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- Redazione: piazza Duomo, 12 Brindisi E-mail: fermento@diocesibrindisiostuni.it tel. 340.2684464 | fax 0831.524296 «C
- SpeCiale Pasqua nelle terre di missione. Interviste e testimonianze
- SpeCiale Al servizio del Re dei re. I ministranti raccontano le loro esperienze
- Daniela Negro ESPERIENZE
- Luca De Feo Fermento torna a Maggio La redazione ricorda che è possibile inviare
Anno XXXV
n° 4 8 Aprile 2012 € 1,00 Spedizione in A.P. - art. 2 - c.20 - L.662/96 Redazione: piazza Duomo, 12 Brindisi E-mail: fermento@diocesibrindisiostuni.it tel. 340.2684464 | fax 0831.524296 «C oncludo qui il mio pellegrinaggio, ma continuerò a pregare ardentemente affinchè continuiate il vostro cammino e Cuba sia la casa di tutti e per tutti i cubani, dove convivano la giustizia e la libertà, in un clima di serena fraternità». Con queste parole Benedetto XVI si è con- gedato dai cubani, il 29 marzo scorso, al momento di lasciare il Paese. «Il rispetto e la cura della libertà che palpita nel cuore di ogni uomo - ha detto il Pontefice all’ae- roporto de L’Avana - è imprescindibile per rispondere in modo adeguato alle esigenze fondamentali della sua dignità, e costru- ire così una società nella quale ciascuno si senta protagonista indispensabile del futuro della propria vita, della propria famiglia e della propria patria». Prima di salire sull’aereo che lo ha riportato a Roma, Benedetto XVI ha salutato la po- polazione cubana con un «Hasta siempre, Cuba». «Che Dio benedica il tuo futuro», ha aggiunto. Il viaggio apostolico di Benedetto XVI era iniziato il 23 marzo dal vicino Messico. Memorabili rimarranno le immagini con le centinaia di migliaia di fedeli che hanno partecipato alle celebrazioni presiedute dal Pontefice, a Parque del Bicentenario di León (Messico), come a Plaza de la Revolu- ción di La Habana (Cuba). Passerà alla storia, infine, l’incontro di Benedetto XVI con il leader cubano Fidel Castro. Servizio a pagina 17 Pasqua pensando
all’Avana Angelo Sconosciuto P asqua di Resurrezione: è la più bella notizia nella storia dell’uomo, creato ad immagine di Dio. Bella no- tizia per la persona tutta intera, che trova così la sua dimensione autentica, a misura del Padre e di quell’Unigenito che ha dimo- strato storicamente, attraverso l’Amore, cosa essa sia davvero. Ovunque noi siamo, pensiamoci creati ad immagine e somiglian- za dell’Eterno, che lavorò per definire il Creato; pensiamo alle nostre mani e alla nostra mente, al nostro lavoro e a ciascun la- voratore che – mediamo le pa- role di mons. Bregantini - «non è una merce. Non lo si può trattare come un prodotto da dismettere, da eliminare per motivi di bilan- cio». È giusto dunque pensare che il lavoro, prima che questione di economia e di politica, sia fon- damento etico, mentre «ormai l’aspetto tecnico sta diventando prevalente» su quello, ha riba- dito quel presule, confermando che «l’aspetto etico nella politi- ca è necessario. E invece non è più tenuto in considerazione». E questo è vero perchè la persona non è più al centro delle consi- derazioni di questa società: non è più il valore per eccellenza, con Dio ai margini della nostra storia. Però – ce lo ha ribadi- to papa Benedetto proprio in quella piazza simbolo non iso- lato di questa marginalizzazio- ne della nostra dimensione tra- scendente - «la verità sull’uomo è un presupposto ineludibile per raggiungere la libertà, perchè