Segreto professionale


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Sana23.07.2020
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Il segreto professionale è diventato un argomento critico


Il segreto professionale è diventato un argomento critico, mai era stato messo in discussione così tanto da determinare profondi contrasti tra diritto, deontologia ed etica.

Tutela della privacy o garantire la salute della comunità?

I professionisti sanitari ancora oggi si ritrovavano a dover affrontare questo conflitto tra due diversi interessi entrambi meritevoli di tutela tra leggi ed etica sociale.

Il segreto professionale indica un obbligo normativo a carico di alcune figure professionali di non rivelare o pubblicizzare informazioni, per le quali vi è imposto uno specifico obbligo di segretezza, stabilito dall’articolo 622 del codice penale, art 27 del Codice deontologico infermieristico e art 10 del codice deontologico medico. Le motivazioni del segreto professionale si fondano sul rispetto della persona umana, della sua dignità e dei suoi diritti, riconosciuti dalla Costituzione italiana.

CASO 1: ROMA 9 maggio 92 -QUEL SEGRETO NON ANDAVA VIOLATO: "Mancinelli ha l'Aids" titolavano in prima pagina i giornali. Così il dramma dell'ex olimpionico italiano di equitazione è diventato di dominio pubblico.

Tutela privacy < salute della comunità

La legge 135 del 1990 è caratterizzata da contenuti garantisti nei confronti del soggetto ammalato, sancisce il divieto di diffondere notizie relative allo stato di salute del sieropositivo senza avere il consenso per farlo. Alla luce di tali disposizioni, le garanzie sulla tutela del segreto sulle condizioni di salute del soggetto sieropositivo, sembrerebbero prevalere sulla necessità di tutela della salute pubblica. D’altronde, non si può fare però a meno di considerare che il singolo interagisce con la collettività, e che non sempre tali interazioni sono esenti da rischi. L’esempio più eclatante in merito a questo aspetto si verifica quando un soggetto HIV positivo non voglia avvertire il partner sessuale del rischio (evitabile) di contagio, e magari assuma comportamenti incongrui o decisamente pericolosi in tal senso: se il medico, specie quello di famiglia, che non di rado ha tra i suoi assistiti sia l’uno che l’altro, tace, ha garantito la riservatezza, ma non ha impedito l’esposizione al contagio di un’altra persona.


CASO: Roma, contagiò donne con Hiv: "Talluto consapevole del rischio". Ha scoperto nel 2006 di essere sieropositivo e ha contagiato oltre 33 donne.


Viceversa, se viola il segreto professionale, mette in atto una misura che potrebbe ridurre il rischio di infezione del partner.
Un comportamento passivo del medico di fronte all’accertato rifiuto del paziente di comunicare al partner lo stato di sieropositività, rappresenterebbe il “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire” (art. 40 c.p.).
Ad ogni modo, allo stato attuale non è possibile definire con certezza un modo sicuramente valido di comportarsi che impedisca al medico di incorrere in un reato. Si consideri che difficilmente la rivelazione di segreto professionale sarà punibile disciplinarmente o penalmente, quando sia motivata dalla necessità di evitare un concreto pericolo di contagio.
Il medico, però, dovrà dimostrare di aver messo in atto ogni tentativo possibile per convincere il proprio assistito ad informare le persone potenzialmente esposte al pericolo di trasmissione della malattia, prima di procedere alla rivelazione del segreto professionale. La fondazione della deroga al segreto si ritrova nel principio di giustizia, cioè nella necessità di evitare un danno ingiusto un terzo innocente o a se stesso, in quanto il beneficiario del segreto rappresenta un ingiusto aggressore. Dal punto di vista giuridico, le diverse figure penalistiche che vietano la rivelazione del segreto sembrano consentire- seppur non univocamente nel contesto italiano - l'effettiva possibilità di superare la barriera del silenzio cui in via generale è tenuto il medico. Sono state proposte diverse interpretazioni per consentire giuridicamente al medico di fare ciò che la coscienza etica spesso lo sollecita a fare: dall'applicazione dello stato di necessità (art. 54 c.p.) alla clausola della giusta causa, alla delegazione allo Stato e alle autorità nazionali territoriali competenti, all'analisi dell'elemento delle qualifiche soggettive individuabili in capo al medico.

Sintetizzando l'ampio dibattito sul tema possiamo elencare le condizioni etiche per la rivelazione a un terzo dello stato di sieropositività di un paziente:

1. che la necessità di rivelare scaturisca dall'esigenza di tutelare un diritto pari o superiore a quello- fondamentale - alla riservatezza: in pratica solo la vita o l'incolumità di terzi;

2. che il destinatario della rivelazione sia solo il coniuge o il partner convivente ignaro

3. che l'operatore sanitario abbia esperito ogni tentativo per convincere

il paziente della necessità di rivelare il segreto e che non ci sia altro modo

per tutelare la salute del terzo;

4. che l'operatore sanitario nella rivelazione adotti tutte le cautele possibili, impegnandosi a fornire assistenza psicologica all'informato e non riveli più di quanto necessario al fine suddetto.



Nel dubbio l'operatore sanitario è chiamato a rivolgersi agli esperti di cui ogni ordine professionale dovrebbe disporre per il sostegno nella risoluzione di questioni eticamente e giuridicamente complesse.
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