Xxxv n° 4 8 Aprile 2012 € 1,00
Pa.Da.To. MAGNIFICA PRESENZA
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Pa.Da.To. MAGNIFICA PRESENZA regia: Ferzan Ozpetek “Finzione, finzione, finzione”: con queste parole sibilline si chiude il nuovo film di Ferzan Ozpetek, “Magnifica presenza”. È il prota- gonista Elio Germano, aspiran- te attore siciliano trapiantato a Roma, a pronunciarle alla fine di una pellicola che si discosta to- talmente da quelle a cui ci aveva abituato il regista d’origine turca. Se pensiamo ai film di Ozpetek, infatti, pensiamo soprattutto a commedie colorate e divertenti, seppur venate sempre da malin- conie e drammi, e troppo facil- mente ribattezzate la “versione italo-turca delle commedie di Pedro Almodovar”. “Magnifica presenza”, invece, è un film au- stero, starebbe bene in bianco e nero, anche se è girato a colori, non contiene i soliti personaggi dell’universo di Ozpetek, rimane ambiguo e aperto nell’interpre- tazione. Si racconta una storia misteriosa, a tratti paurosa, che ha a che vedere con i fantasmi di un passato che sembra non voler passare. Il protagonista, infatti, va a vivere in una casa abitata da presenze che appartengono a una compagnia teatrale dell’epoca fa- scista e che non sanno di essere morte. Credono di trovarsi ancora in pieno regime e loro, che sono spie per i partigiani, si nascondo- no per non farsi catturare. Una storia sui generis, dunque, total- mente fuori dalla tradizione delle nostre pellicole e naturalmente anche di quelle di Ozpetek. Per- ché una scelta di questo tipo? Una scelta sicuramente azzardata da parte di un regista affermato e amato dal pubblico e dai critici per lo stile delle sue precedenti pellicole. Perché, forse, il regista vuole fare un passo avanti nel suo linguaggio e nella sua rifles- sione cinematografica, alzando il livello delle sue interpretazio- ni. Perché raccontare la storia di un aspirante attore che entra in contatto con altri attori, anche se teatrali, dà la possibilità a Ozpe- tek di ragionare sui rapporti tra teatro, cinema e realtà. Fra verità e finzione. Ed ecco che le parole finali pronunciate da Elio Germa- no trovano un loro senso nello svolgersi di tutta la pellicola: che è una riflessione sull’arte della finzione che è il cinema, come il teatro, ma che è anche la vita. Si recita una parte, s’interpretano ruoli, si vivono sogni, o fantasmi, e la vita intera è un immenso pal- coscenico da vivere in maniera stupita e trasognata come fa sem- pre il protagonista. La vita inoltre è memoria, memoria storia di un passato che vivifica il presente (il passato fascista come il passato del Risorgimento, laddove il pro- tagonista è un collezionista di al- bum di figurine di quell’epocale periodo storico) e che non può e non deve essere dimenticato. Il tema del passato è una costan- te per il cinema di quest’autore che, essendo un trapiantato, dal- la Turchia in Italia, conosce bene l’importanza del ricordo e della storia del proprio Paese. Il film è quindi un’opera complessa, mol- to rigorosa dal punto di vista for- male, spiazzante sicuramente per lo spettatore. Il tentativo di far progredire il proprio cammino cinematografico verso riflessioni più ampie e più profonde rispetto alle opere precedenti che, forse, erano troppo legate a una quo- tidianità minimalista. Il risultato è un film di difficile definizione, forse algido, a differenza delle commoventi pellicole precedenti, che però lascia lo spettatore con tante domande. E una delle fun- zioni del buon cinema è proprio quella di essere in grado di farci interrogare. Sui noi stessi, sulla vita, sull’esistenza.
i è aperta il 29 feb- braio, presso i Musei Capitolini di Roma, la mo- stra "Lux in Arcana: l'Ar- chivio Segreto Vaticano si svela", organizzata in oc- casione del IV centenario di fondazione degli Archi- vi Vaticani. Visitabile fino al 9 settembre, la Mostra propone un centinaio di importanti documen-
ti dall'VIII al XX secolo, fra i quali la supplica del Parlamento inglese a Cle- mente VIII relativa alla causa di scioglimento del vincolo matrimoniale di Enrico VIII; la bolla di sco- munica di Martin Lutero; il processo di Filippo il Bello contro i Templari ed una lettera di Bernadette Soubirous a Pio IX. L a Congregazione per la Dot- trina della Fede ha aperto un nuovo accesso: www.doctrinafidei. va nella pagina Internet del Sito ufficiale della Santa Sede: (www. vatican.va) per facilitare la con- sultazione dei suoi documenti che, approvati espressamente dal Santo Padre, partecipano al Magi- stero ordinario del Successore di Pietro. Ciò spiega l'importanza di una ricezione attenta di tali pro- nunciamenti da parte dei fedeli e specialmente di coloro che sono impegnati, a nome della Chiesa, nell'ambito teologico e pastorale. I principali Documenti sono pre- senti in otto lingue: oltre alla ver- sione latina, anche in francese, inglese, italiano, portoghese, spa- gnolo, tedesco e polacco, e qual- che volta anche in ungherese, slo- vacco, ceco e olandese. La raccolta contiene una lista completa di tut- ti i pronunciamenti postconciliari della Congregazione, che vengono riproposti anche in tre liste tema- tiche: quella di natura dottrina- le, quella di natura disciplinare e quella riguardante i sacramenti. Nella stessa pagina web si trovano informazioni aggiornate circa le pubblicazioni della collana "Do- cumenti e Studi", che ripubblica i più importanti Documenti del Di- castero illustrati da commenti di alcuni teologi autorevoli. Inoltre si offrono notizie circa i volumi degli Atti di Simposi promossi dalla Con- gregazione, nonché vengono pub- blicati vari interventi dei Cardinali Prefetti In un Comunicato reso pubblico questa mattina, la Congregazione segnala che, nel mondo attuale "è necessaria una più ampia diffusio- ne dell'insegnamento del Dicaste- ro. Infatti soprattutto i Documenti emanati dal tempo del Concilio Va- ticano II fino ad oggi (...) trattano questioni importanti per la vita e la missione della Chiesa, offrendo risposte dottrinali sicure alle sfide che ci stanno davanti. (...) Attraver- so questa divulgazione, per mezzo della rete internet, del proprio in- segnamento dottrinale, la Congre- gazione intende raggiungere un sempre più ampio cerchio di desti- natari in ogni parte del mondo". L'antico indirizzo della pagina web della Congregazione per la Dottrina della Fede continua ad essere attivo nel sito ufficiale della Santa Sede. vaticano www.doctrinafidei.va Documenti on line Ven. Sr. Maria Crocifissa