Aa 2012-2013 sp 2013 Prof. Uberto motta corso monografico di letteratura moderna Le Odi e IL Giorno di Parini
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- Il Mezzogiorno , 1255-1282
- Il Mezzogiorno 1195-1219 Il Vespro 1-25
- G. Carducci, Storia del «Giorno»
- Il Vespro , 270-303
- La notte , vv. 1-60
- La notte , vv. 25-29
Il Mezzogiorno, vv. 1220-1254 E di mille che là volano rote Scoperta biga il giovine leggiadro Là si scorge tra i primi. All'un de' lati La snellezza dispiega. A lui nel seno E con gentil sorriso arde e balena Disdegnando, de' cocchi signoreggia Egli alza il mento, e il gomito protende; Mz 1229: E con gentil sorriso arde e balena Il Mezzogiorno, 1255-1282E la folla con esso. Ecco le vaghe Mendicarono i cocchi. Ecco le gravi Contro al bel Mondo, e dell'ignoto Corso Ma poi che la vivace amabil prole Cessero alfine; e le tornite braccia, Frutti prudentemente al guardo aprìro Le belle cittadine, ora è più lustri Dedussero gli Dei; e sepper meglio,
Già de le fere, e degli augelli il giorno, Degli alberi, e del vulgo al suo fin corre. Sfugge l'un Mondo; e a berne i vivi raggi Di molte perle California estrema. Torri il Sol manda gli ultimi saluti Rivederti, o Signore, anzi che l'Alpe, Agli occhi suoi. Altro finor non vide,
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Su le campagne tue piegati e lassi, E su le armate mura or fronti or spalle Carche di ferro, e su le aeree capre Degli edificj tuoi man scabre e arsicce, E villan polverosi innanzi ai carri Gravi del tuo ricolto, e sui canali E sui fertili laghi irsute braccia Di remigante che le alterne merci Al tuo comodo guida ed al tuo lusso, Tutt'ignobili oggetti. Or colui vegga, Che da tutti servito, a nullo serve.
G. Carducci, Storia del «Giorno»
«Felicissimo il trasferimento dal Mezzogiorno a qui della descrizione del tramonto. L’apertura del poemetto risponde così al principio del Mattino e al principio della Notte; e sta fra i due mirabile nella novità e larghezza della rappresentazione naturale e nella potenza ed efficacia della rappresentazione morale, riaffermando a mezzo il poema gli intendimenti sociali ed umani».
Il Vespro, 270-303
Già le fervide amiche ad incontrarse Volano impazienti; un petto all'altro Già premonsi abbracciando; alto le gote D'alterni baci risonar già fanno; Già strette per la man co' dotti fianchi Ad un tempo amendue cadono a piombo Sopra il sofà. Qui l'una un sottil motto Vibra al cor dell'amica; e a i casi allude Che la Fama narrò: quella repente Con un altro l'assale. Una nel viso Di bell'ire s'infiamma: e l'altra i vaghi Labbri un poco si morde: e cresce in tanto E quinci ognor più violento e quindi Il trepido agitar de i duo ventagli. Così, se mai al secol di Turpino Di ferrate guerriere un paro illustre Si scontravan per via, ciascuna ambiva L'altra provar quel che valesse in arme;
La notte, vv. 1-60
Nè tu contenderai benigna Notte, Che il mio Giovane illustre io cerchi e guidi Con gli estremi precetti entro al tuo regno. Già di tenebre involta e di perigli, Sola squallida mesta alto sedevi Su la timida terra. Il debil raggio De le stelle remote e de' pianeti, Che nel silenzio camminando vanno, Rompea gli orrori tuoi sol quanto è duopo A sentirli assai più. Terribil ombra Giganteggiando si vedea salire Su per le case e su per l'alte torri Di teschi antiqui seminate al piede. E upupe e gufi e mostri avversi al sole Svolazzavan per essa; e con ferali
«La celebre notte ‘medievale’, iniziata su un tono altissimo, di largo respiro cosmico […], tutta corsa subito poi da sbattiti d’ombre e da voli sinistri, si chiude, qui, in accordo al suo avvio, suggerendo nuove lontananze e profondità di spazi: cinque versi, questi ultimi, ritmicamente ordinati a chiasmo (accenti principali di 4, 6, 10 nel primo e nel quinto, di 4, 8, 10 nel secondo e nel quarto: in mezzo, isolato, un endecasillabo di 3, 6, 10, Spargean lungo acutissimo lamento: centro della lacerazione fonica che si propaga in vasti cerchi di echi e silenzi). E già l’orecchio avvertito del Carducci ne rilevava l’armonia ‘ondulante’, conseguita però pienamente soltanto con la lezione degli Ambr. IV 15 e 17 che smorzano il fitto battito di 4, 6, 8, 10 del penultimo verso (Cui di lontan per entro al vasto buio)» (Isella, L’officina, p. 47).
La notte, vv. 25-29
E ¦ fa¦ma è an¦cor ¦ che ¦ pal¦li¦de ¦ fan¦ta¦si¦me
Carche di ferro, e su le aeree capre Degli edificj tuoi man scabre e arsicce, E villan polverosi innanzi ai carri Gravi del tuo ricolto, e sui canali E sui fertili laghi irsute braccia Di remigante che le alterne merci Al tuo comodo guida ed al tuo lusso, Tutt'ignobili oggetti. Or colui vegga, Che da tutti servito, a nullo serve.
G. Carducci, Storia del «Giorno»
«Felicissimo il trasferimento dal Mezzogiorno a qui della descrizione del tramonto. L’apertura del poemetto risponde così al principio del Mattino e al principio della Notte; e sta fra i due mirabile nella novità e larghezza della rappresentazione naturale e nella potenza ed efficacia della rappresentazione morale, riaffermando a mezzo il poema gli intendimenti sociali ed umani».
