Xxxv n° 4 8 Aprile 2012 € 1,00
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- Bu sahifa navigatsiya:
- L’enciclica Fidei donum afferma che i sacerdoti inviati in missione dai loro vescovi, svolgono un «impareggiabile
- Ma il fidei donum può anche essere il fedele laico.
- L’animazione missionaria di una Chiesa diocesana, non può prescindere dal coinvolgimento giovanile e non può
- Cosa può fare una parrocchia per animare in senso missionario la propria comunità
- In cosa consiste la Cooperazione missionaria
- Giovanni Morelli intervista
- Maria Annunziata Spagnolo brasile
Suor Annassunta Guerini Sarà Pasqua anche qui, i nostri missionari raccontano I l mese di marzo ci riserva sem- pre le sue sorprese. Un sabato pomeriggio, mentre mi prepa- ravo per la Messa del giorno dopo, in una parrocchia dove sostituisco il parroco che per motivi di salute è stato ricoverato in Marocco, una te- lefonata mi avverte che uno dei no- stri, un panettiere, ha fatto un inci- dente in moto mentre faceva il giro pomeridiano per recuperare i soldi dai clienti. Ci chiamiamo a più ri- prese perché, ogni volta, mi dà po- sizioni diverse, alla fine mi dice che è già all’ospedale del quartiere più vicino. Quando arrivo lo trovo al pronto soccorso insieme a un suo compagno che viaggiava con lui: con una manovra azzardata sono andati a sbattere contro un taxi; è stato lo stesso taxista ad accom- pagnarli in ospedale. L’infermiera chiede di fare le radiografie, ma in ospedale non ci sono medici: allora ci invita a comprare delle medicine per curarli. Discussioni con il pro- prietario del taxi, poi le cure e altro materiale da acquistare, in ospeda- le non c’è niente. Finalmente, verso sera, usciamo dall’ospedale e ci dirigiamo sul luo- go dell’incidente per recuperare la moto, semidistrutta (un gruppo di persone l’aveva custodita nella pro- pria abitazione), la carichiamo e torniamo a casa dopo aver accom- pagnato il ragazzo che viaggiava dietro. Vado a letto pensando a questo mese di marzo: devo cominciare a credere alle influenze degli stregoni o continuare a considerare il caso? Marzo dell’anno scorso è da dimenticare e anche quello dell’anno prima... La mattina dopo, domenica, mi preparo per la Messa in parroc- chia. Durante l’omelia una deflagrazione potente fa sollevare il tetto della chiesa, causando l’apertura delle pareti con una fessura dall’alto al basso. La gente è in preda al panico, non capiamo bene di cosa si tratti, poi, dopo un po’, tutto torna alla normalità. Ma ecco che, all’improvviso, arriva il secondo scoppio, più forte del primo, chi può cerca spiegazioni telefonando a qualcuno. Infine, la terza deflagrazione. Dopo un po’ tutto sembra tornare alla calma, la Messa finisce, e torniamo a casa. Apprendiamo che un intero quartiere di Brazza- ville, è saltato in aria, non si riesce ad avere un’idea dei dispersi. Un deposito di munizioni pesanti, rimasto lì per cause ancora sco- nosciute, per cause altrettanto sconosciute ha preso fuoco. In cit- tà è uno spettacolo da “the day after”, il quartiere dell’esplosione non esiste più (tra questi un ospedale - proprio quello in cui era- vamo con il ragazzo incidentato la sera prima - , una chiesa e diversi templi di altre confessioni, oltre ad una caserma), ma anche gli edifici dei quartieri vicini hanno subito danni.
