Museo Archeologico Nazionale di Fratta Polesine, Barchesse di Villa Badoer IL villaggio di Frattesina e le sue necropoli XII x secolo a. C


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LA CRONO-TIPOLOGIA

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L’abitato di Frattesina

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Sala III

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Piano Terra, 

Sala III

Il villaggio si estende per oltre 20 ettari (circa 800 m di lunghezza ed una larghezza massima 

di 300 m) dei quali meno di un decimo è stato oggetto di indagini scientifi che: scavi e raccolte di 

superfi cie sistematiche. Il villaggio fu edifi cato su un debole rilievo, forse di origine alluvionale, 

in prossimità della sponda destra dell’antico “Po di Adria”, che costituiva pertanto il limite 

settentrionale dell’abitato. Ad est, sud e ovest, in assenza di dati certi, è ipotizzabile la presenza 

di strutture difensive analoghe a quelle di altri villaggi dell’Età del bronzo, in particolare quelli 

“terramaricoli”, di poco più antichi e dotati di argine in terra e fossato e/o palizzata.

La distribuzione delle abitazioni, fi tta e uniforme, presuppone una popolazione di diverse 

centinaia di individui. Tra le abitazioni e particolarmente nell’area centrale del villaggio, si trovano 

anche i laboratori artigianali. Ben distinte sono invece le due aree destinate alla sepoltura: la 

necropoli di Fondo Zanotto, 500 m a sud est, e la necropoli di Narde, 700 m a nord.



L’ABITATO DI FRATTESINA

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LA VITA  NEL VILLAGGIO

La vita nel villaggio era scandita da attività quotidiane di tipo domestico ed artigianale 

strettamente connesse alla capanna, intesa come abitazione e talora anche come laboratorio. In 

particolare, la sorprendente mole di manufatti legati all’artigianato e la loro fi tta distribuzione 

fanno intuire come quest’ultimo avesse un ruolo fondamentale e propulsivo per l’economia del 

villaggio. All’eccezionale produzione artigianale si affi ancava l’attività di scambio dei prodotti 

fi niti e delle materie prime, che inseriva Frattesina in una rete di contatti a media e lunga 

distanza dal nord Europa al Mediterraneo Orientale.

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La struttura più antica fi nora indagata è la capanna Zeta, databile attorno all’XI sec. a.C. 

L’incendio che l’ha distrutta ha permesso la conservazione di parte della pavimentazione e 

dell’intonaco in argilla (cotti dal fuoco) e di pali carbonizzati. La pianta di forma pressappoco 

ovale ha dimensioni modeste (4x3 m). Dell’alzato in pali portanti e frasche intonacate di argilla 

rimangono frammenti di intonaco con impronte di rami o canne. Forse pertinenti al tetto 

sono i resti di due pali carbonizzati, crollati sul pavimento. All’interno della capanna sono stati 

individuati quasi unicamente materiali ceramici, che suggeriscono una funzione di magazzino 

in alternativa a quella abitativa.

Tra X e IX sec. a.C., in seguito ad un imponente episodio alluvionale, il villaggio si riorganizza: 

le capanne, ora a pianta quadrangolare, hanno dimensioni maggiori e sono più diradate. Come 

nella fase precedente, i resti della struttura abbandonata vengono coperti con argilla pulita che 

ha funzione di base per l’impianto di una successiva costruzione. Vicino alle capanne si trovano 

grandi buche per i rifi uti o per seppellire i resti di strutture distrutte.



LA CASA

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La capanna rappresentava il fulcro della vita familiare. All’interno era posto il focolare, realizzato 

in argilla mista a limo indurita per effetto del calore, di forma più o meno quadrangolare e di 

poco rilevato rispetto al pavimento in battuto. Punto d’incontro e di convivio, intorno al focolare 

si preparavano le pietanze, si consumavano i pasti, si conversava. Altre attività domestiche, oltre 

alla lavorazione e preparazione degli alimenti, erano rivolte al trattamento delle fi bre  tessili 

(fi latura e tessitura), di esclusiva pertinenza femminile. Anche lavorazioni più complesse e di tipo 

artigianale, talvolta legate all’uso del fuoco (metallurgia, vetro), sembra fossero svolte all’interno o 

in prossimità delle abitazioni stesse e non in zone specifi che dell’abitato destinate esclusivamente 

ad attività di laboratorio.



VITA DOMESTICA

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L’alimentazione si basava essenzialmente sui prodotti provenienti dalla coltivazione dei 

campi, dall’allevamento ed in misura minore dalle attività di caccia, pesca e raccolta di specie 

selvatiche.