Il Vespro, 270-303
Già le fervide amiche ad incontrarse Volano impazienti; un petto all'altro Già premonsi abbracciando; alto le gote D'alterni baci risonar già fanno; Già strette per la man co' dotti fianchi Ad un tempo amendue cadono a piombo Sopra il sofà. Qui l'una un sottil motto Vibra al cor dell'amica; e a i casi allude Che la Fama narrò: quella repente Con un altro l'assale. Una nel viso Di bell'ire s'infiamma: e l'altra i vaghi Labbri un poco si morde: e cresce in tanto E quinci ognor più violento e quindi Il trepido agitar de i duo ventagli. Così, se mai al secol di Turpino Di ferrate guerriere un paro illustre Si scontravan per via, ciascuna ambiva L'altra provar quel che valesse in arme;
La notte, vv. 1-60
Nè tu contenderai benigna Notte, Che il mio Giovane illustre io cerchi e guidi Con gli estremi precetti entro al tuo regno. Già di tenebre involta e di perigli, Sola squallida mesta alto sedevi Su la timida terra. Il debil raggio De le stelle remote e de' pianeti, Che nel silenzio camminando vanno, Rompea gli orrori tuoi sol quanto è duopo A sentirli assai più. Terribil ombra Giganteggiando si vedea salire Su per le case e su per l'alte torri Di teschi antiqui seminate al piede. E upupe e gufi e mostri avversi al sole Svolazzavan per essa; e con ferali
«La celebre notte ‘medievale’, iniziata su un tono altissimo, di largo respiro cosmico […], tutta corsa subito poi da sbattiti d’ombre e da voli sinistri, si chiude, qui, in accordo al suo avvio, suggerendo nuove lontananze e profondità di spazi: cinque versi, questi ultimi, ritmicamente ordinati a chiasmo (accenti principali di 4, 6, 10 nel primo e nel quinto, di 4, 8, 10 nel secondo e nel quarto: in mezzo, isolato, un endecasillabo di 3, 6, 10, Spargean lungo acutissimo lamento: centro della lacerazione fonica che si propaga in vasti cerchi di echi e silenzi). E già l’orecchio avvertito del Carducci ne rilevava l’armonia ‘ondulante’, conseguita però pienamente soltanto con la lezione degli Ambr. IV 15 e 17 che smorzano il fitto battito di 4, 6, 8, 10 del penultimo verso (Cui di lontan per entro al vasto buio)» (Isella, L’officina, p. 47).
La notte, vv. 25-29
E ¦ fa¦ma è an¦cor ¦ che ¦ pal¦li¦de ¦ fan¦ta¦si¦me
E villan polverosi innanzi ai carri Gravi del tuo ricolto, e sui canali E sui fertili laghi irsute braccia Di remigante che le alterne merci Al tuo comodo guida ed al tuo lusso, Tutt'ignobili oggetti. Or colui vegga, Che da tutti servito, a nullo serve.
G. Carducci, Storia del «Giorno»
«Felicissimo il trasferimento dal Mezzogiorno a qui della descrizione del tramonto. L’apertura del poemetto risponde così al principio del Mattino e al principio della Notte; e sta fra i due mirabile nella novità e larghezza della rappresentazione naturale e nella potenza ed efficacia della rappresentazione morale, riaffermando a mezzo il poema gli intendimenti sociali ed umani».
Il Vespro, 270-303
Già le fervide amiche ad incontrarse Volano impazienti; un petto all'altro Già premonsi abbracciando; alto le gote D'alterni baci risonar già fanno; Già strette per la man co' dotti fianchi Ad un tempo amendue cadono a piombo Sopra il sofà. Qui l'una un sottil motto Vibra al cor dell'amica; e a i casi allude Che la Fama narrò: quella repente Con un altro l'assale. Una nel viso Di bell'ire s'infiamma: e l'altra i vaghi Labbri un poco si morde: e cresce in tanto E quinci ognor più violento e quindi Il trepido agitar de i duo ventagli. Così, se mai al secol di Turpino Di ferrate guerriere un paro illustre Si scontravan per via, ciascuna ambiva L'altra provar quel che valesse in arme;
La notte, vv. 1-60
Nè tu contenderai benigna Notte, Che il mio Giovane illustre io cerchi e guidi Con gli estremi precetti entro al tuo regno. Già di tenebre involta e di perigli, Sola squallida mesta alto sedevi Su la timida terra. Il debil raggio De le stelle remote e de' pianeti, Che nel silenzio camminando vanno, Rompea gli orrori tuoi sol quanto è duopo A sentirli assai più. Terribil ombra Giganteggiando si vedea salire Su per le case e su per l'alte torri Di teschi antiqui seminate al piede. E upupe e gufi e mostri avversi al sole Svolazzavan per essa; e con ferali
«La celebre notte ‘medievale’, iniziata su un tono altissimo, di largo respiro cosmico […], tutta corsa subito poi da sbattiti d’ombre e da voli sinistri, si chiude, qui, in accordo al suo avvio, suggerendo nuove lontananze e profondità di spazi: cinque versi, questi ultimi, ritmicamente ordinati a chiasmo (accenti principali di 4, 6, 10 nel primo e nel quinto, di 4, 8, 10 nel secondo e nel quarto: in mezzo, isolato, un endecasillabo di 3, 6, 10, Spargean lungo acutissimo lamento: centro della lacerazione fonica che si propaga in vasti cerchi di echi e silenzi). E già l’orecchio avvertito del Carducci ne rilevava l’armonia ‘ondulante’, conseguita però pienamente soltanto con la lezione degli Ambr. IV 15 e 17 che smorzano il fitto battito di 4, 6, 8, 10 del penultimo verso (Cui di lontan per entro al vasto buio)» (Isella, L’officina, p. 47).
La notte, vv. 25-29
E ¦ fa¦ma è an¦cor ¦ che ¦ pal¦li¦de ¦ fan¦ta¦si¦me
E sui fertili laghi irsute braccia Di remigante che le alterne merci Al tuo comodo guida ed al tuo lusso, Tutt'ignobili oggetti. Or colui vegga, Che da tutti servito, a nullo serve.
G. Carducci, Storia del «Giorno»
«Felicissimo il trasferimento dal Mezzogiorno a qui della descrizione del tramonto. L’apertura del poemetto risponde così al principio del Mattino e al principio della Notte; e sta fra i due mirabile nella novità e larghezza della rappresentazione naturale e nella potenza ed efficacia della rappresentazione morale, riaffermando a mezzo il poema gli intendimenti sociali ed umani».