osb Cultura & Comunicazione 19 8 aprile 2012 A nche quest’anno il 24 gennaio, in oc- casione della festività di San France- sco di Sales, patrono dei giornalisti, il Santo Padre Benedetto XVI ha inviato il consueto messaggio per la Giornata Mon- diale per le Comunicazioni Sociali giunta ormai alla quarantaseiesima edizione e che sarà celebrata domenica 20 maggio. “Silen- zio e Parola: cammino di evangelizzazione” questo il tema scelto per invitare i cristiani, e in particolar modo gli operatori della co- municazione, ad una profonda riflessione sull’importanza di saper alternare la parola al silenzio. La sede territoriale Aiart (Associazione spettatori onlus) di Brindisi, in collabora- zione con l’Ufficio diocesano per le Comu- nicazioni Sociali, come ogni anno organizza un convegno, sul tema della Giornata, che si svolgerà venerdì 18 Maggio alle ore 18. Sarà il Presidente nazionale Aiart, Luca Bor- gomeo ad aprire i lavori. Anche quest’anno interverrà il Prof. Francesco Bellino, docente della facoltà di Scienze della comunicazione presso l’Ateneo di Bari, autore di varie pub- blicazioni sull’etica della comunicazione e attivo sostenitore e collaboratore dell’AIART. L’ambito specifico su cui si intende riflettere è il silenzio e la parola nel territorio, quando informare e comunicare sono la parte finale di un lavoro fatto di riflessione e approfon- dimento. All’incontro saranno chiamati a partecipare le sedi territoriali di Bari e Lecce oltre a tutti gli operatori dell’informazione e della comunicazione. Nel convegno troveranno spazio, natural- mente, anche le problematiche inerenti l’en- trata della Puglia nel digitale terrestre. A tal proposito abbiamo rivolto alcune do- mande proprio a Luca borgomeo, presidente AIART
Quando per la prima volta si parlò di Di- gitale Terrestre venne presentato come grande opportunità di pluralismo. Pos- siamo ancora pensarla così? «È indubbio che il digitale terrestre ha note- volmente ampliato l’offerta televisiva. Basta considerare l’elevatissimo numero di cana- li a disposizione del telespettatore. Questa crescita oggettiva dell’offerta televisiva non ha, purtroppo, fatto registrare l’auspicato miglioramento della qualità dei programmi, né, tanto meno, ha favorito un maggiore plu- ralismo della e nella informazione. Il siste- ma televisivo italiano sconta – e chissà per quanto tempo ancora – i condizionamenti di un duopolio formale (Rai e Mediaset) che, purtroppo nei fatti è un vero e proprio mo- nopolio. Basti richiamare i dati sugli ascolti e, ancor più, quelli sulla ripartizione del get- tito complessivo della pubblicità televisiva, gestita in concreto dall’Auditel (società che “dà i numeri”degli ascolti e che è di proprietà Mediaset (33%) Rai (33%) Unione pubblici- tari (33%). Questo monopolio del sistema radiotelevi- sivo ha reso quasi nulla la concorrenza tra le emittenti, con il risultato (sotto gli occhi di tutti) di un continuo scadimento dei pro- grammi e di una loro omologazione al basso, al punto che il telespettatore non coglie nes- suna differenza tra i programmi Rai e quel- li Mediaset; si distinguono solo per il logo aziendale che compare sul video. Il danno maggiore, che si scarica sull’utenza, è quello della carenza di una informazione completa, corretta, pluralista, degna di un Paese de- mocratico. Il digitale terrestre – nonostante i tanti canali – su questo piano non ha intac- cato il monopolio informativo del sistema radiotelevisivo italiano».
«Se il buongiorno si vede dal mattino! Il fat- to che il Governo Monti abbia sospeso (forse archiviata) la proposta dell’ex Ministro Ro- mani (uomo simbolo della concentrazione berlusconiana del potere mediatico e poli- tico) è senza dubbio un positivo elemento di novità e di inversione di una pericolosa tendenza, in quanto evita di regalare a un soggetto privato, Mediaset, un bene pubbli- co come le frequenze. La loro assegnazione, dopo un’asta a pagamento, potrà portare nelle casse del Tesoro milioni di euro. E di questi tempi… Ma non è soltanto l’aspetto economico-fi- nanziario che va evidenziato; quello forse più rilevante è che, finalmente, dopo lunghi anni, inizia ad allentarsi la presa di “mani” private sul sistema radiotelevisivo italiano, che in gran parte è, e deve rimanere, pubbli- co».
«L’iniziativa dell’Aiart è finalizzata, da sem- pre, a far crescere la consapevolezza dei te- lespettatori sugli effetti negativi che gran parte della programmazione televisiva ha sull’intera comunità nazionale, sul degrado sociale, culturale e morale dell’Italia. Per far crescere questa consapevolezza l’Aiart, con cadenza quasi quotidiana, ha segnalato alla stampa le tante violazioni non solo di leggi e del Codice Media e Minori, ma l’oscenità, l’immoralità, la violenza e la carica disedu- cativa di tanti programmi. Per svolgere que- sta attività di denuncia e di protesta, l’Aiart ha chiesto reiteratamente a tutti gli iscritti e a tutte le sue strutture territoriali regionali e provinciali (oltre 100!) di vigilare, sorvegliare, monitorare i programmi e soprattutto segna- lare, segnalare, segnalare. A volte arriva pure qualche sanzione!» Qual è la soluzioni perchè la Rai continui ad essere un vero servizio pubblico e non preda di privatizzazioni e lottizzazioni? «La via maestra da seguire è quella di libera- re la Rai dall’implacabile controllo dei partiti politici che, nei fatti, hanno imposto al ser- vizio pubblico scelte politiche ed economi- co-commerciali che hanno, via via segnato il suo declino e la perdita di autorevolezza e credibilità. Se, poi, consideriamo che la “gestione partitica” è stata ispirata, sviluppa- ta e “controllata” da una concentrazione di potere economico-finanziario, mediatico e politico di straordinario rilievo, non possia- mo meravigliarci che la Rai sia stata notevol- mente ridimensionata , “piegata” alle esigen- ze del mercato e di Mediaset, e sia diventata la brutta copia di quella che una volta era denominata la “più grande industria cultu- rale d’Italia”. Il maggior rammarico sta nel fatto che la Rai non assolve più – o assolve in minima parte – la funzione di servizio pubblico, garantendo al cittadino – che ne ha diritto – un’informa- zione corretta e un intrattenimento rispet- toso della dignità e della identità culturale, sociale, morale e religiosa della persona. In un Paese democratico il servizio pubblico radiotelevisivo deve essere “vigilato”, (non gestito e controllato) dal Parlamento, espres- sione della sovranità popolare».