Alla cottura dei cibi (principalmente zuppe di legumi e cereali) erano destinate le olle, 

contenitori ovoidali con fondo piatto talvolta dotati di coperchio dalla forma troncoconica o 

discoidale. Sempre destinati alla cottura erano i fornelli a piastra circolare con corpo troncoconico 

e apertura alla base per caricare le braci; gli alimenti venivano cotti sulla piastra riscaldata e chiusa 

da una sorta di teglia con piccole maniglie orizzontali.

LA COTTURA DEI CIBI

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IL TRATTAMENTO E LA CONSERVAZIONE DEGLI ALIMENTI

Tra le attività di lavorazio-

ne degli alimenti è la moli-

tura dei cereali, per la quale 

si utilizzavano macine realiz-

zate da un blocco di pietra 

abrasiva con un lato accura-

tamente spianato che diveni-

va concavo per l’azione del 

macinello, piccolo ciottolo 

in pietra. Alla conservazione 

degli alimenti (liquidi e soli-

di) erano destinati diversi tipi 

di contenitori fi ttili: dai vasi 

di forma biconica ai grandi 

dolii. Oggetti di uso partico-

lare erano i vasi a colino, con 

il fondo a piccoli fori, forse destinati alla lavorazione del latte.

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Sala III

Attività strettamente legate all’ambiente 

domestico ed al mondo femminile sono 

quelle relative alla produzione di tessuti. La 

fi latura, qui attestata come in gran parte dei 

siti archeologici, dalla presenza di fuseruole 

e rocchetti in ceramica, consisteva nel 

trasformare fi bre vegetali o animali in un 

fi lo lungo e compatto con l’utilizzo del fuso, 

un bastoncino in legno lungo 20-30 cm, 

all’estremità del quale si fi ssava la fuseruola. 

Questa fungeva da volano, permettendo 

di incrementare la velocità del fuso e di 

mantenere regolare e continuo il movimento 

di rotazione necessario ad attorcigliare la fi bra 

conferendole resistenza ed elasticità. Le fi bre 

più utilizzate erano il lino e la lana di pecora. 

Filati e tessuti potevano essere colorati tramite 

macerazione in acqua utilizzando pigmenti 

organici naurali ricavati da essenze spontanee, 

quali il guado per l’azzurro, la robbia (dalle 

radici) per il rosso, l’ebbio (dalle bacche) e la 

celidonia (dal lattice) per il giallo.

Per la tessitura dei fi lati si utilizzava un telaio 

verticale in legno, che poteva essere largo fi no  a 

2 metri e veniva appoggiato obliquamente ad una 

parete della capanna. Sulla sua struttura venivano 

fi ssati i fi li verticali che costituivano l’ordito, legati 

inferiormente a pesi che servivano a tenerli in 

tensione. Tra i fi li dell’ordito, tenuti alternatamante 

separati da una stecca, si passavano orizzontalmente 

i fi li della trama in modo da formare un intreccio 

perpendicolare.

Nella totale assenza di resti relativi sia ai telai che 

ai tessuti, l’attività è documentata nell’abitato dai 

pesi in ceramica per lo più a forma di ciambella, che 

tenevano in tensione l’ordito, di peso e dimensioni 

variabili in funzione delle caratteristiche di 

resistenza e consistenza del fi lato.

LA FILATURA

I TESSUTI

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ABITI E ORNAMENTI

I rarissimi ritrovamenti di tessuti preistorici, come quelli di alcune sepolture danesi dell’Età 

del bronzo, sono le uniche testimonianze che ci permettono di formulare qualche ipotesi 

sull’abbigliamento: una corta tunica e una gonna lunga per le donne, una tunica, stretta in vita 

da una cintura, ed un mantello per gli uomini.

I corredi funerari delle necropoli di Narde e Fondo Zanotto presentano invece molti elementi 

relativi all’ornamento. Gli spilloni e le fi bule (le attuali spille) in bronzo servivano a fi ssare le vesti. 

Sempre connessi all’abbigliamento erano piccoli bottoni in corno di cervo o anche d’ambra e 

borchie in metallo. Tra gli ornamenti molti sono gli elementi per collane, pendagli e bracciali 

in osso e corno di cervo, e conchiglia. Di particolare prestigio dovevano essere le perle in vetro 

(forse usate anche nei tessuti) e in ambra.

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Gli elementi di corredo rinvenuti nelle sepolture suggeriscono una ricostruzione del costume 

maschile, femminile e infantile, qui proposto in una versione ipotetica.

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I risultati delle analisi paleobotaniche e osteologiche, condotte sul materiale organico 

recuperato in superfi cie e in fase di scavo, hanno dimostrato che l’economia di sussistenza 

dell’abitato si basava principalmente sullo sfruttamento agricolo dei suoli fertili della pianura 

padana e sull’allevamento. È documentata la presenza di orzo, grano, leguminose, mele e uva. 