Il Vespro, 270-303
Già le fervide amiche ad incontrarse Volano impazienti; un petto all'altro Già premonsi abbracciando; alto le gote D'alterni baci risonar già fanno; Già strette per la man co' dotti fianchi Ad un tempo amendue cadono a piombo Sopra il sofà. Qui l'una un sottil motto Vibra al cor dell'amica; e a i casi allude Che la Fama narrò: quella repente Con un altro l'assale. Una nel viso Di bell'ire s'infiamma: e l'altra i vaghi Labbri un poco si morde: e cresce in tanto E quinci ognor più violento e quindi Il trepido agitar de i duo ventagli. Così, se mai al secol di Turpino Di ferrate guerriere un paro illustre Si scontravan per via, ciascuna ambiva L'altra provar quel che valesse in arme;
La notte, vv. 1-60
Nè tu contenderai benigna Notte, Che il mio Giovane illustre io cerchi e guidi Con gli estremi precetti entro al tuo regno. Già di tenebre involta e di perigli, Sola squallida mesta alto sedevi Su la timida terra. Il debil raggio De le stelle remote e de' pianeti, Che nel silenzio camminando vanno, Rompea gli orrori tuoi sol quanto è duopo A sentirli assai più. Terribil ombra Giganteggiando si vedea salire Su per le case e su per l'alte torri Di teschi antiqui seminate al piede. E upupe e gufi e mostri avversi al sole Svolazzavan per essa; e con ferali
«La celebre notte ‘medievale’, iniziata su un tono altissimo, di largo respiro cosmico […], tutta corsa subito poi da sbattiti d’ombre e da voli sinistri, si chiude, qui, in accordo al suo avvio, suggerendo nuove lontananze e profondità di spazi: cinque versi, questi ultimi, ritmicamente ordinati a chiasmo (accenti principali di 4, 6, 10 nel primo e nel quinto, di 4, 8, 10 nel secondo e nel quarto: in mezzo, isolato, un endecasillabo di 3, 6, 10, Spargean lungo acutissimo lamento: centro della lacerazione fonica che si propaga in vasti cerchi di echi e silenzi). E già l’orecchio avvertito del Carducci ne rilevava l’armonia ‘ondulante’, conseguita però pienamente soltanto con la lezione degli Ambr. IV 15 e 17 che smorzano il fitto battito di 4, 6, 8, 10 del penultimo verso (Cui di lontan per entro al vasto buio)» (Isella, L’officina, p. 47).
La notte, vv. 25-29
E ¦ fa¦ma è an¦cor ¦ che ¦ pal¦li¦de ¦ fan¦ta¦si¦me
Al tuo comodo guida ed al tuo lusso, Tutt'ignobili oggetti. Or colui vegga, Che da tutti servito, a nullo serve.
G. Carducci, Storia del «Giorno»
«Felicissimo il trasferimento dal Mezzogiorno a qui della descrizione del tramonto. L’apertura del poemetto risponde così al principio del Mattino e al principio della Notte; e sta fra i due mirabile nella novità e larghezza della rappresentazione naturale e nella potenza ed efficacia della rappresentazione morale, riaffermando a mezzo il poema gli intendimenti sociali ed umani».
Il Vespro, 270-303
Già le fervide amiche ad incontrarse Volano impazienti; un petto all'altro Già premonsi abbracciando; alto le gote D'alterni baci risonar già fanno; Già strette per la man co' dotti fianchi Ad un tempo amendue cadono a piombo Sopra il sofà. Qui l'una un sottil motto Vibra al cor dell'amica; e a i casi allude Che la Fama narrò: quella repente Con un altro l'assale. Una nel viso Di bell'ire s'infiamma: e l'altra i vaghi Labbri un poco si morde: e cresce in tanto E quinci ognor più violento e quindi Il trepido agitar de i duo ventagli. Così, se mai al secol di Turpino Di ferrate guerriere un paro illustre Si scontravan per via, ciascuna ambiva L'altra provar quel che valesse in arme;
La notte, vv. 1-60
Nè tu contenderai benigna Notte, Che il mio Giovane illustre io cerchi e guidi Con gli estremi precetti entro al tuo regno. Già di tenebre involta e di perigli, Sola squallida mesta alto sedevi Su la timida terra. Il debil raggio De le stelle remote e de' pianeti, Che nel silenzio camminando vanno, Rompea gli orrori tuoi sol quanto è duopo A sentirli assai più. Terribil ombra Giganteggiando si vedea salire Su per le case e su per l'alte torri Di teschi antiqui seminate al piede. E upupe e gufi e mostri avversi al sole Svolazzavan per essa; e con ferali
«La celebre notte ‘medievale’, iniziata su un tono altissimo, di largo respiro cosmico […], tutta corsa subito poi da sbattiti d’ombre e da voli sinistri, si chiude, qui, in accordo al suo avvio, suggerendo nuove lontananze e profondità di spazi: cinque versi, questi ultimi, ritmicamente ordinati a chiasmo (accenti principali di 4, 6, 10 nel primo e nel quinto, di 4, 8, 10 nel secondo e nel quarto: in mezzo, isolato, un endecasillabo di 3, 6, 10, Spargean lungo acutissimo lamento: centro della lacerazione fonica che si propaga in vasti cerchi di echi e silenzi). E già l’orecchio avvertito del Carducci ne rilevava l’armonia ‘ondulante’, conseguita però pienamente soltanto con la lezione degli Ambr. IV 15 e 17 che smorzano il fitto battito di 4, 6, 8, 10 del penultimo verso (Cui di lontan per entro al vasto buio)» (Isella, L’officina, p. 47).
La notte, vv. 25-29
E ¦ fa¦ma è an¦cor ¦ che ¦ pal¦li¦de ¦ fan¦ta¦si¦me
Che da tutti servito, a nullo serve.
G. Carducci, Storia del «Giorno»
«Felicissimo il trasferimento dal Mezzogiorno a qui della descrizione del tramonto. L’apertura del poemetto risponde così al principio del Mattino e al principio della Notte; e sta fra i due mirabile nella novità e larghezza della rappresentazione naturale e nella potenza ed efficacia della rappresentazione morale, riaffermando a mezzo il poema gli intendimenti sociali ed umani».