«Le riflessioni di Benedetto XVI sul “silen- zio”, come modo di comunicare, sono di stra- ordinario interesse e mirano a far riscoprire quanto sia importante per l’uomo d’oggi, - bombardato continuamente da un’infinità di messaggi e da un frastuono assordante di suoni e rumori – di comunicare anche con il silenzio, affinando la fondamentale disponi- bilità all’ascolto. È proprio saggia e incisiva l’ammonizione: “Non fare un discorso se basta una parola. Non dire una parola se basta un gesto. Non fare un gesto se basta il silenzio”. Daniela D’Alò L a Regione Puglia, nell’ambito del Fondo europeo di sviluppo regionale 2007-13, ha promosso il ban- do “Riqualificazione e valorizzazione del sistema museale”, mettendo a disposizione 25 milioni di euro per i musei degli enti locali e degli enti ecclesiastici, con un massimo, per questi ultimi, di 5 istanze per diocesi. Le istituzioni museali interessate dal bando – che scade negli ultimi giorni di marzo – sono tre: “In corso di attivazione”, “in stato di funzionamento” e “in stato di funzionamento avanzato”. Le spese ammissibili a finanziamento riguarda- no i lavori infrastrutturali, compresi eventuali restauri di opere da esporre, e il potenziamento e miglioramento di servizi, tra cui esecuzione di lavori, impianti e forniture per il completamento delle strutture; adeguamento degli stan- dard di sicurezza; fruibilità dei soggetti disabili; didattica. In Puglia vi sono 21 musei diocesani e un museo storico.
di attenzione per i musei ecclesiastici”, in quanto “produtto- ri e custodi di tesori di cultura, d’arte e di fede”, con l’obiet- tivo di “promuovere il loro inserimento nella rete dei musei e il potenziamento degli strumenti di valorizzazione”, esor- disce don Gaetano Coviello, incaricato regionale per i beni culturali ecclesiastici della Conferenza episcopale pugliese. “Le proporzioni tra costi ammissibili per lavori e spese am- missibili per promozione sono un invito a realizzare lotti funzionali, inseriti in un programma più vasto nel tempo, ma che può cominciare presto a prendere corpo”. Coviello segnala, tuttavia, che “i musei ecclesiastici potrebbero in- contrare difficoltà nel sostenere le spese non ammissibili a finanziamento come quelle tecniche”. Questo “cofinanzia- mento in via di fatto”, che si viene “a rendere necessario”, non tiene sufficientemente conto del fatto “che i musei non sono fonte di guadagno”, ma generalmente “costituiscono un onere finanziario a carico dei proprietari o gestori”. Inol- tre, “il riferimento per i musei ecclesiastici agli standard statali, se da un lato può essere inteso come un incoraggia- mento”, dall’altro “può costituire un impedimento per al- cune realtà”. Anche se sarebbe stato meglio prevedere una graduatoria per gli enti pubblici e una per gli enti ecclesia- stici, nel bando “sembrano esserci alcune attenzioni alla si- tuazione gestionale e organizzativa dei musei ecclesiastici”. Musei diocesani qualificati. I musei diocesani puglie- si vogliono “camminare e crescere insieme”, tuttavia “non è sempre facile investire il tempo, le energie e la pazienza necessari”. “La nuova evangelizzazione e il Progetto cultu- rale – prosegue l’incaricato regionale – dovrebbero ispirare nuove azioni di promozione dei nostri beni, sia ad intra – ad esempio tra i fedeli e le nostre Facoltà teologiche – sia ad
difficoltà è quella di “essere visti come ‘privati’ e ‘impren- ditori dell’arte sacra’ e così trattati”. Tuttavia, evidenzia Co- viello, “i musei diocesani generalmente in Puglia sono tutti ben qualificati”. L’auspicio è “di poter valorizzare queste re- altà grazie all’attivazione del protocollo d’intesa tra Regione e Conferenza episcopale pugliese, sottoscritto nel 2004, che ha la finalità di armonizzare e ottimizzare gli interventi sul patrimonio storico, artistico e culturale di enti e istituzioni ecclesiastici e, in particolare, della Commissione paritetica per i beni culturali ecclesiastici”. Una strada per la cresci- ta comune in Puglia può essere “la dimensione didattica della proposta museale, all’interno della formazione ca- techetica nelle parrocchie e di quella culturale scolastica”. Attenzione notevole. “Chiaro e ben fatto”, è il giudizio di Giacomo Carito, direttore dell’Ufficio diocesano beni cul- turali di Brindisi-Ostuni e direttore del museo diocesano, sul bando regionale. “Stiamo concorrendo per il completa- mento del museo diocesano di Brindisi e della sezione di Ostuni, costola del museo di Brindisi”, dice. Con il bando la Regione sta dimostrando “un’attenzione notevole” e ha messo a disposizione una “congrua” quantità di denaro. Inoltre, “la Regione ha preferito completare piuttosto che imbarcarsi nella realizzazione di altre strutture. Mi sembra più saggio far funzionare ciò che non funzionava bene o che era da completare”. La tipologia degli interventi previ- sti “mi sembra che copra la gamma dei bisogni; almeno i nostri tecnici si sono detti soddisfatti”. L’esperienza dei mu- sei diocesani, prosegue, “è positiva. Ci sono problemi di ge- stione dove non c’è un flusso turistico consistente. Perciò noi contiamo sulla sezione di Ostuni”. Ma “il problema del- la gestione riguarda tutti i musei del Sud e non sono quel- li ecclesiastici; la difficoltà sta nel tenere i musei aperti”. In diocesi, rende infine noto, “esiste una struttura cooperativa nata nell’ambito del Progetto Policoro, di cui fanno parte laureati in beni culturali con formazione specifica”, che ge- stisce molti siti culturali diocesani. Antonio Rubino cultura Grazie al fondo europeo, destinatari anche quelli ecclesiastici Musei diocesani più belli e più accessibili televisione e telespettatori Intervista a Luca Borgomeo, presidente nazionale Aiart In prima linea a denunciare il degrado della tv Libri 20 8 aprile 2012 La nuova fattoria degli animali e l’attuale crisi economica di M. Sepi-A. Darmanin «‘O mithos deloi oti…». “La favola insegna che…”. L’inizio dell’ultimo capoverso nelle narrazioni di Esopo faceva sì che il lettore traesse un insegnamen- to. Ed ora, cosa insegna la favola? Provando a leg- gere “La nuova fattoria degli ani- mali e l’attuale crisi economica”, splendido libro a quattro mani di Mario Sepi ed An- na-Maria Darma- nin (Città Nuova Editrice, pp. 146, euro 14) nessu- no ha dubbi e fa quasi piacere