1 Distintivi con decorazione e Dame Patronesse 2
si attesta sul Piave dopo Caporetto
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si attesta sul Piave dopo Caporetto
Capor
Capor etto 8 novembr etto 8 novembr e 1917: soldati austriaci all’attacco e 1917: soldati austriaci all’attacco
IL NASTRO AZZURRO 27 Presidente del Consiglio Vittorio Emanuele Orlando con il ministro Sonnino. Ognuno dei capi di governo era assisti- to dai propri ufficiali di stato maggiore. Per la Francia era presente Foch, per l'inghilterra Robertson e Wilson, per l'Italia il gen. Porro, Sottocapo di Stato Maggiore. Furono quelle per noi ore di vera agonia, prevalse l'opinione, sostenuta da Foch, di consentire l'invio in Italia di truppe alleate, ma la risoluzione di massima lasciava aperte molte questioni particolari, la cui gravità non era certo minore, relative al numero di truppe da inviare e al momento di farle entrare in azione. Gli alleati chiesero in modo categorico che venisse sostituito il generale Cadorna al comando supremo con altro comandante, tuttavia fra gli alleati permanevano perplessità circa la possibilità effettiva che l'Esercito Italiano potesse resiste- re sul Piave. Si decise quindi di ritrovarsi il giorno successivo, 18 novembre, a Peschiera del Garda per un nuovo convegno al quale partecipava anche il Re Vittorio Emanuele III. La riunione avvenne in una modestissima sede di Comando di Battaglione (in una ex scuola) con unico arredamento un tavolo e qualche sedia e una stufa in terracotta. Alle 10 del mattino il Re, accompagnato dal primo ministro Orlando e dai ministri Sonnino e Bissolati, giunse nel loca- le dove lo attendevano il francese Painleve, il generale Foch, l'inglese Lloyd Gorge, i generali Robertson e Wilson. La riunione durò circa due ore presieduta dal Re che, unico rappresentante dell'Esercito Italiano, con asso- luta padronanza dell'argomento, parlando sempre in inglese, espose la situazione della difesa e le condizioni del nostro esercito, smentì le sinistre e catastrofiche noti- zie fatte cor- rere sul
" M a n u a l e del soldato i t a l i a n o " , affermando che le risolu- zioni prese dal nostro C o m a n d o non sareb- bero in nes- suna manie- ra mutate, d o v e n d o bastare il nostro eser- cito, senza aiuti, ad assi- curare la difesa del suolo Patrio. La virtù p e r s u a s i v a della sue argomenta- zioni e, più di tutto, la sua fiera ed i l l i m i t a t a sicurezza nelle qualità guerriere del soldato italiano, prevalsero a dissipare le errate opi- nioni degli alleati ed a convincerli che il nostro esercito non avrebbe indietreggiato di un passo dalla linea fissata per la difesa. Gli alleati si inchinarono dinanzi alla chiara espo- sizione del sovrano ed alla fermezza della sua volontà, ed al termine del convegno resero con irresistibile impulso spontanea testimo- nianza di tutta la loro ammirazione al Re Vittorio. Dopo la sostituzione del generale Cadorna col generale Armando Diaz, il 2 novembre giunsero a Vicenza due divisioni francesi, seguirono due divisioni inglesi che si radunarono a Mantova ed infine, tra il 20 novembre ed il 2 dicembre giunsero ancora cinque divisioni alleate: tre francesi e due inglesi. Comandava le truppe francesi il gene- rale Fayoll e le inglesi il generale Plimentare. Cadorna seppe della sua sostituzione già il 7 novembre dal generale Porro proveniente da Rapallo. Per contentino fu nominato rappre- sentante per l'Italia nel Consiglio Superiore Interalleato. L'8 novembre 1932 nella scuola fu murata una lapide con l'epigrafe: "Con fede incrollabile nella gagliarda virtù dei sol- dati d'Italia, S.M. il Re Vittorio Emanuele III l'8 novembre 1917 qui, con appassionata e sag- gia parola, alimentata da immenso amore per la Patria, sostenne che l'esercito italiano avrebbe combattuto fieramente con gli allea- ti e avrebbe sul Piave difeso con le sorti dell'Italia le fortune comuni”. Napoli 8 novembre 1932 Pr Pr