Il Vespro, 270-303
Già le fervide amiche ad incontrarse Volano impazienti; un petto all'altro Già premonsi abbracciando; alto le gote D'alterni baci risonar già fanno; Già strette per la man co' dotti fianchi Ad un tempo amendue cadono a piombo Sopra il sofà. Qui l'una un sottil motto Vibra al cor dell'amica; e a i casi allude Che la Fama narrò: quella repente Con un altro l'assale. Una nel viso Di bell'ire s'infiamma: e l'altra i vaghi Labbri un poco si morde: e cresce in tanto E quinci ognor più violento e quindi Il trepido agitar de i duo ventagli. Così, se mai al secol di Turpino Di ferrate guerriere un paro illustre Si scontravan per via, ciascuna ambiva L'altra provar quel che valesse in arme;
La notte, vv. 1-60
Nè tu contenderai benigna Notte, Che il mio Giovane illustre io cerchi e guidi Con gli estremi precetti entro al tuo regno. Già di tenebre involta e di perigli, Sola squallida mesta alto sedevi Su la timida terra. Il debil raggio De le stelle remote e de' pianeti, Che nel silenzio camminando vanno, Rompea gli orrori tuoi sol quanto è duopo A sentirli assai più. Terribil ombra Giganteggiando si vedea salire Su per le case e su per l'alte torri Di teschi antiqui seminate al piede. E upupe e gufi e mostri avversi al sole Svolazzavan per essa; e con ferali
«La celebre notte ‘medievale’, iniziata su un tono altissimo, di largo respiro cosmico […], tutta corsa subito poi da sbattiti d’ombre e da voli sinistri, si chiude, qui, in accordo al suo avvio, suggerendo nuove lontananze e profondità di spazi: cinque versi, questi ultimi, ritmicamente ordinati a chiasmo (accenti principali di 4, 6, 10 nel primo e nel quinto, di 4, 8, 10 nel secondo e nel quarto: in mezzo, isolato, un endecasillabo di 3, 6, 10, Spargean lungo acutissimo lamento: centro della lacerazione fonica che si propaga in vasti cerchi di echi e silenzi). E già l’orecchio avvertito del Carducci ne rilevava l’armonia ‘ondulante’, conseguita però pienamente soltanto con la lezione degli Ambr. IV 15 e 17 che smorzano il fitto battito di 4, 6, 8, 10 del penultimo verso (Cui di lontan per entro al vasto buio)» (Isella, L’officina, p. 47).
La notte, vv. 25-29
E ¦ fa¦ma è an¦cor ¦ che ¦ pal¦li¦de ¦ fan¦ta¦si¦me
Già premonsi abbracciando; alto le gote D'alterni baci risonar già fanno; Già strette per la man co' dotti fianchi Ad un tempo amendue cadono a piombo Sopra il sofà. Qui l'una un sottil motto Vibra al cor dell'amica; e a i casi allude Che la Fama narrò: quella repente Con un altro l'assale. Una nel viso Di bell'ire s'infiamma: e l'altra i vaghi Labbri un poco si morde: e cresce in tanto E quinci ognor più violento e quindi Il trepido agitar de i duo ventagli. Così, se mai al secol di Turpino Di ferrate guerriere un paro illustre Si scontravan per via, ciascuna ambiva L'altra provar quel che valesse in arme;
La notte, vv. 1-60
Nè tu contenderai benigna Notte, Che il mio Giovane illustre io cerchi e guidi Con gli estremi precetti entro al tuo regno. Già di tenebre involta e di perigli, Sola squallida mesta alto sedevi Su la timida terra. Il debil raggio De le stelle remote e de' pianeti, Che nel silenzio camminando vanno, Rompea gli orrori tuoi sol quanto è duopo A sentirli assai più. Terribil ombra Giganteggiando si vedea salire Su per le case e su per l'alte torri Di teschi antiqui seminate al piede. E upupe e gufi e mostri avversi al sole Svolazzavan per essa; e con ferali
«La celebre notte ‘medievale’, iniziata su un tono altissimo, di largo respiro cosmico […], tutta corsa subito poi da sbattiti d’ombre e da voli sinistri, si chiude, qui, in accordo al suo avvio, suggerendo nuove lontananze e profondità di spazi: cinque versi, questi ultimi, ritmicamente ordinati a chiasmo (accenti principali di 4, 6, 10 nel primo e nel quinto, di 4, 8, 10 nel secondo e nel quarto: in mezzo, isolato, un endecasillabo di 3, 6, 10, Spargean lungo acutissimo lamento: centro della lacerazione fonica che si propaga in vasti cerchi di echi e silenzi). E già l’orecchio avvertito del Carducci ne rilevava l’armonia ‘ondulante’, conseguita però pienamente soltanto con la lezione degli Ambr. IV 15 e 17 che smorzano il fitto battito di 4, 6, 8, 10 del penultimo verso (Cui di lontan per entro al vasto buio)» (Isella, L’officina, p. 47).