rag- giungere le stesse conclusioni, che gli autori pro- pongono al ter- mine di un libro entusiasmante che vanta la pre- fazione di Gianni Pittella, vicepre- sidente del Parla- mento europeo. A c c o m u n a t i dall’esperienza nel Comitato eco- nomico e sociale europeo (Cese) gli autori propongono una favola al modo di Esopo «per raccontare la crisi che in questi anni coinvolge tutti i Pesi del globo» ed offrono pagine significative «per comincia- re a parlare di economia e finanza a partire da valori umani più soli- dali». Ed infatti, «la fattoria del si- gnor Rhodes, dopo le note vicende della dittatura suina, ha svoltato decisamente verso il sistema capi- talistico, grazie all’egemonia con- quistata dai ratti con il consenso degli altri animali. La vita sembra procedere tranquillamente e sen- za intoppi, ma un bel giorno tutti gli abitanti della fattoria si trovano coinvolti in un affare immobiliari che avrà conseguenze disastro- se…». Evoca forse qualche fatto di cronaca globale al quale tutti noi, anche indirettamente, abbiamo dovuto porre mente? Ed insomma, dopo “il trionfo” e “la rivoluzione” – sono i titoli dei primi due capito- li di questa storia – , ecco “l’estasi e il baratro”, quindi “un disastro non annunciato”, con la parte quinta “Il regno del re travicello”, che fa da morale. E quale sarà mai dunque? Leggiamola insieme: «Noi animali, come anche gli umani, non possiamo affidarci né a teo- rie economiche che pretendono di costruire sistemi perfetti, né a regi- mi politici caduti dall’alto, come il re Travicello lanciato da Zeus alle rane. Per dirla in termini teologi- ci, la credulità con cui abbiamo accettato l’egemonia del mercato senza regole, peccando di avarizia, e l’indifferenza e la docilità con cui abbiamo vissuto il regime dei maiali,peccando di accidia, sono due facce della stessa medaglia. Oggi dovremmo dire a tutti gli ani- mali che l’unica garanzia per evita- re la tirannia dei nostri simili e del denaro, è quella di costruire istitu- zioni democratiche e parteciparvi assiduamente». Non a caso, infatti, queste pagine sono dedicate “agli ignoti che ogni giorno realizzano opere di solidarietà in un mondo dominato dall’egoismo”.
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di Massimo Gramellini
azzurro cielo in copertina, un braccino di bimbo a reggere un palloncino rosso: è un’imma- gine che evocherebbe, ai più, la spensieratezza e la leggerezza del mondo dei bambini. E invece, “Fai
simo Gramellini, vicedirettore della Stampa, ci racconta di due infanzie colpite dal dolore che, seppure in due mondi cronologi- c a m e n t e d i s t a n t i , si intrec-
c e r a n n o senza più dissolversi, dando vita ad emo-
z i o n a n t i pagine di narrativa. La
storia parte dalla struggente narrazione di uno dei dolori più grandi che nella vita si possa af- frontare: la morte del- la mamma vissuta e sofferta da un bambino di soli nove anni; un evento inspie- gabile ed innaturale per il giovane protagonista che,alla rivelazione fattagli dal sacerdote dei lupetti, “la mamma ora è il tuo angelo custode”, risponde con una inedita, toccante versione dell’Eterno riposo: “Breve riposo dona alla mamma, Signore. Svegliala […]e rimandala qui.”Il pic- colo protagonista vivrà, da quel giorno, un’esistenza che è incessan- te attesa, costellata da tanti perché, dal costante senso di abbandono, di inadeguatezza che, inevitabilmente, si tramuta in fatica di amare. A tren- tatré anni, l’impatto diretto,violento e, questa volta, visivo con la morte: Sarajevo, estate 1993. È qui che il protagonista, divenuto giornalista, intreccia la sua vita con l’altro bam- bino, Salem,orfano, cui un cecchino aveva sparato allo stomaco mentre giocava per strada con un pallonci- no. La sua ingiusta solitudine lo at- trae al punto da intraprendere una corsa contro il tempo per riuscire ad imbarcarlo su un aereo verso la salvezza, a Londra. Seppur riuscito nella difficile impresa di inserirlo nella lista dei successivi imbarchi, Salem è già volato via,in cielo, come fosse un palloncino; come quello, rosso, che il protagonista, anco- ra ignaro della morte del piccolo, aveva tra le dita mentre tornava in ospedale da lui, e che gli esplose in un “abbraccio di rabbia”. Aver provato il dolore nella fragilità di fanciullo,nel sentirsi posseduto dal mostro insidioso che è la paura di vivere, condurrà il protagonista lungo un percorso quasi catartico, in cui imparerà che le debolezze di un tempo possono diventare i punti di forza della vita, che pro- prio le esperienze più dure la ren- dono degna di essere vissuta, e che il dolore si supera, si lenisce, fino quasi a cancellarlo con la forza, che Gramellini stesso definisce “medi- camentosa”, del perdono; perdono che gli “restituirà”, in qualche ma- niera, la sua mamma. Ermanna Salamanna iL L
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alla frontiera di Renato Zilio «E sono partito in missione: nella grande periferia di Parigi al Centro interculturale per giovani di Ecoublay, a Ginevra e nel suo mondo internazionale, alla parrocchia multiculturale di Lon- dra, dove mi trovo attualmente. A gruppi di gio- vani emigrati ho fatto vive- re molte volte un pellegri- naggio nelle piccole comu- nità cristiane della Chiesa del Marocco, disperse come piccole oasi nell’islam e poi al deser- to del Sahara: incontro con comunità di frontiera e con le frontie- re stesse della nostra fede». E ancora: «Il mio cammi- no, in fondo, è stato un dono continuo degli altri e degli in- contri con l’al- tro, colui che è differente, generato da altri mondi. Mi hanno formato, plasmato, incantato, interrogato, stimolato senza misura. Segreta- mente mi hanno incoraggiato a superare frontiere di ogni tipo, cul- turale, mentale, linguistico o spi- rituale. Mi hanno ricordato che la vita è una sfida e un’avventura col- lettiva con un popolo partito dalla propria terra. E che si ritrova, come per miracolo, con un cuore più grande del normale, perchè la sua esistenza è una lotta e una danza, qualcosa di duro e di bello da vive- re. In cui si impara ad amare con lo stesso amore la terra di accoglienza come quella di origine». Valgono più di mille parole del recensore, quelle originali dell’au- tore, Renato Zilio, scalabriniano, il libro del quale “Dio attende alla frontiera” (Emi, 