in essa scopriamo i fondamenti di un’etica con la quale tutti pos- sono confrontarsi e che contiene formulazioni chiare e precise sulla vita e la morte, i doveri ed i diritti, il matrimonio, la fami- glia e la società, in definitiva, sulla dignità inviolabile dell’es- sere umano». «Questo patrimo- nio etico - ha aggiunto - è quel- lo che può avvicinare tutte le culture, i popoli e le religioni, le autorità e i cittadini, e i cittadi- ni tra loro, e i credenti in Cristo con coloro che non credono in Lui». In quel “non luogo”, diven- tato tutt’un tratto thopos del- la presenza effettiva del Figlio dell’Uomo in comunione con i fratelli, il Papa però è anda- to oltre, ribadendo che «fede e ragione sono necessarie e com- plementari nella ricerca della verità», la cui ansia è promossa dalla fede cristiana: «ogni esse- re umano deve scrutare la veri- tà ed optare per essa quando la trova, anche a rischio di affron- tare sacrifici», ha detto. Ma è poi sacrificio aspettare l’alba del giorno di Pasqua? editoriale Benedetto XVI in Messico e a Cuba primo piano I giovani della Diocesi in Marcia per testimoniare la loro fede A pagina 3 All’interno SpeCiale__Pasqua_nelle__terre_di_missione.__Interviste__e_testimonianze'>SpeCiale Pasqua nelle terre di missione. Interviste e testimonianze pagine
11-14 Vita dioCeSana Il 24° di episcopato dell’Arcivescovo con un pensiero alle famiglie in crisi A pagina 5
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6-7 PaginAperta 2 8 aprile 2012 S ono rientrati in Italia dall’Afghanistan, dopo sei mesi di missione (10 settembre 2011 – 14 marzo 2012), i fucilieri del Reggimento San Marco. I nostri uomini sono stati impegnati nella missione “International Security Assistance Force” (ISAF), nel settore Ovest (Regional Com- mand – West) che compren- deva la provincia di Farah, nei distretti di Gulistan e Bak- wa. L’Italia opera in Afghani- stan da dieci anni, in seguito all’attentato terroristico del 2001 alle Torri Gemelle di New York, unendosi alle forze ameri- cane per controllare il territorio. La task force “Leone” del reggi- mento San Marco è stata accolta dal- la cittadinanza, il 19 marzo scorso, con una cerimonia ufficiale svoltasi a Brindisi, in piazzale Lenio Flacco, alla presenza del nostro Arcivescovo e del capo di Stato Maggiore della Marina Militare, l’Ammiraglio Luigi Binelli Mantelli. A pochi giorni dal suo rientro, abbiamo incontrato il cappellano militare del Battaglione “San Marco”, don Mar- cello Calefati, il quale ci ha rac- contato la sua esperienza in Af- ghanistan, vissuta, giorno per giorno, con tutti gli uomini impegnati in missione. Don Marcello ci ha spiegato che il territorio afgano, gran- de due volte l’Italia, è per lo più desertico con una densità di popolazione, tra l’altro no- made, molto bassa, soprattutto nella zona a loro assegnata. Un nomadismo dovuto alla pressio- ne dei talebani, ancora presenti. «Abbiamo visto poca gente, villaggi con decine di persone o al massimo de- cine di famiglie dove la difficoltà principale è la lingua, anche se ci sono gli interpreti con cui i capi villaggio instaurano buoni rapporti. Per questo mo- tivo o per interesse, perché sanno che da noi possono ottenere la costruzione, ad esempio, di un muretto,di un pozzo, di una clinica, o il restauro di una moschea (tutte cose avvenute); da questo rapporto di interesse può nascere anche un rappor- to di collaborazione tra noi e loro».