L’attività agricola è testimoniata, oltre che dai falcetti in bronzo, anche dagli strumenti pertinenti 

alla lavorazione del terreno, come le zappette in corno di cervo e il puntale piramidale di un 

probabile vomere in bronzo.

L’allevamento del bestiame svolgeva sicuramente un ruolo di primaria importanza, essendo 

bovini, caprovini e suini la principale fonte di carne. I suini sono la specie più rappresentata (55% 

del numero dei resti e 41,5% del numero minimo di individui) seguiti in ordine di importanza 

da ovicaprini e bovini. Lo scopo principale dell’allevamento bovino sembra esser stato l’impiego 

degli animali principalmente nei lavori agricoli, mentre quello degli ovicaprini sembra essere 

l’apporto alimentare e la produzione di lana. Dalla mortalità di questi ultimi si nota viceversa 

uno scarso interesse per la produzione di latte. Il cavallo, abbastanza scarso, molto probabilmente 

non era utilizzato nell’alimentazione ma solo come mezzo di trasporto e/o legato al traino: i 

montanti di morso in corno di cervo così come le riproduzioni fi ttili ne sono una riprova.

IL MONDO AGRICOLO

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Sebbene poco praticata, la caccia aveva ancora una sua rilevanza sociale e, data la scarsità 

dei reperti ad essa collegata (poche le punte di freccia in bronzo e in selce recuperate), veniva 

condotta per integrare la dieta alimentare. Era volta soprattutto verso il cervo, di cui venivano 

anche raccolti i palchi caduchi per utilizzarli nella produzione artigianale dei diversi utensili. 

Seguono in ordine d’importanza uccelli, cinghiali, castori, caprioli, volpe, lupo e diversi mustelidi 

(martora, faina e donnola). Ben documentate inoltre la raccolta delle tartarughe di terra e palustri 

e la pesca soprattutto di lucci, tinche e, in misura minore, scardole, cavedani, anguille e barbi. Di 

fatto, il ritrovamento di un gruppo di grossi ami (oltre 15 cm di lunghezza), può far pensare alla 

presenza di forme di pesca specializzata nella cattura di specie di grande taglia.



CACCIA E PESCA

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L’attività del vasaio è attestata da migliaia di frammenti ceramici pertinenti a vasi usati per 

conservare, cucinare, mangiare, bere, ma anche ad oggetti funzionali alla tessitura e fi latura 

ed attività complementari. Le materie prime erano formate da argille carbonatiche reperite 

localmente ed inclusi di varia natura: soprattutto granuli di ceramica macinata (chamotte) e di 

rado sostanze organiche e sabbia del Po.

La modellazione era manuale o per mezzo della tecnica a cercine, sovrapponendo più cordoni 

di impasto argilloso, e/o a stampo, utilizzando cioè dei modelli su cui “spalmare” la lastra di 

impasto. La notevole varietà formale e l’utilizzo di più impasti (ne sono stati individuati 5) in 

rapporto alla forma e alla funzione attestano una manifattura di tipo semi-specialistico.

La decorazione è testimoniata dalla presenza di cordoni plastici, tacche, fasci di incisioni o 

solcature formanti talora apparati decorativi articolati, mentre i trattamenti di superfi cie  per 

mezzo di lisciatoi litici o in corno, potevano essere sia funzionali che decorativi.

La cottura avveniva a temperature comprese tra 600°C e 800°C e, in mancanza di dati 

archeologici, si presume potesse essere praticata utilizzando sistemi simili alla fornace a struttura 

orizzontale del bronzo recente rinvenuta a Basilicanova (Parma).



LA CERAMICA

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Tra le attività artigianali di tipo tradizionale, la lavorazione del corno e dell’osso risulta essere 

una delle principali e meglio rappresentate a Frattesina. Viene usato soprattutto il palco di cervo 

per le sue proprietà, simili a quelle di un legno duro: compattezza, fl essibilità, resistenza. Il cervo, 

ben adatto all’ambiente boscoso e umido della bassa pianura, perde il palco una volta all’anno, alla 

fi ne dell’inverno. Un palco di cervo adulto pesa in media 8-10 kg, per cui la semplice raccolta 

mette a disposizione una notevole quantità di materia prima. Quantità e qualità dei prodotti sono 

collegate anche al miglioramento delle tecniche di lavorazione, come ad esempio l’introduzione 

dell’uso della sega, evidente nei tagli netti dei grandi rami del palco cervino. In corno è realizzata 

un’ampia gamma di utensili ed elementi d’ornamento o connessi all’abbigliamento. Frequenti le 

fi ni decorazioni a cerchielli concentrici (occhi di dado) ottenuti con due punte in bronzo usate 

a compasso.