2012, con prefa- zione dell’Abate di Montecassino) è ancora fresco di stampa. Egli parte dal padre, contadino veneto, che gli ha “dato il senso della natura” ed il “senso del contemplare il lavoro fatto nel proprio campo, come Dio al settimo giorno della creazione” e parte dalla madre che lavorava in ospedale e gli ha dato il senso del corpo, mentre entrambi gli “han- no dato il senso di Dio, della sua presenza nella mia storia, del suo camminare insieme ai miei passi, ai miei sforzi, per rendere la vita più umana, coraggiosa e, soprattutto, fraterna”, per far tappa fondamen- tale nel carisma scalabriniano, che gli ha dato “il gusto della libertà dei figli di Dio, del saper valorizza- re e, allo stesso tempo, relativizza- re la cultura dell’uomo, la sua terra di origine. Mi ha dato il senso della vita come itineranza, come cammi- no con chi lo fa con i propri piedi, i propri occhi e la propria esistenza, i migranti. Mi ha fatto capire che il destino degli uomini è la terra pro- messa di Dio: la fratellanza”. Il risultato è proprio non sentirsi e non essere estraneo ad alcuno, ma veramente accanto a ciascuno pro- prio come il Padre che non dimen- tica nessuno e attende, davvero, alla frontiera. (a. scon.) iL L
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Attualità & Territorio 21 8 aprile 2012 U n detto popolare ammonisce di non gettare via il bimbo con l’acqua spor- ca. Perfetto per le nuove norme pre- disposte dal governo Monti sul fronte della lotta alla precarietà. Perché questa è un’ano- malia, anzi un’ingiustizia che va sanata. Ma non a scapito di una flessibilità che ha saputo dare molti buoni frutti in questo decennio. Tanto è passato, infatti, dall’approvazione della cosiddetta “legge Biagi” (dal nome del giuslavorista che ne fu tra gli estensori e che pagò con la vita quest’azione riformista, pro- prio dieci anni fa) che introdusse una serie di rapporti lavorativi improntati appunto sul concetto di flessibilità. Prima di allora, c’era una forbice larga tra il contratto di lavoro a tempo indeterminato e le cosiddette “colla- borazioni”. La flessibilità, dunque, cercò di colmare il gap, dando più regole a chi il contratto non l’aveva, e nel frattempo permettendo una serie di rapporti lavorativi intermedi che tra l’altro venissero pure incontro alle esigenze delle aziende di figure particolari. Purtroppo, c’è stato un abuso notevole da parte delle aziende stesse, e una stortura so- stanziale del concetto di flessibilità che ha generato una grande precarietà lavorativa e, in fin dei conti, sociale. Centinaia di migliaia di giovani si sono trovati così in un limbo che raramente sfocia nel paradiso dell’assunzio- ne. In più – stortura tutta italiana – la rinun- cia a certi diritti dei contrattualizzati non è stata ripagata da maggiori retribuzioni. Anzi, il lavoratore precario italiano si trova nella pessima condizione di non avere in capo a sé alcun diritto, e in più è quasi sempre sot- topagato. Con l’esplosione di contraddizioni pesanti tra i lavoratori stessi: c’è chi gode di una sostanziale illicenziabilità (vedi art. 18) e chi può essere mandato a casa in due mi- nuti, senza spiegazioni, senza risarcimenti. Non a caso, nella prima parte della crisi economica che ci attanaglia da ormai quat- tro anni, i primi a pagare il conto sono stati proprio i lavoratori “flessibili”: i primi a esse- re espulsi dalle aziende, gli unici a non avere alcuna forma di sostegno al reddito. La riforma del lavoro targata Monti-Fornero sembra dare una maggiore equità al mondo del lavoro. Sul fronte appunto della precarie- tà, molte infatti sono le novità. Si limita l’utilizzo a tempo indefinito dei contratti a tempo determinato, resi poi più costosi per l’azienda: non più di 36 mesi, con maggiori intervalli di tempo tra un contratto all’altro (per evitare che il limite temporale sia facilmente aggirato, come accade oggi). Se si prosegue, il contratto diviene a tempo indeterminato: se il giudice ravvisa situazio- ni di illegittimità, scatterà la conversione in contratto a tempo indeterminato e il risarci- mento tra 2,5 e 12 mensilità. L’apprendistato diviene l’anticamera ge- nerale dell’assunzione, anche qui con limiti precisi. Il lavoro a progetto dovrà veramente essere a progetto e non un lavoro dipendente mascherato; se viene ravvisato come tale, lo diventa ope legis. Stop alle clausole contrat- tuali di recesso del committente prima della scadenza del termine o per completamento del progetto. Infine, giro di vite sulle collaborazioni con possessori di partita Iva, altro strumento die- tro al quale si nasconde spesso vero lavoro dipendente non trattato come tale. Se il rap- porto dura più di sei mesi l’anno, oppure se il collaboratore ne ricava più del 75% del pro- prio reddito usando una postazione di lavo- ro all’interno dell’azienda, la collaborazione si trasforma in assunzione. Insomma una bella stretta agli abusi. Nel- la realtà, però, si rischia un effetto comple- tamente indesiderato. Se la flessibilità, da troppo larga diventa troppo stretta, nella re- altà obbligherà molte aziende a rinunciarvi. Tantissimi datori di lavoro hanno bisogno di collaborazioni; pochissimi possono permet- tersi il rischio di vederle trasformate in as- sunzioni immediate. È bello che la legge preveda in definitiva il contratto a tempo indeterminato (nuova- mente) come il punto d’arrivo per un lavora- tore, pur diminuendo la sua efficacia in usci- ta. Ma le assunzioni si fanno quando il ciclo economico lo permette, anche perché il co- sto del lavoro italiano è veramente alto. Qui il grande pericolo è quello di vedere diminuire molti rapporti precar-flessibili (comunque occasioni di lavoro e di reddito) in cambio di poche assunzioni. Ci sarebbe più equità, ma più disoccupazione. Situazione per nulla po- sitiva, soprattutto per i giovani. Si spera, dunque, che la discussione par- lamentare cui andrà soggetto il disegno di legge licenziato dal governo, abbia l’accor- tezza – tramite opportune correzioni – sia di tutelare i lavoratori dagli abusi che innesche- rebbe il licenziamento per motivi economici (ora generalizzato a tutti), sia di permettere ancora quella sana flessibilità di cui l’eco- nomia e l’occupazione di oggi hanno estre- mo bisogno. Appunto il bimbo da separare dall’acqua sporca della precarietà.