«La nostra è stata un’ope- razione di natura cultura- le, dove abbiamo cercato di rendere la popolazione auto- noma, realizzando oltre 2500 interventi soprattutto a bene- ficio dei bambini – ci ha rac- contato ancora don Marcello – contribuendo a creare un clima di accettazione reciproca e superando i pregiudizi. Il popolo afgano vive come se fosse fermo al 1390, per cui c’è una profonda ignoranza. Ad esempio, loro vedono l’Occidente attra- verso la tv e ne constatano il degrado morale. Quando, poi, si sono resi conto che anche noi abbiamo dei prin- cipi morali e che non è tutto come appare, allora sono rimasti quasi sorpresi. Per cui esiste un timore dell’Oc- cidente, palesato molto dai mezzi di comunicazione». Don Marcello si mostra soddisfatto soprattutto del fat- to che, nonostante gli incidenti di febbraio (soprattutto quello relativo al soldato americano che ha ucciso molti civili) i rapporti non siano peggiorati e non ci siano sta- te ripercussioni da parte del popolo afgano. E ci ha resi edotti degli importanti risultati ottenuti in questi dieci anni: «Sono state costruite le autostrade che collegano le principali città, più di un milione e mezzo di bambini e bambine hanno avuto la possibilità di andare a scuola (teniamo conto che le femmine non ci possono anda- re) e soprattutto è maturato un grande rispetto per noi che lavoravamo nella base e per la nostra opera religio- sa». A questo proposito, il cappellano ci ha spiegato in cosa consisteva il suo lavoro pastorale all’interno della base: «Vivevamo in un recinto con più di 500 persone, un piccolo villaggio dove eravamo per la maggior parte cristiani cattolici e dove il cappellano si organizza come un parroco, andando a trovare le persone che svolgo- no i lavori più disparati, cercando di essere presente e confortare nelle operazioni che si presentavano ad alto rischio, vicino alle persone più esposte al perico- lo, facendo vivere il tempo che passa nella sua essenzialità, vivendo la quotidianità nel rispetto del lavoro di tutti, anche di chi resta nella base, che ha un dovere maggiore rispetto a chi esce fuori, con il quale si crea un forte legame facendo bene, con onestà e competenza, il proprio lavoro». La presenza del cappellano è fondamentale anche per un altro aspetto che don Marcel- lo ci descrive attraverso alcuni stralci di vita quotidiana, come la partecipazione alla Messa di ogni giorno e in particolare, in maniera molto intensa, quel- la domenicale, proprio come una parrocchia. «Significativa è stata anche la richiesta, da parte di qualche militare, dell’Adorazione Eucaristica, il giovedì, durante la quale ricordavamo il sacrificio dei militari del passato. E ancor più toccante è stata l’esperienza del Rosario serale che diversi militari hanno riscoperto e durante il quale pregava- mo per i due Marò italiani, tenuti in carcere in India». Alla domanda circa la realtà che si vive in un contesto simi- le, don Marcello ci ha risposto così: «Si vive un senso di pre- carietà esistenziale, si com- prende il valore altissimo del- la difesa e si percepisce molto la natura. Il sole, la luna, la notte nel deserto, gli animali che si fanno sentire al buio, ti fanno comprendere la fragilità dell’uomo. Percepivo che il peri- colo era palpabile e sentivo che, da parte dei nostri militari, c’era il biso- gno di venirmi a cercare, di chiedere una benedizione, lo facevano capire guardandomi o stringendo la loro mano, sentivano la preoccupazione e il bisogno della protezione delle ali di San Marco». Alla fine del nostro incontro, abbiamo chie- sto a don Marcello cosa rimane nel cuore dopo aver vissuto quest’esperienza, per lui un elemento di grazia ma anche un impegno che ha assun- to con tante madri e mogli, quasi rassicurate dalla sua presenza nel Reggimento. E il suo pen- siero va a nove militari ritor- nati in modo particolarmente segnato, che hanno pagato il costo più elevato a livello fi- sico e psicologico. Sottoline- ando anche che «dal punto di vista spirituale molti, tra i nostri militari, si sono riavvicinati a Cri- sto nella Chiesa e il Natale, vissuto in Afghanistan, è stata l’occasione per riscoprire il significato genuino di quella festa, valorizzando il tempo come un eser- cizio spirituale. La quotidianità è servita ad ap- prezzare la benedizione di Dio, manifestando un senso di gratitudine, ognuno nelle proprie forme. Sono tanti gli esempi di testimonianze cristianamente eroiche, una per tutte quella di un