Aa 2012-2013 sp 2013 Prof. Uberto motta corso monografico di letteratura moderna Le Odi e IL Giorno di Parini


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Sana29.09.2017
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#16801
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Il Mezzogiorno, vv. 1220-1254

Già di cocchi frequente il Corso splende:

E di mille che là volano rote

Rimbombano le vie. Fiero per nova

Scoperta biga il giovine leggiadro

Che cesse al carpentier gli avìti campi

Là si scorge tra i primi. All'un de' lati

Sdrajasi tutto: e de le stese gambe

La snellezza dispiega. A lui nel seno

La conoscenza del suo merto abbonda;

E con gentil sorriso arde e balena

Su la vetta del labbro; o da le ciglia,

Disdegnando, de' cocchi signoreggia

La turba inferior: soave intanto

Egli alza il mento, e il gomito protende;

E mollemente la man ripiegando,

Mz 1229: E con gentil sorriso arde e balena

Tasso, GL, XIX 70 1-4: Alza alfin gli occhi Armida, e pur alquanto / la bella fronte sua torna serena; / e repente fra i nuvoli del pianto / un soave sorriso apre e balena.

Il Mezzogiorno, 1255-1282

Di momento in momento il fragor cresce,

E la folla con esso. Ecco le vaghe

A cui gli amanti per lo dì solenne

Mendicarono i cocchi. Ecco le gravi

Matrone che gran tempo arser di zelo

Contro al bel Mondo, e dell'ignoto Corso

La scelerata polvere dannàro;

Ma poi che la vivace amabil prole

Crebbe, e invitar sembrò con gli occhi Imene,

Cessero alfine; e le tornite braccia,

E del sorgente petto i rugiadosi

Frutti prudentemente al guardo aprìro

Dei nipoti di Giano. Affrettan quindi

Le belle cittadine, ora è più lustri

Note a la Fama, poi che ai tetti loro

Dedussero gli Dei; e sepper meglio,

Il Mezzogiorno 1195-1219 Il Vespro 1-25

Già de le fere, e degli augelli il giorno,

E de' pesci notanti, e de' fior varj,

Degli alberi, e del vulgo al suo fin corre.

Di sotto al guardo dell'immenso Febo

Sfugge l'un Mondo; e a berne i vivi raggi

Cuba s'affretta, e il Messico, e l'altrice

Di molte perle California estrema.

Già da' maggiori colli, e da l'eccelse

Torri il Sol manda gli ultimi saluti

All'Italia, fuggente; e par, che brami

Rivederti, o Signore, anzi che l'Alpe,

O l'Appennino, o il mar curvo ti celi

Agli occhi suoi. Altro finor non vide,

Che di falcato mietitore i fianchi

Su le campagne tue piegati e lassi,

E su le armate mura or fronti or spalle

Carche di ferro, e su le aeree capre

Degli edificj tuoi man scabre e arsicce,

E villan polverosi innanzi ai carri

Gravi del tuo ricolto, e sui canali

E sui fertili laghi irsute braccia

Di remigante che le alterne merci

Al tuo comodo guida ed al tuo lusso,

Tutt'ignobili oggetti. Or colui vegga,

Che da tutti servito, a nullo serve.

G. Carducci, Storia del «Giorno»

«Felicissimo il trasferimento dal Mezzogiorno a qui della descrizione del tramonto. L’apertura del poemetto risponde così al principio del Mattino e al principio della Notte; e sta fra i due mirabile nella novità e larghezza della rappresentazione naturale e nella potenza ed efficacia della rappresentazione morale, riaffermando a mezzo il poema gli intendimenti sociali ed umani».

Il Vespro, 270-303

Già le fervide amiche ad incontrarse

Volano impazienti; un petto all'altro

Già premonsi abbracciando; alto le gote

D'alterni baci risonar già fanno;

Già strette per la man co' dotti fianchi

Ad un tempo amendue cadono a piombo

Sopra il sofà. Qui l'una un sottil motto

Vibra al cor dell'amica; e a i casi allude

Che la Fama narrò: quella repente

Con un altro l'assale. Una nel viso

Di bell'ire s'infiamma: e l'altra i vaghi

Labbri un poco si morde: e cresce in tanto

E quinci ognor più violento e quindi

Il trepido agitar de i duo ventagli.

Così, se mai al secol di Turpino

Di ferrate guerriere un paro illustre

Si scontravan per via, ciascuna ambiva

L'altra provar quel che valesse in arme;

La notte, vv. 1-60

Nè tu contenderai benigna Notte,

Che il mio Giovane illustre io cerchi e guidi

Con gli estremi precetti entro al tuo regno.

Già di tenebre involta e di perigli,

Sola squallida mesta alto sedevi

Su la timida terra. Il debil raggio

De le stelle remote e de' pianeti,

Che nel silenzio camminando vanno,

Rompea gli orrori tuoi sol quanto è duopo

A sentirli assai più. Terribil ombra

Giganteggiando si vedea salire

Su per le case e su per l'alte torri

Di teschi antiqui seminate al piede.

E upupe e gufi e mostri avversi al sole

Svolazzavan per essa; e con ferali

«La celebre notte ‘medievale’, iniziata su un tono altissimo, di largo respiro cosmico […], tutta corsa subito poi da sbattiti d’ombre e da voli sinistri, si chiude, qui, in accordo al suo avvio, suggerendo nuove lontananze e profondità di spazi: cinque versi, questi ultimi, ritmicamente ordinati a chiasmo (accenti principali di 4, 6, 10 nel primo e nel quinto, di 4, 8, 10 nel secondo e nel quarto: in mezzo, isolato, un endecasillabo di 3, 6, 10, Spargean lungo acutissimo lamento: centro della lacerazione fonica che si propaga in vasti cerchi di echi e silenzi). E già l’orecchio avvertito del Carducci ne rilevava l’armonia ‘ondulante’, conseguita però pienamente soltanto con la lezione degli Ambr. IV 15 e 17 che smorzano il fitto battito di 4, 6, 8, 10 del penultimo verso (Cui di lontan per entro al vasto buio)» (Isella, L’officina, p. 47).

La notte, vv. 25-29

E ¦ fa¦ma è an¦cor ¦ che ¦ pal¦li¦de ¦ fan¦ta¦si¦me


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