LA LAVORAZIONE DEL CORNO E DELL’OSSO

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LA PRODUZIONE DEL VETRO

La lavorazione del vetro è testimoniata dalla presenza di crogioli con incrostazioni vetrose, 

blocchetti di vetro grezzo, scarti di lavorazione e migliaia di perle: un insieme unico nell’Europa 

della tarda Età del bronzo.

A Frattesina si lavorava il vetro per realizzare perle da collana di varie tonalità di blu, rosso, 

verde e bianco (quest’ultimo solo per le decorazioni) ottenute riscaldando la massa vetrosa fi no 

a renderla molle e traendo da questa un fi lo che veniva avvolto attorno ad un’asta metallica 

rivestita di un impasto di argilla per facilitarne l’estrazione. In alcuni casi le perle erano decorate 

con successivi avvolgimenti spiraliformi di vetro di colore diverso rispetto a quello di fondo, o 

con l’applicazione di gocce per ottenere un motivo ad “occhio”.

Senza confronti sono le ceramiche ricoperte da uno strato di vetro decorato a pastiglie 

bianche.


Molto probabile è anche la produzione del vetro da materie locali. Indizi in tal senso vengono 

dalle analisi composizionali: quarzo ricavato da sabbie o ciottoli macinati, coloranti come rame 

e cobalto e sostanze fondenti per abbassarne il punto di fusione attorno a 1000° C. Sono 

soprattutto i fondenti che permettono di distinguere i vetri di Frattesina ad “alcali misti”, ossia 

potassa e soda ricavate da ceneri vegetali, dai coevi vetri micenei o vicino orientali a fondente 

sodico.


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L’ARTIGIANATO METALLURGICO

L’artigianato metallurgico è documentato da ripostigli “da fonditore” (in tutto 4), matrici da 

fusione (circa 60) e oggetti fi niti.

I ripostigli da fonditore, veri e propri complessi di materiali metallici di recupero (spesso 

frammentari, ripiegati, usurati ed esposti al fuoco) associati a pani (lingotti) dalla tipica forma 

a piccone, permettono di ipotizzare che il bronzo fosse già importato come lega per essere 

lavorato in loco. Per quanto riguarda l’organizzazione della produzione, il fatto che provengano 

tutti dal settore centrale dell’abitato indicherebbe un preciso controllo della produzione da parte 

della comunità, o meglio della sua élite, che doveva controllare anche l’approvvigionamento 

della materia prima. Sebbene prevalga largamente il bronzo (lega al 90% circa di rame e 10% 

circa di stagno), sono lavorati anche il piombo (importato in lingotti) e l’oro, rarissimo in Italia 

in questo periodo.

La grande importanza della metallurgia è spiegabile, in primo luogo, nel quadro dei generali 

mutamenti avvenuti in questo settore nei secoli fi nali del II millennio a.C. Ora il metallo è 

impiegato non solo per ornamenti, come fi bule e spilloni, o armi (spade, punte di lancia e di 

giavellotto), ma anche per nuovi prodotti di lusso (tazze e vasi in lamina detti “situle”) ed una 

vasta gamma di attrezzi da lavoro che accanto alle tradizionali asce vede ora anche seghe, scalpelli, 

lesine, coltelli. Ne è testimonianza l’eccezionale quantità di oggetti fi niti rinvenuti, dieci volte 

superiore alla media degli abitati delle fasi precedenti.

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SCAMBI E CONTATTI

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Metalli

Tra i metalli quello che svolge il ruolo più importante negli 

scambi è il rame, proveniente dai giacimenti del Trentino 

orientale e della Toscana; da questi, o forse dalla Sardegna, 

potrebbe provenire anche il piombo. Meno diffusi sono lo 

stagno, presente in Toscana, e l’oro, rarissimo in questa fase, che 

potrebbe provenire da giacimenti alpini.

I ripostigli da fonditore, datati alla fase centrale della vita 

del sito, documentano un sistema complesso di circolazione 

del metallo, indiziato dalla presenza di materia prima, i “pani 

a piccone” di rame o bronzo, e manufatti usurati o rottami da rifondere, soprattutto palette 

con immanicatura a cannone. Pani e palette compaiono nei 

ripostigli del versante adriatico dell’Italia centro - settentrionale, 

in Francia, e in Slovenia.

È probabile che la crescita della metallurgia di Frattesina 

dipenda dallo sviluppo delle attività estrattive in Etruria mineraria, 

il cui metallo sostituisce quello 

dei giacimenti trentini, molto 

sfruttati tra XIV e XI sec. a.C., 

e dall’inserimento nel sistema 

di scambi di rottami metallici 

da rifondere.



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