ofughi durante la ritirata di Capor etto
etto Il Re V
Il Re V ittorio Emanuele III e il ittorio Emanuele III e il generale Ar generale Ar mando Diaz mando Diaz
IL NASTRO AZZURRO 28 LA BATTAGLIA DI MONTELUNGO C hi da Napoli risale la penisola verso Roma, lungo la consolare Via Casilina poco oltre Mignano, trova la piana di Cassino sbarrata da una monta- gna carsica, alta sui 300 metri, per la sua forma allun- gata chiamata Montelungo. Alle pendici di questa montagna il viaggiatore trova, un po' sorpreso, un grande cimitero di guerra che raccoglie le salme dei sol- dati italiani come ricorda la lapide affissa all'entrata:
Questa lapide venne dettata dal Ten. Luigi Colombo di Lecco, per i fanti del 67° Reggimento Fanteria sepol- ti in quel cimitero insieme ai caduti delle unità regola- ri nella Guerra di Liberazione. L'8 settembre colse la Divisione Legnano, di cui il 67° Rgt. Fanteria faceva parte, in trasferimento da Bologna alla Puglia. I fanti del 67° accolsero la notizia dell'armistizio con pensosa serenità, con l'esatta valuta- zione che in quell'ora la Patria chiedeva loro la supre- ma prova di fedeltà. Non si sbandarono quei fanti, non accolsero l'invito da più parti rivolto loro di abbando- nare il reparto perché la guerra era finita, ma si strinse- ro compatti intorno alla loro Bandiera ed al loro Comandante, Col. Ulisse Bonfigli, pronti ad eseguire gli ordini del governo legittimo nel frattempo trasferitosi a Brindisi per evitare una prevedibile cattura. Tre giorni dopo soltanto, il Comando Supremo, preso atto dell'aggressione tedesca operata contro tutti i nostri reparti, ordinava a tutte le Forze Armate di considerare da quel momento i tedeschi come nemici e di agire di conseguenza. Il Reggimento attuava così schieramenti difensivi a Francavilla, a Brindisi, a Fasano e a S. Vito che lo mettevano subito di fronte al nuovo nemico. Ma lo sfacelo materiale e morale della Nazione, la dura presenza del- l'occupante, la necessità di riportare la Patria nel novero delle nazioni libere, esige- vano ben altro. Ed il 28 settembre veniva costituito il I° Raggruppamento Motorizzato composto dal 67° Rgt. Fanteria, dal LI° Battaglione Bersaglieri e dall'11° Reggimento Artiglieria e da altre unità divi- sionali alle dipendenze della V° Armata americana.
come ebbe ad esprimersi il suo Comandante Gen. Vincenzo Dapino, nel suo primo ordine del giorno. Cimitero di guerra di Montelungo Topografia satellitare di Montelungo IL NASTRO AZZURRO 29 Ma finalmente il Raggruppamento venne messo a disposizione del II° Corpo d'Armata americano, coman- dato dal Gen. Keyes, ed il 6 dicembre ebbe l'ordine di tenersi pronto ad "attaccare, prendere e mantenere
americana. All'alba dell'8 dicembre, ovattata di densa nebbia, i fanti del I° Battaglione del 67° balzavano con impeto all'attacco delle posizioni nemiche. Purtroppo, però, le informazioni date dai comandi americani non risultava- no esatte e quel che è peggio l'azione di appoggio late- rale da parte della 36° Divisione americana venne a mancare; i fanti del 67° e i bersaglieri del LI° si trovaro- no così contro forze nemiche ben più consistenti del previsto ed esposti al fuoco concentrico delle artiglierie germaniche. L'attacco fallì, i fanti e i bersaglieri dovettero ripie- gare sulle posizioni di partenza lasciando sul terreno 47 morti di cui 4 ufficiali, 102 feriti di cui 9 ufficiali e 151 dispersi. Ma non mancò il valore! Il Comandante della 36° Div. Americana espresse il suo elogio per il "magnifico comportamento" delle truppe ed il nemico ne fu fortemente sorpreso. Ne fanno fede le parole di un ufficiale tedesco, reduce da Monte Lungo, al padre del caduto A.U.C. Cheleschi:
Qualificati uomini politici ebbero ad insorgere con- tro "lo stupido macello" ma un fante disse per tutti al Colonello Comandante: "Signor Colonello, noi tornere- mo lassù e nessuno ci farà tornare indietro". Venne così l'alba del 16 dicembre. Un'alba radiosa promessa di sicura vittoria. Ed invero fu un balzo, una corsa, una carica! A sera Montelungo era conquistato e saldamente presidiato da truppe italiane. La via per Cassino era finalmente aperta. Le nostre perdite della giornata furono di 10 morti tutti ufficiali, 30 feriti e 8 dispersi. Quelle del nemico 100 tra morti e feriti oltre a parecchi prigionieri. Tutti i comandanti alleati fecero pervenire il loro "più alto elogio", il Gen. Clark Comandante la V^ Armata americana telegrafò: "Questa azione dimostra la determinazione dei soldati italiani a liberare il loro paese dalla dominazione tedesca, determinazione che può ben servire come esempio ai popoli oppressi d'Europa". E come riconoscimento di tanto valore nella succes- siva estate la bandiera del 67° entrava in Roma libera- ta insieme alle bandiere Alleate decorata della Medaglia d'Oro al V.M. Questa la gloria purissima del "primo reggimento della riscossa" che brilla sulle croci del cimitero di guer- ra di Montelungo sulla strada di Roma. Ma la capacità operativa ed il valore dimostrato dai fanti e dai bersaglieri del I° Reggimento Motorizzato consentirono allo S.M. Italiano di costituire successiva- mente 5 gruppi di combattimento: Legnano, Cremona, Friuli, Folgore e Mantova che parteciparono a tutte le operazioni dal Volturno, al fronte adriatico, a Venezia col sacrificio tra morti, feriti e dispersi di 2713 uomini di cui 134 ufficiali. Ten. Col. Avv. Giorgio Anselmi (Presidente della Federazione di Ferrara) G iorgio Anselmi: Classe 1915 - Ufficiale dell'Accademia Militare di Modena (77° Corso Allievi Ufficiali). Nel 1943 era Aiutante Maggiore in Prima del 67° Reggimento Fanteria col grado di Capitano. Il 16 dicembre 1943, giorno del secondo e vittorioso attacco alle postazioni nemiche, volontariamente si offri per prende- re il comando del II° Battaglione del 67° Rgt. Fanteria rimasto vacante. Decorato con due Medaglie di Bronzo al Valor Militare. Nel 1946 col grado di Maggiore, lascia la carriera militare per dedicarsi all'attività forense. Attualmente è Presidente Onorario dell'Unione Nazionale Ufficiali in Congedo d'Italia sez. di Ferrara. Il Tenente colonnello MBVM Giorgio Anselmi Presidente della Federazione di Ferrara 30 IL NASTRO AZZURRO S trano destino quello di due città pugliesi, sorte qualche migliaio di anni fa, ad una manciata di chilometri di distanza, una sulla riva destra, l'altra su quella sinistra dell'Aufidus (il fiume Ofanto che scor- re in Puglia tra la Daunia e la Peucetia). Entrambe furo- no teatro di due grandi battaglie, perse dai romani contro due eserciti giunti da lontano, rispettivamente agli ordini di: – Pirro, re dell'Epiro, nel 279 a. C.; – Annibale, condottiero cartaginese, nel 216 a. C. Entrambe le città trassero grande fama da quelle battaglie: la prima Ausculum Apulo (l'attuale Ascoli Satriano) divenne addirittura proverbiale e “osculana pugna” (la battaglia di Ascoli) fu nella lingua latina, per migliaia di anni, sinonimo di vittoria che arreca più danni al vincitore che allo sconfitto, ovvero "vitto- ria di Pirro". Tramontato l'uso del latino, caddero lentamente nell'oblio sia il ricordo dell'osculana pugna, sia quello della città nei cui pressi si svolse la battaglia. Molto più duratura è stata invece la fama della battaglia di Canne, tuttora arcinota e non solo in Italia (pare che venga studiata persino nell'Accademia di West Point negli USA). Eppure se ci prendessimo la briga di percorrere la valle dell'Ofanto scopriremmo che l'antica Ausculum è diventata una moderna e fio- rente città d'arte; mentre Canne non esiste più e del- l'antica città, cinta da possenti mura ai cui piedi si con- sumò il massacro di 35.000 romani (1), rimangono oggi soltanto pochi ruderi calcinati