La proposta del governo all’esame parlamentare Sì alla flessibilità, no alla precarietà ciclo dei rifiuti Ci sono anche i nostri comuni di Cellino San Marco, Leverano e Salice Salentino, tra glie enti commissariati dalla Regio- ne Puglia, su proposta dell’assessore all’Ambiente Lorenzo Nicastro, per non essere riusciti a varcare la soglia del 15% in materia di raccolta differenziata dei rifiuti e per non hanno presentato proposte relative ad interventi per il po- tenziamento dei servizi dedicati a valer- si sui fondi PO Fesr 2007-2013. Per tali comuni la giunta regionale pugliese ha adottato un provvedimento di nomina di commissari ad acta.
Era convinto che la moglie fosse posse- duta dal diavolo, e per questo l’ha uc- cisa. Antonio Fina, un pensionato di 75 anni, ex dipen- dente dell’Asl, ha imbracciato il suo fucile da caccia ed ha sparato contro sua moglie, Concetta Milone, di 77 anni, uccidendola. È accaduto a Mesagne, in una villetta di campagna, circondata dal verde. L’omicidio è avvenuto attorno alle 8 del 19 marzo, ma solo nella tarda se- rata di è stato scoperto da una parente della coppia, una cugina. La donna è en- trata in casa e ha trovato l’uomo in ca- mera da letto, ancora in evidente stato confusionale, che vegliava il corpo della moglie. È stata lei a telefonare ai cara- binieri che sono intervenuti sul posto assieme agli agenti del commissariato di Mesagne ed al sostituto procuratore An- tonio Costantini. Nella villetta gli inqui- renti hanno trovato anche un foglio su cui l’uomo, che ha poi ammesso le sue responsabilità, aveva scritto che la mo- glie era posseduta dal demonio e che spesso era anche violenta. Oltre all’arma usata per l’omicidio, l’uomo aveva in casa un altro fucile detenuto legalmen- te. La coppia ha anche due figli, che vi- vono a Firenze. truffe e beneficenza L’Ufficio delle Dogane di Taranto, su au- torizzazione della magistratura, ha dato in beneficenza 6.800 paia di calzature estive, confiscate dopo un sequestro per violazione della normativa sui di- ritti di proprietà industriale. Le scarpe sono state consegnate alla Comunità di Sant’Egidio a Roma e verranno distribu- ite dall’ente benefico alla popolazione carceraria in varie zone del territorio italiano. comunicazioni Con decreti di nomina dei presidenti della Giunta regionale pugliese e del Consiglio regionale, Nichi Vendola e Onofrio Introna, è stato rinnovato il Co- mitato regionale per le comunicazioni, Corecom, della Puglia. I nuovi componenti sono: Felice Blasi, presidente, Stefano Cristante, Antonella Daloiso, Adelmo Gaetani, Elena Pinto. europa Secondo il Parla- mento europeo, i governi nazionali non devono dare «definizioni restrit- tive di famiglia» allo scopo di nega- re protezione alle coppie gay e ai loro figli. È la posizione espressa nel rap- porto sulla parità di diritti uomo-donna presentato dalla
radicale di sinistra olandese Sophie in’t Veld ed approvato il 13 marzo dall’Euro- camera. in Breve
L a tornata elettorale di primavera porta alle urne cinque comuni della nostra Diocesi: Brindisi e San Michele Salentino, nel brindisino; Leverano, Gua- gnano e Salice Salentino, del leccese. Due comuni (Brindisi e Guagnano) tornano al voto in anticipo e dopo un periodo di gestio- ne commissariale, gli altri tre alla scadenza naturale dell’esperienza amministrativa. Mentre è in chiusura il numero di “Fermen- to” le liste non sono state ancora ufficial- mente depositate, ma il quadro, in vista delle consultazioni del 6 e 7 maggio prossimi sem- bra abbastanza definito. A
amministrazione e per realizzarli si candida- no Giovanni Brigante, Antonio Carito, Mim- mo Consales, Mauro D’Attis, Ferdinando De Giosa, Roberto Fusco, Riccardo Rossi. Temi di confronto? L’ambiente, lo sviluppo ed il la- voro che non c’è. A
Pietro Epifani, Antonio Chirico e Marcello Spina. A
vito Rizzo, Pino Rizzo e Fernando Leone. A
rano” che candida l’avv. Giovanni Zecca ed è sostenuta da Pdl; Puglia prima di tutto e Fli. Ancora ci sono le liste: “Primo Elemen- to” che candida sindaco l’avv. Nuccio Muci; “Sviluppo sostenibile”, che candida a primo cittadino l’arch. Roberta Magliani ed è soste- nuta da Pd, Udc e IdV; “La chiazza” che can- dida sindaco Angelo Durante ed è proposta da dissidenti Pd, esponenti della società ci- vile e Psi. A
tura certa al momento è quella di Giuseppe Tondo, area centro sinistra. Una cosa è certa e va tenuta in conto: il bi- polarismo e bell’è sepolto.
Si vota anche in 5 Comuni della diocesi tra conferme, novità ed incertezze Giovani Talenti 22 8 aprile 2012 l’intervista Incontro con Donatella Cupertino, giovane giornalista Rai originaria di Locorotondo «Tanto ancora da fare, tantissimo da imparare» P rosegue il nostro itinerario alla sco- perta dei giovani talenti della diocesi. Protagonista di questo numero, è la giornalista
originaria di Locorotondo. Terminati gli studi scientifici, consegue la laurea in Giurispru- denza presso l’Università degli Studi di Bari. Dal 2003 inizia a scrivere su “Paese Vivrai”, il mensile di Locorotondo diretto dal giorna- lista Giuseppe Giacovazzo, storica “penna pugliese” nonché direttore della Gazzetta del Mezzogiorno negli anni ottanta. Nel 2006 Donatella inizia l’esperienza del te- legiornalismo a Studio 100 TV come cronista e conduttrice dei Tg nelle varie edizioni quo- tidiane. Nel 2010 approda a Rai1, come inviata della trasmissione “Le Amiche del Sabato” - set- timanale de “La Vita in Diretta”. Nel 2011 raddoppia l’impegno in Rai: diventa inviata anche per lo storico programma “Domenica In”.
«Sarebbe riduttivo chiamarlo semplicemen- te “interesse”. È molto di più. Da piccola restavo incantata davanti al televisore e so- prattutto ero letteralmente catturata da quel susseguirsi di immagini e parole che, in po- chi minuti, riuscivano a sintetizzare eventi, situazioni, emozioni. Mi è sempre piaciuto osservare ciò che mi accade intorno. Sono sempre stata catturata dalle immagini, dai piccoli dettagli. Ho sem- pre amato scrivere e fotografare e, forse per questo, ora amo raccontare».