La notte, vv. 25-29
E ¦ fa¦ma è an¦cor ¦ che ¦ pal¦li¦de ¦ fan¦ta¦si¦me
Già strette per la man co' dotti fianchi Ad un tempo amendue cadono a piombo Sopra il sofà. Qui l'una un sottil motto Vibra al cor dell'amica; e a i casi allude Che la Fama narrò: quella repente Con un altro l'assale. Una nel viso Di bell'ire s'infiamma: e l'altra i vaghi Labbri un poco si morde: e cresce in tanto E quinci ognor più violento e quindi Il trepido agitar de i duo ventagli. Così, se mai al secol di Turpino Di ferrate guerriere un paro illustre Si scontravan per via, ciascuna ambiva L'altra provar quel che valesse in arme;
La notte, vv. 1-60
Nè tu contenderai benigna Notte, Che il mio Giovane illustre io cerchi e guidi Con gli estremi precetti entro al tuo regno. Già di tenebre involta e di perigli, Sola squallida mesta alto sedevi Su la timida terra. Il debil raggio De le stelle remote e de' pianeti, Che nel silenzio camminando vanno, Rompea gli orrori tuoi sol quanto è duopo A sentirli assai più. Terribil ombra Giganteggiando si vedea salire Su per le case e su per l'alte torri Di teschi antiqui seminate al piede. E upupe e gufi e mostri avversi al sole Svolazzavan per essa; e con ferali
«La celebre notte ‘medievale’, iniziata su un tono altissimo, di largo respiro cosmico […], tutta corsa subito poi da sbattiti d’ombre e da voli sinistri, si chiude, qui, in accordo al suo avvio, suggerendo nuove lontananze e profondità di spazi: cinque versi, questi ultimi, ritmicamente ordinati a chiasmo (accenti principali di 4, 6, 10 nel primo e nel quinto, di 4, 8, 10 nel secondo e nel quarto: in mezzo, isolato, un endecasillabo di 3, 6, 10, Spargean lungo acutissimo lamento: centro della lacerazione fonica che si propaga in vasti cerchi di echi e silenzi). E già l’orecchio avvertito del Carducci ne rilevava l’armonia ‘ondulante’, conseguita però pienamente soltanto con la lezione degli Ambr. IV 15 e 17 che smorzano il fitto battito di 4, 6, 8, 10 del penultimo verso (Cui di lontan per entro al vasto buio)» (Isella, L’officina, p. 47).
La notte, vv. 25-29
E ¦ fa¦ma è an¦cor ¦ che ¦ pal¦li¦de ¦ fan¦ta¦si¦me
Sopra il sofà. Qui l'una un sottil motto Vibra al cor dell'amica; e a i casi allude Che la Fama narrò: quella repente Con un altro l'assale. Una nel viso Di bell'ire s'infiamma: e l'altra i vaghi Labbri un poco si morde: e cresce in tanto E quinci ognor più violento e quindi Il trepido agitar de i duo ventagli. Così, se mai al secol di Turpino Di ferrate guerriere un paro illustre Si scontravan per via, ciascuna ambiva L'altra provar quel che valesse in arme;
La notte, vv. 1-60
Nè tu contenderai benigna Notte, Che il mio Giovane illustre io cerchi e guidi Con gli estremi precetti entro al tuo regno. Già di tenebre involta e di perigli, Sola squallida mesta alto sedevi Su la timida terra. Il debil raggio De le stelle remote e de' pianeti, Che nel silenzio camminando vanno, Rompea gli orrori tuoi sol quanto è duopo A sentirli assai più. Terribil ombra Giganteggiando si vedea salire Su per le case e su per l'alte torri Di teschi antiqui seminate al piede. E upupe e gufi e mostri avversi al sole Svolazzavan per essa; e con ferali
«La celebre notte ‘medievale’, iniziata su un tono altissimo, di largo respiro cosmico […], tutta corsa subito poi da sbattiti d’ombre e da voli sinistri, si chiude, qui, in accordo al suo avvio, suggerendo nuove lontananze e profondità di spazi: cinque versi, questi ultimi, ritmicamente ordinati a chiasmo (accenti principali di 4, 6, 10 nel primo e nel quinto, di 4, 8, 10 nel secondo e nel quarto: in mezzo, isolato, un endecasillabo di 3, 6, 10, Spargean lungo acutissimo lamento: centro della lacerazione fonica che si propaga in vasti cerchi di echi e silenzi). E già l’orecchio avvertito del Carducci ne rilevava l’armonia ‘ondulante’, conseguita però pienamente soltanto con la lezione degli Ambr. IV 15 e 17 che smorzano il fitto battito di 4, 6, 8, 10 del penultimo verso (Cui di lontan per entro al vasto buio)» (Isella, L’officina, p. 47).
La notte, vv. 25-29
E ¦ fa¦ma è an¦cor ¦ che ¦ pal¦li¦de ¦ fan¦ta¦si¦me
Che la Fama narrò: quella repente Con un altro l'assale. Una nel viso Di bell'ire s'infiamma: e l'altra i vaghi Labbri un poco si morde: e cresce in tanto E quinci ognor più violento e quindi Il trepido agitar de i duo ventagli. Così, se mai al secol di Turpino Di ferrate guerriere un paro illustre Si scontravan per via, ciascuna ambiva L'altra provar quel che valesse in arme;
La notte, vv. 1-60
Nè tu contenderai benigna Notte, Che il mio Giovane illustre io cerchi e guidi Con gli estremi precetti entro al tuo regno. Già di tenebre involta e di perigli, Sola squallida mesta alto sedevi Su la timida terra. Il debil raggio De le stelle remote e de' pianeti, Che nel silenzio camminando vanno, Rompea gli orrori tuoi sol quanto è duopo A sentirli assai più. Terribil ombra Giganteggiando si vedea salire Su per le case e su per l'alte torri Di teschi antiqui seminate al piede. E upupe e gufi e mostri avversi al sole Svolazzavan per essa; e con ferali
«La celebre notte ‘medievale’, iniziata su un tono altissimo, di largo respiro cosmico […], tutta corsa subito poi da sbattiti d’ombre e da voli sinistri, si chiude, qui, in accordo al suo avvio, suggerendo nuove lontananze e profondità di spazi: cinque versi, questi ultimi, ritmicamente ordinati a chiasmo (accenti principali di 4, 6, 10 nel primo e nel quinto, di 4, 8, 10 nel secondo e nel quarto: in mezzo, isolato, un endecasillabo di 3, 6, 10, Spargean lungo acutissimo lamento: centro della lacerazione fonica che si propaga in vasti cerchi di echi e silenzi). E già l’orecchio avvertito del Carducci ne rilevava l’armonia ‘ondulante’, conseguita però pienamente soltanto con la lezione degli Ambr. IV 15 e 17 che smorzano il fitto battito di 4, 6, 8, 10 del penultimo verso (Cui di lontan per entro al vasto buio)» (Isella, L’officina, p. 47).