Noi siamo a circa 25 km dal cen- tro città e in alcune case si sono rotti i vetri delle finestre. L’esplo- sione ha fatto paura e ha causato danni anche a Kinshasa (la città dall’altra parte del fiume). In cit- tà c’è ancora lo stato di allerta, le ambasciate invitano gli stranieri a stare lontani dal centro. In casa abbiamo ospitato una prima fa- miglia, poi siamo riusciti a trovare loro un alloggio in affitto nel vicino villaggio di Djiri. Un ragazzo, che non ha più la casa, per ora abita con noi e anche i nostri amici che vivono in città, sono da noi per ra- gioni di sicurezza: sono arrivati su- bito dopo l’incidente insieme a un bambino di 12 anni che in seguito alle esplosioni si era perso e non sapeva dove rifugiarsi. Il giorno dopo siamo riusciti a contattare la famiglia e a restituirlo loro. C’è ancora tanta gente che ricer- ca i propri cari, girando gli obitori, gli ospedali, i centri di accoglienza. Questi ultimi, un po’ improvvisa- ti, sono stati allestiti dappertutto: nelle chiese, negli stadi, nei centri sportivi, nei mercati. Il Presidente della Repubblica Democratica del Congo ha lancia- to un appello a tutto il personale medico e paramedico del Paese, affinché si riversasse nella capitale Brazzaville, per dare una mano ai numerosissimi feriti. Sotto le macerie c’è ancora gente, non si è ancora in grado di dire esattamente il numero dei morti. E mi viene da pensare: se fosse crollato un palazzo a Parigi o a Londra, tutti i giornali ne avrebbero parlato, la solidarietà sarebbe arrivata da tante parti, qui è esploso un quartiere intero, mezza città ha subito ingenti danni, si parla di almeno 200 morti e nessun giornale ne parla, neanche il TG italia- no che vediamo grazie a una parabolica. Solo attraverso internet si è diffusa la notizia, grazie ad articoli che persone comuni con- dividono e pochi interessati leggono: potevamo restarci sotto tutti, nessuno lo avrebbe mai saputo. L’Africa agli occhi dei grandi della terra, resta sempre un conti- nente da sfruttare, ma verso cui non si accorda mai la giusta digni- tà.
fra’ Adolfo Marmorino congo Il racconto di fra’ Adolfo Marmorino L’Africa attende la giusta dignità albania La corrispondenza di Suor Annassunta Guerini Cammini di solidarietà nel “Paese delle Aquile” segue dalla pagina precedente Condivide l’affermazione secondo la quale oggi anche il nostro ricco Occidente è terra di missione? Ha ancora sen- so distinguere tra missio ad gentes ed evangelizzazione? «Il pregio del tema della nuova evangelizzazione è di mettere esattamente al centro che anche l’Occidente è missionario. Dal mio punto di vista però c’è una sola missione che si realizza in modi e contesti diversi. Mi preoccupa perciò il fatto che l’eccessivo rilievo dato nelle nostre comunità alla nuova evangelizzazione possa distoglie- re lo sguardo dalla missio ad gentes. Se occorre evangelizzare i battezzati “non evangelizzati” delle nostre parrocchie, o por- tare l’annuncio ai migranti non cristiani che sono tra noi, non possiamo dimenticare la stragrande maggioranza di coloro che attendono il vangelo e l’annuncio di Cristo. Questi ultimi si trovano ancora nelle terre più lontane dove esistono culture che aspettano di essere evangelizzate, ravvivate nei loro valori positivi e verificate nei loro aspetti problematici proprio dalla presenza e dall’annuncio del Vangelo». L’enciclica Fidei donum afferma che i sacerdoti inviati in missione dai loro vescovi, svolgono un «impareggiabile servizio». Ma, chi è il prete fidei do- num? «Il prete fidei donum è una figura parti- colare di missionario che non solo lascia la sua terra per andare e portare l’annun- cio del vangelo presso altri popoli, ma che rientra dopo un certo periodo a casa per dire che la fede è possibile ovunque, in tutte le circostanze. In questo senso il fidei donum è una rappresentazione di quel- lo che chiamerei la missione “andata e ritorno”. Abbiamo in mente i missionari che un tempo partivano, certi di non ritor- nare più, e alcuni tragicamente morivano per malattie o per al- tre circostanze in terra di missione. Oggi non sono solo i mezzi che consentono di andare e ritornare, ma è proprio l’idea stes- sa di missione che chiede non solo di andare ad evangelizzare, ma anche di tornare forti di quell’esperienza per raccontare il modo di evangelizzare. In questo senso il Papa, nel suo Mes- saggio per la Giornata Missionaria 2012, ricorda che la missio