«La mia giornata tipo? Bella domanda! Per un inviato non è mai semplice e soprattutto è impossibile programmarla. Ci sono giorni in cui si parte all’improvviso perché la cronaca – quella nera in particolare - purtroppo non da preavviso. Un giorno capiti a Milano per un omicidio, e il giorno dopo in Sicilia per un’alluvione. La valigia sempre pronta».
«Difficile scegliere. Perché ogni servizio che giro, ogni intervista che realizzo, ogni parola che ascolto mi rimane cucita addosso. Di- venta un pezzo di me. Ma, ad oggi, l’esperienza che più mi ha grati- ficata, soprattutto dal punto di vista umano, credo sia stata la diretta realizzata lo scorso anno, dal Circo Massimo a Roma, per la be- atificazione di Giovanni Paolo II. Parlare di un uomo come papa Wojtyla, in quella circo- stanza particolare, ed essere circondata dai giovani, i “suoi” giovani, è stata un’emozione unica. E, forse, irripetibile». Da giornalista dell’emittente televisiva “Studio 100” alla Rai, dove attualmente svolgi il tuo lavoro: cosa rappresenta per te questo importante passaggio? «Un sogno che si è realizzato, frutto di non pochi sacrifici. Ma sicuramente non è un punto di arrivo. C’è tanto da fare ancora. E tantissimo da imparare».
«Mi piace il contatto con la gente, con le loro emozioni, il loro grido di rabbia e dolore. Ri- uscire ad essere la “loro voce” quando ora- mai non hanno più la forza per parlare. Quel che mi piace meno è la lontananza dal- la mia famiglia, dalla mia terra, dal mio pa- ese. Ma per crescere, forse, la distanza dalle cose care è il pegno da pagare».
«Ovvio! Mai sentirsi “arrivati”. E soprattutto, mai smettere di sognare».
Le rubriche 23 8 aprile 2012 «C on animo riconoscente e pie- no di ammirazione ci rivol- giamo a voi che siete i nostri primi cooperatori nel servizio apostolico. La vostra opera nella Chiesa è veramente necessaria e insostituibile. Voi sostenete il peso del ministero sacerdotale e avete il contatto quotidiano con i fedeli. Voi siete i ministri dell’Eucaristia, i dispensatori della misericordia divina nel Sacramento del- la Penitenza, i consolatori delle anime, le guide dei fedeli tutti nelle tempestose dif- ficoltà della vita». Furono sufficienti poche parole al Beato Giovanni Paolo II per far comprendere, già nell’introduzione, tutto il senso dell’Esortazione apostolica “Pa-
sacerdoti nelle circostanze attuali. Egli scelse, com’era prevedibile, la forma di documento più classica per elaborare le conclusioni, partendo dalle Preposizioni, che il Sinodo dei vescovi aveva prodotto come frutti del proprio lavoro. E difatti, in quel documento, promulgato il 25 marzo 1992, documento che concludeva l’As- semblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, «dedicata a “La formazione dei sacerdoti nelle circostanze attuali”, con l’intento – scrisse il Papa -, a distanza di 25 anni dalla fine del Concilio, di portare a compimento la dottrina conciliare su que- sto argomento e di renderla più attuale e incisiva nelle circostanze odierne», il Pon- tefice offrì tre prospettive, che operava- no – osservò all’epoca Piersandro Vanzan – in una sorta di circolarità. Il riferimento è alla prospettiva ecclesiologico-trinitaria, a quella cristologica ed a quella pastorale, ma giova prima soffermarsi sulle già ri- chiamate «circostanze odierne», che indu- cevano a riflettere a 25 anni dalla conclu- sione del Concilio e, a leggerle, sono valide ancora oggi a vent’anni dalla promulgazio- ne di quella Esortazione. Il Pontefice, innanzi tutto, anche «dopo la caduta delle ideologie che avevano fat- to del materialismo un dogma e del rifiu- to della religione un programma», notava estendersi «una sorta di ateismo pratico
sione secolarista della vita e del destino dell’uomo», il quale, assurto a «principio e ragione di ogni realtà… si trova sempre più impoverito di quel supplemento d’anima che gli è tanto più necessario quanto più una larga disponibilità di beni materiali e di risorse lo illude di autosufficienza». E la fallace convinzione di «poter fare a meno di Dio», secondo Giovanni Paolo II, si uni- va alla «disgregazione della realtà familiare
gravarsi delle ingiustizie sociali e il concen- trarsi della ricchezza nelle mani di pochi, come frutto di un capitalismo disumano». A tutto questo, come se già non bastasse, «in stretto collegamento con la crescita dell’individualismo – disse il Papa -, si ag- giunge il fenomeno della soggettivizzazio- ne della fede». Da qui la necessità di preparare al sacer- dozio ministeriale persone, che abbiano fatto una «previa riflessione sulla mèta alla quale è ordinato il cammino formativo», capace di determinare una forte identità e di far cogliere la connessione tra sacer- dozio ministeriale e Chiesa. In quell’ottica circolare sopra accennata, dunque, consi- derando che la Chiesa è «mistero, comu- nione e missione» - come Giovanni Paolo II scrisse nella Christifideles laici -, ne de- riva che il «presbitero è uomo del miste- ro inserito in quello trinitario mediante il “di più” dell’Ordine», sostenne Vanzan, il quale subito dopo osservò la connessione di questo aspetto con quello del presbite- ro «uomo della comunione, in particolare con il vescovo e gli altri presbiteri, per co- stituire la koinonia ecclesiale» e del pre- sbitero «uomo della missione, “per servire il popolo di Dio che è la Chiesa e attrarre tutti a Cristo”». Ma Giovanni Paolo II scrisse espressa- mente (n. 12) come «il presbitero trova la verità piena della sua identità nell’essere una derivazione, una partecipazione spe- cifica ed una continuazione di Cristo stes- so, sommo e unico sacerdote della nuova ed eterna Alleanza: egli è un’immagine viva e trasparente di Cristo sacerdote». Cogliamo qui tutta l’eterna attualità di questo mistero e la certezza che il “dono personale” della vocazione è “dono col- lettivo” da coltivare e custodire, perché se è vero che il singolo presbitero è «primo responsabile nella Chiesa della formazio- ne permanente» è altrettanto fori da ogni dubbio che esiste un «respirare insieme» –