La notte, vv. 25-29
E ¦ fa¦ma è an¦cor ¦ che ¦ pal¦li¦de ¦ fan¦ta¦si¦me
Di bell'ire s'infiamma: e l'altra i vaghi Labbri un poco si morde: e cresce in tanto E quinci ognor più violento e quindi Il trepido agitar de i duo ventagli. Così, se mai al secol di Turpino Di ferrate guerriere un paro illustre Si scontravan per via, ciascuna ambiva L'altra provar quel che valesse in arme;
La notte, vv. 1-60
Nè tu contenderai benigna Notte, Che il mio Giovane illustre io cerchi e guidi Con gli estremi precetti entro al tuo regno. Già di tenebre involta e di perigli, Sola squallida mesta alto sedevi Su la timida terra. Il debil raggio De le stelle remote e de' pianeti, Che nel silenzio camminando vanno, Rompea gli orrori tuoi sol quanto è duopo A sentirli assai più. Terribil ombra Giganteggiando si vedea salire Su per le case e su per l'alte torri Di teschi antiqui seminate al piede. E upupe e gufi e mostri avversi al sole Svolazzavan per essa; e con ferali
«La celebre notte ‘medievale’, iniziata su un tono altissimo, di largo respiro cosmico […], tutta corsa subito poi da sbattiti d’ombre e da voli sinistri, si chiude, qui, in accordo al suo avvio, suggerendo nuove lontananze e profondità di spazi: cinque versi, questi ultimi, ritmicamente ordinati a chiasmo (accenti principali di 4, 6, 10 nel primo e nel quinto, di 4, 8, 10 nel secondo e nel quarto: in mezzo, isolato, un endecasillabo di 3, 6, 10, Spargean lungo acutissimo lamento: centro della lacerazione fonica che si propaga in vasti cerchi di echi e silenzi). E già l’orecchio avvertito del Carducci ne rilevava l’armonia ‘ondulante’, conseguita però pienamente soltanto con la lezione degli Ambr. IV 15 e 17 che smorzano il fitto battito di 4, 6, 8, 10 del penultimo verso (Cui di lontan per entro al vasto buio)» (Isella, L’officina, p. 47).
La notte, vv. 25-29
E ¦ fa¦ma è an¦cor ¦ che ¦ pal¦li¦de ¦ fan¦ta¦si¦me
E quinci ognor più violento e quindi Il trepido agitar de i duo ventagli. Così, se mai al secol di Turpino Di ferrate guerriere un paro illustre Si scontravan per via, ciascuna ambiva L'altra provar quel che valesse in arme;
La notte, vv. 1-60
Nè tu contenderai benigna Notte, Che il mio Giovane illustre io cerchi e guidi Con gli estremi precetti entro al tuo regno. Già di tenebre involta e di perigli, Sola squallida mesta alto sedevi Su la timida terra. Il debil raggio De le stelle remote e de' pianeti, Che nel silenzio camminando vanno, Rompea gli orrori tuoi sol quanto è duopo A sentirli assai più. Terribil ombra Giganteggiando si vedea salire Su per le case e su per l'alte torri Di teschi antiqui seminate al piede. E upupe e gufi e mostri avversi al sole Svolazzavan per essa; e con ferali
«La celebre notte ‘medievale’, iniziata su un tono altissimo, di largo respiro cosmico […], tutta corsa subito poi da sbattiti d’ombre e da voli sinistri, si chiude, qui, in accordo al suo avvio, suggerendo nuove lontananze e profondità di spazi: cinque versi, questi ultimi, ritmicamente ordinati a chiasmo (accenti principali di 4, 6, 10 nel primo e nel quinto, di 4, 8, 10 nel secondo e nel quarto: in mezzo, isolato, un endecasillabo di 3, 6, 10, Spargean lungo acutissimo lamento: centro della lacerazione fonica che si propaga in vasti cerchi di echi e silenzi). E già l’orecchio avvertito del Carducci ne rilevava l’armonia ‘ondulante’, conseguita però pienamente soltanto con la lezione degli Ambr. IV 15 e 17 che smorzano il fitto battito di 4, 6, 8, 10 del penultimo verso (Cui di lontan per entro al vasto buio)» (Isella, L’officina, p. 47).
La notte, vv. 25-29
E ¦ fa¦ma è an¦cor ¦ che ¦ pal¦li¦de ¦ fan¦ta¦si¦me
Così, se mai al secol di Turpino Di ferrate guerriere un paro illustre Si scontravan per via, ciascuna ambiva L'altra provar quel che valesse in arme;
La notte, vv. 1-60
Nè tu contenderai benigna Notte, Che il mio Giovane illustre io cerchi e guidi Con gli estremi precetti entro al tuo regno. Già di tenebre involta e di perigli, Sola squallida mesta alto sedevi Su la timida terra. Il debil raggio De le stelle remote e de' pianeti, Che nel silenzio camminando vanno, Rompea gli orrori tuoi sol quanto è duopo A sentirli assai più. Terribil ombra Giganteggiando si vedea salire Su per le case e su per l'alte torri Di teschi antiqui seminate al piede. E upupe e gufi e mostri avversi al sole Svolazzavan per essa; e con ferali
«La celebre notte ‘medievale’, iniziata su un tono altissimo, di largo respiro cosmico […], tutta corsa subito poi da sbattiti d’ombre e da voli sinistri, si chiude, qui, in accordo al suo avvio, suggerendo nuove lontananze e profondità di spazi: cinque versi, questi ultimi, ritmicamente ordinati a chiasmo (accenti principali di 4, 6, 10 nel primo e nel quinto, di 4, 8, 10 nel secondo e nel quarto: in mezzo, isolato, un endecasillabo di 3, 6, 10, Spargean lungo acutissimo lamento: centro della lacerazione fonica che si propaga in vasti cerchi di echi e silenzi). E già l’orecchio avvertito del Carducci ne rilevava l’armonia ‘ondulante’, conseguita però pienamente soltanto con la lezione degli Ambr. IV 15 e 17 che smorzano il fitto battito di 4, 6, 8, 10 del penultimo verso (Cui di lontan per entro al vasto buio)» (Isella, L’officina, p. 47).