giovane fuciliere, non sposato, che chiedeva proprio questo: “Se deve succedere qualcosa che succeda a me, piuttosto che a un padre di famiglia”. Siamo consci della gratitudine per i nostri Santi Patroni, per la nostra Chiesa di Brindisi-Ostuni, per il Padre Arci- vescovo, per le comunità che hanno pregato per noi e di cui abbiamo avvertito l’efficacia della loro preghiera. Il nostro proposito, ora, è avere maggiore attenzione per le persone che dobbiamo sentire come fratelli, creare una vera comunità cristiana nella nostra base in sinergia con la Chiesa diocesana, consci anche del fatto che qui c’è tanto da fare: se in Afgha- nistan c’era il deserto ma- teriale, qui c’è un deserto spirituale. Sia tutto questo, il bagaglio di cui faremo te- soro prossimamente». Daniela Negro ESPERIENZE
Incontro col cappellano del Reggimento S. Marco In Afghanistan per riavvicinarsi a Cristo T elevisioni e giornali, di frequente, nell’ap- prossimarsi della Pasqua, usano l’espres- sione “riti della settimana santa” soffermandosi su quelle manifestazioni di religiosità popolari che in alcune situazioni rischiano piuttosto di entrare in conflit- to con le Liturgie della Chiesa. È necessario, infatti, ricordare che tali manifestazio- ni nascono in un momento ben preciso della storia della Chiesa, in un popolo cristiano e per un popolo cristiano emarginato dalla Liturgia, sempre più cle- ricalizzata e resa incomprensibile dall’uso del latino. Nello stesso tempo diversi movimenti spirituali, che trovavano ampio radicamento popolare, sottolinea- vano di più la meditazione sul soffrire dell’uomo della croce (cf. crocifissi piagati e sanguinanti) rispetto alla più antica contemplazione della gloria del Verbo di Dio innalzato sulla croce (cf. crocifisso rivestito della tunica sacerdotale in S. Maria Antigua in Roma). Si è rischiato così – talora anche più che rischiato – di pro- porre una specie di funerale del Cristo morto anziché la celebrazione del suo offrire la vita per gli uomini e del suo vincere, attraverso la croce, il peccato e la morte. Dall’inizio degli anni ’50 del ‘900, però, prima con la decisione di papa Pio XII di restaurare le Liturgie del Triduo Pasquale negli orari originari e poi con la rifor- ma voluta dal Concilio Vaticano II ed attuata da papa Paolo VI, c’è stato un cambiamento copernicano: la Liturgia, celebrata nella lingua del popolo, è tornata ad essere popolare esigendo che le manifestazioni di religiosità popolare si adeguino ai suoi nuovi tempi e non invadano i suoi riti. Per il credente gli autentici riti della settimana santa non sono, quindi, quelli scanditi dalle “musiche strug- genti” della bande che spesso rendono invece difficile la preghiera; coincidono invece con le Liturgie cele- brate nella chiese nei santi giorni del Triduo Pasquale: l’Eucaristia in coena Domini dopo il tramonto del gio- vedì, già proiettata nel venerdì; la solenne Liturgia in
meriggio del venerdì; la Veglia in resurectione Domini nella notte della domenica e tutte le Messe celebrate nel giorno di Pasqua. Tutto il resto deve essere per- cepito di gran lunga inferiore a queste celebrazioni, centro di tutto l’anno liturgico, e deve essere lasciato cadere senza rimpianti quando rischi, anche solo in parte, di offuscare tale centralità ed unicità. In alcuni paesi, come Ostuni, già dopo gli interven- ti di Pio XII, sacerdoti saggi e lungimiranti, guidati dall’allora vicario generale, mons. Orazio Semeraro, provvidero ad adeguare gli orari delle manifestazio- ni di religiosità popolare ai nuovi ritmi delle Liturgie, evitando – come accade ancora altrove – che le “po- ste ai sepolcri” avvengano il giovedì mattina, davanti ad un tabernacolo vuoto o che processioni notturne si sovrappongano al sostare in adorazione davanti all’Eucaristia. Quando le tradizioni popolari coprono la centrali- tà delle Liturgie non possono più essere considerate veicolo di fede, ma al massimo espressioni di folklore religioso o attrazione turistica; necessitano perciò di profonde e radicali correzioni, anche a costo di lasciar cadere qualcosa. Si potrà obiettare che fanno ormai parte della cultura e della tradizione anche civile di un determinato luogo e dei suoi abitanti. Ma la questio- ne va posta in modo diverso: si tratta di comprendere che la cultura è divenire e di cominciare a costruire una spiritualità rinnovata, purificata da tradizioni che l’hanno appesantita lungo gli ultimi secoli per recu- perare più antiche valenze.
