova epoca di rivendicazioni. Volle bandire ogni condizionale questa generazione nata impervia trionfo nelle nostre grida de profundis. Fece anatema della nostra fede nella vittoria di chi più sopporta, menti brillanti e grezze come piedi di porco. III Ciò che sembra più forte ha fatto il tempo suo. Il futuro è in ciò che viene dal basso. Ciò ci corroborava dimorando con il nostro patrono clandestino, l’angelo custode della passività ora una zanna di minaccia affonda nella mia spalla. “Colpito”, ripeto 134 stando nudo sotto banchi di nuvole luccicanti metalliche di tempesta. Bramo martellare il tavolato del fasciame, l’indiscutibile resoconto degli scalmi avvitati, per sapere se c’è qualcuno che ha mai deviato dal suo istinto per l’azione migliore, che non è caduto nell’indicativo, che salpa quando le nuvole esplodono. The spoonbait Ed èccoci ad un’altra similitudine, così diciamo: l’anima è comparabile all’esca a cucchiaino che un bimbo scopre tra le matite sparse nel suo astuccio, vista per caso, ricordata per sempre alta e libera srotolarsi dal nulla – una stella cadente che risale il buio. Lo sfugge e lo brucia in una volta sola come la sola goccia implorata da Dives precipitando nel suo grande abisso. Poi exit, l’elmo splendente di un eroe che comanda la nave sul mare schiumante. Exit, in alternativa, gioco di luce avvolto a lui controcorrente, impigliato a niente. clearances (4) La paura d’ostentare produceva inadeguatezza quando doveva pronunciare parole “superiori” Bertold Brek. Le usciva qualcosa d’impacciato e obliquo ogni volta, come se un troppo ben appropriato vocabolario tradisse inadeguatezza e impaccio. Più per sfida che orgoglio, mi diceva “Tu sai tutte quelle cose”. E governavo così la mia lingua davanti a lei, genuino ben appropriato adeguato 135 tradimento di ciò che ben sapevo. Naw e aye dicevo. Ed educatamente tornavo agli errori della grammatica che ci tenevano in stallo ed alleati. From the land of the unspoken Ho saputo di una barra di platino custodita in una nazione logica e loquace a campione di misura, sala del trono e camera mortuaria di ogni calcolo, di ogni predizione. Sarei a casa in quel cuore metallico, assopito nel fulcro del sistema. Siamo gente dispersa, la cui storia è un senso di fedeltà opaca. Quando o perché l’esilio cominciò tra gli uomini sedotti dal linguaggio non sapremmo dire, ma la marea della solidarietà cresce in noi quando sentiamo le loro leggende di trovatelli su barche di giunco verso il destino o di bare di re alzate e portate via sulle spalle del fiume o per le strade del mare aperto. Se ci riconosciamo, andiamo al passo, ma nel complesso non andiamo insieme. Il mio contatto più profondo fu in metropolitana all’ora di punta tenendomi a un sostegno, schiena a schiena, e una volta in un museo ho inalato primavera da un collo e una spalla fingendo attenzione all’esposizione di assolutamente mute macine. I nostri assunti non detti hanno forza di rivelazione. Altrimenti come capiremmo che chi tra noi cerchi consenso e voti in ricche democrazie tradirebbe noi e la nostra lingua? Intanto, se manchiamo di vedere un pesce di cui vediamo i cerchi significa che un altro di noi da qualche parte muore. Hailstones 136 I Il mio volto colpito e ricolpito all’improvviso i chicchi della grandine colpivano e rimbalzavano in strada. Quando schiarì di nuovo qualcosa di sferzante e di sapiente si era allontanato lasciandomi alle mie sole risorse. Ho fatto una piccola palla dura di acqua ardente che mi scorreva dalla mano proprio come sto facendo ora dalla fusione della cosa reale soffrendo la sua assenza. II Sono da considerare, però, questi monellacci di acquazzoni per come non hanno chiesto permesso, bacchettando la finestra dell’aula come un righello sulle nocche e se prima erano forme perfette in un attimo sono fango sporco. Thomas raherne aveva grano orientale a prova e meraviglia ma per noi c’era la frusta della grandine e le mani antipuntura di Eddie Diamond che fruga nell’ortica. III Arnia e capezzolo, mole di un morso piccole ghiande di piacere probabile promesso e disatteso quando l’acquazzone finì ed ogni cosa disse aspetta. Cosa? Quarant’anni per dire soltanto allora d’avere avuto l’unico vero anticipo in quel dilatarsi 137 quando la luce si aprì in silenzio e un’auto con i tergicristalli ancora in moto lasciò impronte perfette sul fango. Download 5.01 Kb. Do'stlaringiz bilan baham: |
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