La notte, vv. 25-29
E ¦ fa¦ma è an¦cor ¦ che ¦ pal¦li¦de ¦ fan¦ta¦si¦me
Si scontravan per via, ciascuna ambiva L'altra provar quel che valesse in arme;
La notte, vv. 1-60
Nè tu contenderai benigna Notte, Che il mio Giovane illustre io cerchi e guidi Con gli estremi precetti entro al tuo regno. Già di tenebre involta e di perigli, Sola squallida mesta alto sedevi Su la timida terra. Il debil raggio De le stelle remote e de' pianeti, Che nel silenzio camminando vanno, Rompea gli orrori tuoi sol quanto è duopo A sentirli assai più. Terribil ombra Giganteggiando si vedea salire Su per le case e su per l'alte torri Di teschi antiqui seminate al piede. E upupe e gufi e mostri avversi al sole Svolazzavan per essa; e con ferali
«La celebre notte ‘medievale’, iniziata su un tono altissimo, di largo respiro cosmico […], tutta corsa subito poi da sbattiti d’ombre e da voli sinistri, si chiude, qui, in accordo al suo avvio, suggerendo nuove lontananze e profondità di spazi: cinque versi, questi ultimi, ritmicamente ordinati a chiasmo (accenti principali di 4, 6, 10 nel primo e nel quinto, di 4, 8, 10 nel secondo e nel quarto: in mezzo, isolato, un endecasillabo di 3, 6, 10, Spargean lungo acutissimo lamento: centro della lacerazione fonica che si propaga in vasti cerchi di echi e silenzi). E già l’orecchio avvertito del Carducci ne rilevava l’armonia ‘ondulante’, conseguita però pienamente soltanto con la lezione degli Ambr. IV 15 e 17 che smorzano il fitto battito di 4, 6, 8, 10 del penultimo verso (Cui di lontan per entro al vasto buio)» (Isella, L’officina, p. 47).
La notte, vv. 25-29
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La notte, vv. 1-60
Che il mio Giovane illustre io cerchi e guidi Con gli estremi precetti entro al tuo regno. Già di tenebre involta e di perigli, Sola squallida mesta alto sedevi Su la timida terra. Il debil raggio De le stelle remote e de' pianeti, Che nel silenzio camminando vanno, Rompea gli orrori tuoi sol quanto è duopo A sentirli assai più. Terribil ombra Giganteggiando si vedea salire Su per le case e su per l'alte torri Di teschi antiqui seminate al piede. E upupe e gufi e mostri avversi al sole Svolazzavan per essa; e con ferali
«La celebre notte ‘medievale’, iniziata su un tono altissimo, di largo respiro cosmico […], tutta corsa subito poi da sbattiti d’ombre e da voli sinistri, si chiude, qui, in accordo al suo avvio, suggerendo nuove lontananze e profondità di spazi: cinque versi, questi ultimi, ritmicamente ordinati a chiasmo (accenti principali di 4, 6, 10 nel primo e nel quinto, di 4, 8, 10 nel secondo e nel quarto: in mezzo, isolato, un endecasillabo di 3, 6, 10, Spargean lungo acutissimo lamento: centro della lacerazione fonica che si propaga in vasti cerchi di echi e silenzi). E già l’orecchio avvertito del Carducci ne rilevava l’armonia ‘ondulante’, conseguita però pienamente soltanto con la lezione degli Ambr. IV 15 e 17 che smorzano il fitto battito di 4, 6, 8, 10 del penultimo verso (Cui di lontan per entro al vasto buio)» (Isella, L’officina, p. 47).
La notte, vv. 25-29
E ¦ fa¦ma è an¦cor ¦ che ¦ pal¦li¦de ¦ fan¦ta¦si¦me
Già di tenebre involta e di perigli, Sola squallida mesta alto sedevi Su la timida terra. Il debil raggio De le stelle remote e de' pianeti, Che nel silenzio camminando vanno, Rompea gli orrori tuoi sol quanto è duopo A sentirli assai più. Terribil ombra Giganteggiando si vedea salire Su per le case e su per l'alte torri Di teschi antiqui seminate al piede. E upupe e gufi e mostri avversi al sole Svolazzavan per essa; e con ferali
«La celebre notte ‘medievale’, iniziata su un tono altissimo, di largo respiro cosmico […], tutta corsa subito poi da sbattiti d’ombre e da voli sinistri, si chiude, qui, in accordo al suo avvio, suggerendo nuove lontananze e profondità di spazi: cinque versi, questi ultimi, ritmicamente ordinati a chiasmo (accenti principali di 4, 6, 10 nel primo e nel quinto, di 4, 8, 10 nel secondo e nel quarto: in mezzo, isolato, un endecasillabo di 3, 6, 10, Spargean lungo acutissimo lamento: centro della lacerazione fonica che si propaga in vasti cerchi di echi e silenzi). E già l’orecchio avvertito del Carducci ne rilevava l’armonia ‘ondulante’, conseguita però pienamente soltanto con la lezione degli Ambr. IV 15 e 17 che smorzano il fitto battito di 4, 6, 8, 10 del penultimo verso (Cui di lontan per entro al vasto buio)» (Isella, L’officina, p. 47).
La notte, vv. 25-29
E ¦ fa¦ma è an¦cor ¦ che ¦ pal¦li¦de ¦ fan¦ta¦si¦me
Su la timida terra. Il debil raggio De le stelle remote e de' pianeti, Che nel silenzio camminando vanno, Rompea gli orrori tuoi sol quanto è duopo A sentirli assai più. Terribil ombra Giganteggiando si vedea salire Su per le case e su per l'alte torri Di teschi antiqui seminate al piede. E upupe e gufi e mostri avversi al sole Svolazzavan per essa; e con ferali
«La celebre notte ‘medievale’, iniziata su un tono altissimo, di largo respiro cosmico […], tutta corsa subito poi da sbattiti d’ombre e da voli sinistri, si chiude, qui, in accordo al suo avvio, suggerendo nuove lontananze e profondità di spazi: cinque versi, questi ultimi, ritmicamente ordinati a chiasmo (accenti principali di 4, 6, 10 nel primo e nel quinto, di 4, 8, 10 nel secondo e nel quarto: in mezzo, isolato, un endecasillabo di 3, 6, 10, Spargean lungo acutissimo lamento: centro della lacerazione fonica che si propaga in vasti cerchi di echi e silenzi). E già l’orecchio avvertito del Carducci ne rilevava l’armonia ‘ondulante’, conseguita però pienamente soltanto con la lezione degli Ambr. IV 15 e 17 che smorzano il fitto battito di 4, 6, 8, 10 del penultimo verso (Cui di lontan per entro al vasto buio)» (Isella, L’officina, p. 47).