dal sole ed erosi dai venti. Sappiamo tutto della battaglia di Canne, ma poco ricordiamo della battaglia di Ausculum dove le falangi di Pirro ebbero ragione (a caro prezzo) delle legioni di Publio Decio Mure e di Publio Sulpicio. Entrambi gli eserciti schieravano circa 85.000 soldati, ma Pirro pote- va contare su 19 dei 20 elefanti da guerra che l'anno precedente (280 a. C.), ad Eraclea, avevano terrorizzato i legionari romani e avevano contribuito decisamente alla vittoria degli Epiroti. I romani, dopo Eraclea, erano corsi ai ripari, e ave- vano fatto costruire 300 carri da combattimento a 4 ruote, muniti di vari marchingegni studiati apposita- mente per fronteggiare e contrastare i "buoi lucani" come essi avevano battezzato gli elefanti di Pirro, mai visti prima di allora. Ma che ci faceva Pirro da queste parti? È questa una bella domanda che presuppone un breve cenno sulla situazione politico-militare nel Mediterraneo dove, con alterna fortuna, si contendevano la leadership i carta- ginesi, i greci e le colonie greche della Magna Grecia (tra le quali primeggiavano Taranto, fondata dagli Spartani 5 secoli prima, nel 706 a. C., e Siracusa). In questo scenario da qualche tempo cercava di inserirsi con sempre maggior vigore la Lupa Capitolina che, abbandonati i panni di cucciola, mostrava sempre di più i denti ferini, specie nei territori dove, fino ad allora, Taranto non aveva avuto rivali. Quest'ultima, dunque, sentendosi minacciata, chiamò Pirro perché l'aiutasse a tenere a bada l'invadente vicino. Quella di chiedere aiuto alla madrepatria era diven- tata una consuetudine da quando gli agi, i lussi e le abbondanti ricchezze avevano fatto perdere ai taranti- ni le antiche virtù spartane e li avevano indotti ad affi- dare la propria sopravvivenza all'oro dei suoi forzieri, piuttosto che al ferro delle proprie spade. Già qualche OSCULANA PUGNA O VITTORIA DI PIRRO? Veduta di Ascoli Satriano 31 IL NASTRO AZZURRO decennio prima (338 a. C.), per venire a capo della Lega ltalica che, capeggiata da Manduria, si contrapponeva fieramente alle sue mire espansionistiche, Taranto si era rivolta ad Archidamo III°, re di Sparta. Questi accol- se volentieri la richiesta dei discendenti degli antichi coloni spartani, anche se l'impresa non appariva del tutto semplice. Infatti Archidamo trovò morte gloriosa mentre, espugnata la terza cerchia di mura intorno a Manduria, si accingeva ad espugnare la seconda. Come Taranto, altre colonie della Magna Grecia chiedevano volentieri l'aiuto della madrepatria. Nel 304 a. C., ad esempio, Agatocle di Siracusa, divenuto re di Sicilia, per liberarsi della invadente presenza dei car- taginesi, chiese l'aiuto dei greci della madrepatria. Memore però di quanto era toccato 34 anni prima ad Archidamo III°, stette bene attento a cercare il proprio alleato e fra i tanti generali che si erano fatte le ossa alla scuola di Alessandro Magno, e scelse Demetrio (figlio di Agapito: uno dei migliori generali del grande Alessandro) perché sul suo biglietto da visita risaltava in tutta evidenza il soprannome di "Poliorcete", ossia di "assediatore di città" (che riusciva ad espugnare gra- zie all'impiego di ordigni e macchine da assedio di nuova concezione). Tornando a Pirro, diremo che questi fu ben lieto di accogliere la richiesta di aiuto dei tarantini perché, avendo conquistato tutto ciò che c'era da conquistare in Epiro, sperava in cuor suo di ingrandire il proprio regno nei vasti territori della Magna Grecia. Sbarcato in Italia con 20.000 tra fanti e cavalieri, sbaragliò facilmente i Romani ad Eraclea nel 280 a. C. grazie all'aiuto di 20 elefanti da guerra che seminaro- no il terrore tra i romani che mai, prima di allora, ave- vano visto un pachiderma. Dopo la folgorante vittoria, Pirro cercò invano di indurre le città alleate dei Romani a passare dalla sua parte. Quasi tutte rimasero