«Esistono molte esperienze di breve durata che sono estrema- mente positive per le persone che le fanno e per le comunità che inviano e accolgono, perché contribuiscono a mantenere vivo l’ideale missionario presso altre comunità. Il laicato missionario, però, esige anche partenze un po’ più esigenti. In questi ultimi tempi stiamo registrando un numero sempre più alto di coppie, anche con figli, che restano in mis- sione per due o tre anni, occupandosi non solo di opere missio- narie, ma anche testimoniando, da laici verso altri laici, i valori della vita, della famiglia e della professione. I laici missionari dovrebbero essere impegnati soprattutto nei campi della cari- tà, della lotta per la giustizia, per la pace, per la salvaguardia del creato. Ci sono due temi che il laicato missionario italiano, oggi, può sottolineare con grande rilievo: il tema dei giovani - abbiamo, infatti, una certa esperienza di pastorale giovanile che può confrontarsi con le condizioni dei giovani in altri Paesi - e il tema della famiglia». L’animazione missionaria di una Chiesa diocesana, non può prescindere dal coinvolgimento giovanile e non può non avere carattere vocazionale. Quali strategie porre in essere affinché la sensibilizzazione avvenga secondo que- ste caratteristiche? «Di solito la missione riesce ad intercettare tutte le attività es- senziali della pastorale che sono la liturgia, la catechesi e la carità. La missione non è una quarta attività, ma è ciò che dà una coloritura particolare alle altre e, nello stesso tempo, riesce ad intercettare tutte le fasce d’età: non dimentichiamo che una delle opere missionarie che la tradizione ci consegna si chiama Opera dell’Infanzia missionaria. L’animazione missionaria, quindi, dovrebbe essere fatta da persone che vi si dedicano in maniera specifica, ma che hanno poi la capacità di dialogare con tutti, catechisti, animatori della liturgia e della Caritas, con i diversi gruppi di età, per ricordare loro, attraverso la competenza, i sussidi, le riviste missionarie e i siti Internet, che le possibilità di impegno sono tante. Bastano poche persone, purché siano molto competenti. Occorre un supplemento di formazione nel campo dell’anima- zione missionaria».
«Il tradizionale gruppo missionario, che allude ad un gruppo di sostegno, andrebbe sostituito con una commissione missionaria o di animatori missionari. Questo piccolo gruppo di persone, collegate con altre parrocchie e con il Centro Mis- sionario, può rendersi competente attraverso gli strumenti for- mativi messi a disposizione e, nello stesso tempo, può essere l’anima, cioè dare uno spirito missionario a tutte le altre attività della parrocchia. Ma per attuare questo cambiamento occorre tempo.
Inoltre, vanno valorizzate altre risorse, come le Giornate Mis- sionarie, la Giornata Mondiale, la Giornata dell’Infanzia, la Giornata dei Missionari Martiri: non tutte sono legate necessa- riamente ad una raccolta economica, ma tutte mirano ad ap- profondire la cultura missionaria. Vanno ricordate, infine, due giornate molto interessanti: la Giornata Missionaria delle Religiose (il 1 ottobre) e la Giornata Missionaria dei Sacerdoti (il 3 settembre). Queste ultime sono giornate di riflessione, di richiamo e di ritiro spirituale, per reli- giosi e preti, affinché ricordino che la loro identità vocazionale è un’identità missionaria e quindi anche loro devono assume- re questo compito all’interno del proprio percorso personale di consacrati o sacerdoti».