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«La celebre notte ‘medievale’, iniziata su un tono altissimo, di largo respiro cosmico […], tutta corsa subito poi da sbattiti d’ombre e da voli sinistri, si chiude, qui, in accordo al suo avvio, suggerendo nuove lontananze e profondità di spazi: cinque versi, questi ultimi, ritmicamente ordinati a chiasmo (accenti principali di 4, 6, 10 nel primo e nel quinto, di 4, 8, 10 nel secondo e nel quarto: in mezzo, isolato, un endecasillabo di 3, 6, 10, Spargean lungo acutissimo lamento: centro della lacerazione fonica che si propaga in vasti cerchi di echi e silenzi). E già l’orecchio avvertito del Carducci ne rilevava l’armonia ‘ondulante’, conseguita però pienamente soltanto con la lezione degli Ambr. IV 15 e 17 che smorzano il fitto battito di 4, 6, 8, 10 del penultimo verso (Cui di lontan per entro al vasto buio)» (Isella, L’officina, p. 47).
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E ¦ fa¦ma è an¦cor ¦ che ¦ pal¦li¦de ¦ fan¦ta¦si¦me
A sentirli assai più. Terribil ombra Giganteggiando si vedea salire Su per le case e su per l'alte torri Di teschi antiqui seminate al piede. E upupe e gufi e mostri avversi al sole Svolazzavan per essa; e con ferali
«La celebre notte ‘medievale’, iniziata su un tono altissimo, di largo respiro cosmico […], tutta corsa subito poi da sbattiti d’ombre e da voli sinistri, si chiude, qui, in accordo al suo avvio, suggerendo nuove lontananze e profondità di spazi: cinque versi, questi ultimi, ritmicamente ordinati a chiasmo (accenti principali di 4, 6, 10 nel primo e nel quinto, di 4, 8, 10 nel secondo e nel quarto: in mezzo, isolato, un endecasillabo di 3, 6, 10, Spargean lungo acutissimo lamento: centro della lacerazione fonica che si propaga in vasti cerchi di echi e silenzi). E già l’orecchio avvertito del Carducci ne rilevava l’armonia ‘ondulante’, conseguita però pienamente soltanto con la lezione degli Ambr. IV 15 e 17 che smorzano il fitto battito di 4, 6, 8, 10 del penultimo verso (Cui di lontan per entro al vasto buio)» (Isella, L’officina, p. 47).
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«La celebre notte ‘medievale’, iniziata su un tono altissimo, di largo respiro cosmico […], tutta corsa subito poi da sbattiti d’ombre e da voli sinistri, si chiude, qui, in accordo al suo avvio, suggerendo nuove lontananze e profondità di spazi: cinque versi, questi ultimi, ritmicamente ordinati a chiasmo (accenti principali di 4, 6, 10 nel primo e nel quinto, di 4, 8, 10 nel secondo e nel quarto: in mezzo, isolato, un endecasillabo di 3, 6, 10, Spargean lungo acutissimo lamento: centro della lacerazione fonica che si propaga in vasti cerchi di echi e silenzi). E già l’orecchio avvertito del Carducci ne rilevava l’armonia ‘ondulante’, conseguita però pienamente soltanto con la lezione degli Ambr. IV 15 e 17 che smorzano il fitto battito di 4, 6, 8, 10 del penultimo verso (Cui di lontan per entro al vasto buio)» (Isella, L’officina, p. 47).
La notte, vv. 25-29
E ¦ fa¦ma è an¦cor ¦ che ¦ pal¦li¦de ¦ fan¦ta¦si¦me
E upupe e gufi e mostri avversi al sole Svolazzavan per essa; e con ferali
«La celebre notte ‘medievale’, iniziata su un tono altissimo, di largo respiro cosmico […], tutta corsa subito poi da sbattiti d’ombre e da voli sinistri, si chiude, qui, in accordo al suo avvio, suggerendo nuove lontananze e profondità di spazi: cinque versi, questi ultimi, ritmicamente ordinati a chiasmo (accenti principali di 4, 6, 10 nel primo e nel quinto, di 4, 8, 10 nel secondo e nel quarto: in mezzo, isolato, un endecasillabo di 3, 6, 10, Spargean lungo acutissimo lamento: centro della lacerazione fonica che si propaga in vasti cerchi di echi e silenzi). E già l’orecchio avvertito del Carducci ne rilevava l’armonia ‘ondulante’, conseguita però pienamente soltanto con la lezione degli Ambr. IV 15 e 17 che smorzano il fitto battito di 4, 6, 8, 10 del penultimo verso (Cui di lontan per entro al vasto buio)» (Isella, L’officina, p. 47).
La notte, vv. 25-29
E ¦ fa¦ma è an¦cor ¦ che ¦ pal¦li¦de ¦ fan¦ta¦si¦me
«La celebre notte ‘medievale’, iniziata su un tono altissimo, di largo respiro cosmico […], tutta corsa subito poi da sbattiti d’ombre e da voli sinistri, si chiude, qui, in accordo al suo avvio, suggerendo nuove lontananze e profondità di spazi: cinque versi, questi ultimi, ritmicamente ordinati a chiasmo (accenti principali di 4, 6, 10 nel primo e nel quinto, di 4, 8, 10 nel secondo e nel quarto: in mezzo, isolato, un endecasillabo di 3, 6, 10, Spargean lungo acutissimo lamento: centro della lacerazione fonica che si propaga in vasti cerchi di echi e silenzi). E già l’orecchio avvertito del Carducci ne rilevava l’armonia ‘ondulante’, conseguita però pienamente soltanto con la lezione degli Ambr. IV 15 e 17 che smorzano il fitto battito di 4, 6, 8, 10 del penultimo verso (Cui di lontan per entro al vasto buio)» (Isella, L’officina, p. 47).
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