corti - tra presbitero e vescovo («del quale fondamentale è la responsabilità») e fami- glie di origine dei presbiteri. È, tuttavia, «l’intera Chiesa particolare, sotto la guida del vescovo, a venire investita della re- sponsabilità di stimolare e di curare in vari modi la formazione permanente dei sacer- doti», scrisse il Papa al n. 73 di quella esor- tazione. Certamente pensava all’impegno di tanti ed in tanti modi, aveva null’altro codificato se non la sua attenta osservazio- ne e quella consegnatagli da Padri sinoda- li; sicuramente definiva l’importanza della preghiera del Popolo di Dio, perché sia il Padre celeste ad inviare santi sacerdoti alla sua Chiesa. Da qui la convinzione perenne posta sulle labbra di Geremia ed all’ini- zio dell’Esortazione: “Pastores dabo vobis
mio cuore”, appunto. Angelo Sconosciuto pastores dabo vobis, 1992-2012 N el ventennale delle stragi di Capa- ci e di via D’Amelio, ho cercato so- prattutto strumenti che dopo tanti anni mi aiutassero a rileggere quei fatti con uno sguardo attento , si al passato, ma soprattutto alla situazione che vive oggi il nostro Paese. Sono convinto infatti che pri- ma ancora che di crisi economica si debba sottolineare quella morale e antropolo- gico-culturale, più radicale a mio parere, poiché intacca le dinamiche educative e valoriali, fonti di costruzione della persona e del cittadino, e, quindi, del tessuto civi- le e democratico della società. È sotto gli occhi di tutti l’alto livello di corruzione e di violenza di ogni tipo che dilaga in ogni ambito del vivere civile così che è difficile sostenere l’idea di identificare il male sem- plicemente con le grandi organizzazioni malavitose o con la criminalità comune o con i fatti di ordinaria violenza nelle fami- glie o nei rapporti umani: il rischio vero è che sia diventato normale, quando ci tocca in prima persona, rubare, essere omertosi, corrompere ed essere corrotti, essere ille- gali nelle mille forme possibili, non paga- re le tasse, insegnare ai figli qualcosa che puntualmente neghiamo nei fatti: la lista sarebbe molto lunga. Ogni volta che nella storia ci siamo im- battuti in persone che hanno pagato con la vita la loro personale coerenza con alti va- lori civili e morali, li abbiamo riconosciuti come testimoni credibili, laici o credenti, e li abbiamo eletti a punti di riferimento va- loriale: è il caso senza ombra di dubbio di Falcone e Borsellino. Ho letto in questi giorni alcuni contributi e in particolare mi ha colpito la raccolta de “Il profumo della libertà” (www.ilprofumo- dellaliberta.it) da cui vi propongo questo stralcio: “Le terribili stragi del 1992 han- no segnato un punto di svolta nella storia dell’Italia intera in un momento politico di grandi difficoltà ed incertezze. In meno di due mesi, dal 23 maggio al 19 luglio, di quell’annus orribilis l’Italia tutta e il mon- do intero assistevano attoniti a due veri e propri atti di guerra contro lo Stato da par- te della più potente organizzazione crimi- nale siciliana (“cosa nostra”) all’evidenza intenzionata, con il massimo del clamore possibile, a chiudere i conti contro due simboli della lotta antimafia, protagonisti di un nuovo modo, finalmente vincente ed efficace, di condurre e portare a termine le indagini. Ed il fatto che si trattasse di due giudici siciliani rendeva ancor più clamo- rosa e significativa l’uccisione di Giovanni Falcone - insieme alla moglie Francesca Morvillo (valente magistrato anch’essa) – e di Paolo Borsellino, unitamente agli uomini delle loro scorte. In quell’epoca la Sicilia ha saputo trovare al suo interno una motivata pattuglia di giudici e di valenti investigatori che, meglio di chiunque al- tro - e proprio grazie alla diretta esperien- za e comprensione delle “cose” siciliane - ha fatto per la prima volta crollare i miti dell’omertà e dell’impunità dei mafiosi, proponendo nuove forme di organizzazio- ne dell’azione di contrasto alla criminalità organizzata che, ancora oggi, costituisco- no l’asse portante di modelli operativi tut- tora in vigore. Da qui la risposta furente e rabbiosa, con lo sterminio sistematico di troppi prota- gonisti di quell’epoca concluso, dopo la definitiva conferma in Cassazione delle condanne inflitte nel primo maxi proces- so di Palermo, con le stragi di Capaci e Via D’Amelio. Oggi, fuori da ogni retorica, è cosa certa che quel fiume di sangue, ove altissimo è stato il contributo pagato dai siciliani mi- gliori, non è bastato a mutare il corso delle cose; non è valso ad impedire che le buo- ne idee di Giovanni Falcone e Paolo Bor- sellino continuassero a camminare sulle gambe di altri uomini…Ed è per questo che il profumo della libertà che si coglie in queste pagine è ancor più intenso che nel passato e renderà ai nostri giovani più semplice rifiutare quello che Paolo Borsel- lino efficacemente definì il puzzo del com- promesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità. Ma questo profumo di libertà serve anche a ri- cordare ai più giovani che tutto questo si è reso possibile anche grazie al sacrificio ed al patrimonio di idee e di cultura giuridica e sociale elaborato da quegli uomini: idee che hanno cambiato le tecniche investiga- tive; idee che hanno cambiato le procedu- re e l’organizzazione dello Stato; idee che hanno cambiato la storia dei processi di mafia, trasformando le consuete assoluzio- ni per insufficienza di prove in severe ed ir- revocabili sentenze di condanna; idee che hanno cambiato, definitivamente, lo scet- ticismo e la sensibilità del popolo siciliano; idee che, in una parola, hanno cambiato in meglio il volto della Sicilia e la Storia del nostro Paese; idee che nessuno riuscirà mai ad uccidere”. A chi destinare dunque queste idee? A tutti naturalmente ma, in particolare ai giovani. Ecco cosa ha scrit- to ai giovani il figlio di Paolo Borsellino:“A questi giovani io voglio dire: non guarda- tevi indietro, fissate un obiettivo e fatelo vostro, non c’è di meglio nella vita che rea- lizzarsi nel proprio lavoro e crescere i pro- pri figli lasciando loro i patrimoni “morali” ereditati dai nostri padri. Mio padre mi di- ceva: non ti lascerò patrimoni o ricchezze, sono e voglio rimanere un umile “servitore dello Stato”, ma una grande “eredità mora- le” unita ad un archivio attraverso il quale potrai raccontare e far conoscere il “non- no” ai tuoi figli, il bene più prezioso che il Signore ci può donare”. Mino Miccoli falcone e borsellino, 1992-2012 Giovanni Paolo II Giovanni Falcone Paolo Borsellino Document Outline
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