«Il termine cooperazione è un termine ambiguo. Se lo si usa in ambito civile indica le iniziative che gli organismi e i governi mettono in atto nei paesi poveri. La Cooperazione missiona- ria, dal punto di vista pratico, è lo scambio di persone e di beni, non solo materiali (progetti, denaro, costruzioni), ma anche spirituali (confronto tra progetti pastorali, sulle modalità con cui svolge la catechesi, confronto culturale sui grandi temi del- la vita, del nascere, del crescere e del morire che i diversi popo- li affrontano in maniera differente). Tale scambio può arricchire il nostro modo di essere e la nostra cultura occidentale che, invece, sta congelando questi temi. Forse guardare a ciò che altri popoli vivono, evitando di colo- nizzarli con la nostra cultura di morte, di aborto, di eutanasia, può conferire all’annuncio cristiano una brillantezza migliore, una credibilità più seria e più profonda». Giovanni Morelli intervista Nostro colloquio con don Gianni Cesena, direttore di Missio Italia La missione è vocazione a partire verso altri popoli e culture U na Chiesa che sa di essere missionaria, ne- cessariamente e sistematicamente deve mettersi in discussione e interrogarsi se nelle sue scelte pastorali vive questa dimensione. Se questo accade in prossimitá della Pasqua le scelte e le risposte sono illuminate e sollecitate dall’Annun- cio apostolico che “Il Gesú di Nazareth é Risorto”. La distanza tra Salvador e Brindisi mi fa essere li- bera e sognatrice, in piú, la permanenza da oltre 15 anni in Brasile, mi fa diventare voce e coscienza della Comunitá che mi ha generato alla vita nuova e che amo oltre la distanza e il tempo. In particolare la libertá mi spinge a gridare per un sussulto di coraggio a lasciarsi guidare dallo Spirito verso orizzonti nuovi, lontani; Il sogno é condivide- re qui con altri la missionarietá “ad gentes”; la voce diventa l’eco di un’attesa paziente, la coscienza si fa inquietudine per lasciarsi scompigliare nelle sicu- rezze.
So che a sostenermi nel lavoro con gli ultimi del “Centro Sociale Dom Lucas” c’é la mia chiesa di Brindisi-Ostuni, ci sono gli amici di sempre e quan- ti sono sensibili alla missionarietá. Questo mi da forza e la sento; mi fa superare la solitudine e me ne accorgo, ma sapere che altri scelgono radicalmente di partire, fará ancora piu bene. La nostra chiesa non puó tradire le sue origini, la sua identitá, le sue scelte, ne va di mezzo la qualitá della testimonianza e la peculiare identitá. Da laica vivo in Brasile mettendo a servizio de- gli ultimi quanto avevo maturato in Italia, insieme all’esperienza aquisita qui tra la gente; in piú, ca- parbiamente, sto portando avanti una nuova pro- fessionalitá che mi porta a conoscere le cause dei disagi di singole persone per favorire soluzioni di- gnitose. Quest’ultimo impegno mi porta a rendere un servizio ad un gruppo di giovani del seminario di Salvador; la vita o meglio lo Spirito mi tiene qui. Resto finché sará possibile, consapevole della mia inadeguatezza e, in attesa che altri facciano scelte decise e decisive, vi invio un oceano di pace, quella che ci viene consegnata dal Risorto.
Ci scrive Maria Annunziata Spagnolo La vita e lo Spirito mi tengono qui © M.Carrozzo S peciale 8 aprile 2012 14 N ella nostra missione è da poco ar- rivata una consorella dell’Argen- tina, Suor Mercedes (anche lei è infermiera e già nel 2010 era stata qui nel tempo dell’epidemia di colera) e si fermerà fino ad agosto. Continuiamo a cammina- re tra le montagne di Haiti per raggiunge- re i diversi villaggi. Sono contenta perché abbiamo iniziato una nuova esperienza, raggiungere cioè, le persone che vivono lontano e fermarci due giorni per offrire ai malati del posto la possibilità di essere visi- tati e curati (almeno quelli che si possono curare!) … proprio oggi siamo tornate da uno di questi posti. Un’esperienza interes- sante che mi ha fatto vedere un altro volto di Haiti, quello della notte, illuminato solo dalla luna (non esiste la corrente elettrica), in un grande silenzio perché appena il sole tramonta tutti entrano nelle proprie “case”! Particolare anche l’esperienza di dormire in una di queste case, piccole ma con tante persone dentro!! In due giorni abbiamo potuto visitare molti malati. Entrando in questa chiesa (che era diventata il nostro ambulatorio) e trovandomi davanti a questa folla non ho potuto trattenere le lacrime. Condivido con voi anche un altro dono che il Signore ci sta facendo in questi gior- ni: in uno dei villaggi dove andiamo, una donna mi ha portato suo figlio dicendomi che aveva sei anni e che solo ora iniziava a camminare. Si chiama Francesco, è vero che ha sei anni ma pesa solo 10 Kg. Una grave malnutrizione! Ora che inizia a muo- vere i primi passi non ha la forza di stare in piedi! Lo abbiamo portato in un ospedale della Repubblica Dominicana e un equipe con un ortopedico, un pediatra e un fisio- terapista ci hanno dato tanta speranza che il piccolo potrà recuperare ma necessita di tanta fisioterapia e soprattutto di una ricca alimentazione! E così il piccolo con la sua mamma vive con noi per due – tre giorni alla settimana cosi possiamo dargli da mangiare e fare la fisioterapia a casa e in ospedale. Dopo solo dieci giorni il piccolo è aumentato di un Kg e mezzo e ha più forza per camminare. È una gioia grande averlo in casa e vedere i progressi che fa, tante volte cade ma ha la forza di rimettersi in piedi e tentare ancora . Lo affido alle vostre preghiere e vi mando uno dei suoi baci (appena io o Mercedes lo prendiamo in braccio ci copre di baci!) E cosi in un posto tanto precario e tanto povero trovo che da tutte le parti ci sono i segni forti di vita e di voglia di vivere . Un grande abbraccio a ciascuno di voi.