fedeli a Roma e Pirro si con- vinse che solo un'altra grande vittoria avrebbe potuto indurre le città confederate a ribellarsi. Trascorse quin- di il successivo inverno fra le mura accoglienti di Taranto dove, a stento, costrinse la popolazione maschile ad esercitarsi nelle arti marziali: per riuscirci dovette far chiudere le piscine, le terme, i ginnasi, le case di piacere e tutti gli altri luoghi dove i giovani ram- polli locali erano soliti trascorrere oziosi il proprio tempo. In qualche maniera i suoi sforzi ebbero succes- so tanto che, nella primavera dell'anno successivo (279 a. C.), Pirro poté mettere in campo 85.000, tra fanti e cavalieri, e 19 dei suoi preziosi elefanti. Prese a distrug- gere e incendiare città e villaggi pugliesi, rimasti fedeli L’itinerario della campagna d’Italia di Pirro
IL NASTRO AZZURRO 32 a Roma, quando, giunto nei pressi di Ausculum, fu affrontato dalle legioni di Publio Decio Mure e Publio Sulplicio che vantavano una forza militare pressoché pari alla sua. Dionigi di Alicarnasso (2) ci ha lasciato una cronaca della battaglia (Antichità romane XX 1-3) abbastanza esauriente e precisa ma talmente lunga da saturare abbondantemente qualsiasi possibilità di accoglienza nelle pagine di questo periodico. Sintetizzando al mas- simo diremo soltanto che lo scontro fu durissimo e che le sorti rimasero incerte sino alla fine; uno dei consoli romani rimase ucciso (3) e Pirro stesso rimase ferito ad un braccio da un giavellotto. Dionigi di Alicarnasso riferisce che Pirro, attorniato da una schiera di 2.000 cavalieri scelti, accorreva in tutte le direzioni per dare man forte in qualsiasi setto- re ve ne fosse bisogno facendo intervenire i suoi ele- fanti al di fuori della portata dei terribili carri messi in campo dai romani, ma non poté impedire che il suo accampamento, posto a Nord del fiume, fosse devasta- to e incendiato dai 4.000 fanti e 400 cavalieri dauni di Argirippi (l'attuale, Arpi) giunti in ritardo a dar man forte ai romani e che, per questo motivo, ebbero la possibilità di prendere alla spalle l'esercito di Pirro. Secondo Plutarco (4) e Mommsen (5) la battaglia durò due giorni, mentre Dionigi di Alicarnasso la fa durare solo un giorno. Tutti però concordano sul fatto che i Romani, rimasti privi del loro comandante Publio Decio Mure, si ritirarono ordinatamente, lasciando tec- nicamente la vittoria a Pirro, una vittoria pagata a un prezzo cosi caro da non poter essere sfruttata. Infatti, mentre i romani ebbero 4.000 morti, i greco- epiroti ne ebbero circa 7.000, talché Pirro guardando desolato il campo di battaglia, ebbe a dire: "Un'altra vittoria così e me ne torno in Patria senza soldati". Ma soprattutto si rese conto che non poteva continuare ad avanzare tra villaggi e tribù ostili, senza aver prima distrutto l'esercito romano. Questo però non era stato affatto distrutto nella battaglia di Ascoli e, nonostante si fosse ritirato, ne era uscito più forte dell'esercito avversario, e già le città alleate di Roma lo stavano accrescendo di nuovi contingenti militari. Il terzo e decisivo scontro si ebbe tre anni dopo a Maleventum. Qui il console Manlio Curio Dentato inflisse una sconfitta durissima agli Epiroti. Era la fine dell'avventura italiana di Pirro che abbandonò l'Italia. La località dove avvenne lo scontro fu ribattezzata Beneventum. Tutte le città della Magna Grecia si mise- ro sotto la protezione di Roma, e questa stabilì defini- tivamente l'egemonia politica sul mondo ellenista della Magna Grecia e quindi sull'intera Italia meridionale. Pirro, tornato in Patria, riprese a combattere contro l'una o l'altra fazione in cui il mondo greco era stato sempre diviso finché, nel 272 a C., colpito al capo, morì ad Argo, combattendo contro Antigono, signore della Macedonia. Né da una lancia, né da un giavellotto e Pir
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