È difficile, per noi, trovare le parole giuste per raccontare quello che è la missione. Un conto è vivere nella zona di missione, un’altra cosa, invece, è dirla a parole. Viviamo in un posto che si chiama “Il Pueblo de l’Aurora” che conta 42mila abi- tanti, è un quartiere, povero, di san Josè, la capitale di Costa Rica. Siamo una filiale de “l’ Alajuelita” che è anche il nome della parrocchia centrale. Qui la gente è molto religiosa - noi la chiamiamo religiosità naturale - caratte- ristica che invece l’Europa sta perdendo. La nostra impressione è quella di avere intorno gente di 50 anni fa, molto religio- sa, rispettosa, amabile, disponibile. Il loro saluto tipico, infatti, è “che Dios te accon- pagne, el Segnor te benedica, che te vada bien”. Quando chiedi loro un’informazio- ne, ti rispondono con la frase “stiamo per servirti”. Stiamo studiando per imparare il loro idioma che è lo spagnolo, anche se non mancano le difficoltà nella comunicazione in quanto il loro spagnolo è mescolato al dialetto - si chiama paciuco –, cambia da un posto all’altro, in base alla popolazione che è originaria del Costa Rica, del Nicara- gua, del Guatemala e di altri paesi e ognu- no parla uno spagnolo diverso. Il Signore ci ha mandati in questa terra per testimoniare che il matrimonio è in- dissolubile, anche se noi non abbiamo fi- gli. Qui in Costa Rica è difficile incontrare la famiglia tradizionale composta da padre madre e figli; a volte in una casa ci sono figli di padri diversi, spesso le donne ven- gono lasciate sole dal loro marito perché questi va a cercare lavoro in un altro stato, di solito gli Stati Uniti d’America. Ci sono molte “unioni libere”. Noi, andando per le case, annunciamo l’amore che Dio ha per loro, per la loro vita, portiamo loro la nostra esperienza, raccontiamo del mandato ricevuto dalla Chiesa.
Nella zona ci sono anche moltissime set- te, i mormoni, i testimoni di geova e molte altre realtà: molta gente cambia facilmente religione. In missione non siamo soli, ma lavoria- mo in equipe insieme ad altre persone: una famiglia con figli, e due ragazze, le no- stre hermane, spagnole, che sono qui da qualche anno. Noi siamo in missione non tanto per scel- ta nostra, quanto piuttosto perché abbia- mo dato la nostra disponibilità al Signore che, grazie ai nostri catechisti, ci ha por- tato alla convivenza di Porto san Giorgio dove siamo stati sorteggiati per venire qui. Non pensavamo di partire così presto, per- chè c’erano molte famiglie prima di noi, ma ora siamo felici di essere qui a lavorare per il Signore. La missione ci sta aiutando in modo par- ticolare, come coppia, a conoscerci me- glio. In Italia, infatti, non eravamo quasi mai insieme, perché per motivi di lavoro uno dei due era fuori casa per molte ore al giorno. Sentiamo la lontananza da casa, ma nello stesso tempo sentiamo vicina la comunità di Ostuni che ci sostiene econo- micamente, almeno in questi primi perio- di fino a quando non troveremo un lavoro, cosa abbastanza difficile in Costa Rica per un missionario. Vi salutiamo augurandovi una buona Pa- squa di Resurrezione.
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