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Settimana Santa Tradizioni popolari ma Liturgia al centro Primo Piano 3 8 aprile 2012 U na splendida giornata di sole, unita all’entusiasmo e al calore di centi- naia di giovani, e non solo, prove- nienti da tutte le comunità della Diocesi, sono stati la cornice ideale per il tradiziona- le appuntamento della Marcia della Fede. I giovani, accompagnati dai loro sacerdo- ti ed educatori, si sono ritrovati, sabato 31 marzo, vigilia della Domenica delle Palme, nello splendido scenario del Santuario Santa Maria del Casale di Brindisi. Al loro arrivo, i partecipanti sono stati ac- colti da don Marco Candeloro, da Danilo Di Leo e dall’intera equipe del Servizio diocesa- no di Pastorale Giovanile che ha organizzato l’appuntamento. Dopo un iniziale momento di festa con bal- li e canti, ci si è raccolti in silenzio per una pausa di riflessione e preghiera presieduta da Mons. Arcivescovo. Il tema della Marcia della Fede di quest’an- no, appuntamento che si ripete, seppur con sfumature diverse da circa quattro decenni, era “Siate sempre lieti nel Signore”, e prende- va spunto dal tema del Messaggio che il Papa Benedetto XVI ha consegnato ai giovani di tutto il mondo in occasione della Giornata della Gioventù celebrata, a livello locale, in tutte le Diocesi del mondo. Il momento di preghiera è stato introdotto da don Marco Candeloro, responsabile della Pastorale giovanile diocesana, il quale, nel dare il benvenuto dei giovani all’Arcivescovo, ha spiegato il significato della Marcia e anche la presenza di alcuni segni: una grande por- ta, posta in fondo alla Chiesa e attraverso la quale i giovani sarebbero passati di lì a poco per dare avvio alla marcia vera e propria, e una grande croce posta accanto all’altare. «La porta – ha spiegato don Marco richia- mando l’Anno della Fede indetto dal Ponte- fice – sta a rappresentare la nostra fede che altro non è se non una porta da attraversare per entrare nel mistero di Dio che ci fa sco- prire il Suo da portare nel mondo. La croce, poi, è il segno più grande che ci manifesta proprio questo amore di Dio». All’inizio del momento di preghiera, un giovane ha portato la sua testimonianza af- fermando come oggi non sia facile essere giovani. “In un mondo dove è sempre più difficile emergere, dove si fa una fatica tre- menda a realizzarsi, dove non si riesce ad avere minimamente la prospettiva di un fu- turo certo - è stato detto - spesso, i giovani si sentono soli, senza speranza, in balia delle situazioni, senza meta. Ma c’è una soluzione, una strada possibile, un percorso che, seb- bene non sia facile, può darci la felicità vera. Da giovani non possiamo non sperare, non possiamo non avere aspirazioni alte, ideali grandi, sogni veri. E, soprattutto, da giovani cristiani, abbiamo una strada già tracciata, un compagno di viaggio che si è proposto di fare la strada con noi, e di farla con un pas- so spedito, con l’entusiasmo di chi accoglie l’invito «Siate sempre lieti nel Signore». “Alla vigilia di questa Pasqua, possiamo trovare quella speranza vera che da senso e sale alla nostra vita, quella speranza che può sovver- tire ogni precarietà, ogni scoraggiamento, ogni sconfitta, e che ha il volto gioioso di Gesù Risorto”. A seguire le parole dell’Arcivescovo: «siamo qui, intorno alla “bilancia del grande riscat- to”, per adorare l’amore gratuito e riconcilia- tore che, nell’abbraccio della Croce, Cristo continua a riversare su tutti gli uomini. Ci faremo guidare dalla voce stessa del Signore che si rivela a noi come via, verità, vita, come il pastore che non dimentica nessuna delle sue pecore, come l’unica porta attraverso cui passare per giungere alla salvezza. Chiedia- mo quindi al Signore di aprire i nostri occhi per saper riconoscere in questo duro legno l’abbraccio colmo d’amore che avvolge cia- scuno di noi; e chiediamo che apra i nostri cuori all’ascolto della sua voce per renderci capaci di ricambiare con il suo stesso ab- braccio». Al termine del momento di preghiera, i gio- vani, portando in spalla, a turno, una grande croce di legno, preceduti da altri coetanei con fiaccole e rami di palme, hanno iniziato la loro marcia verso il centro della città. Per due ore le strade principali della città di Brindisi sono state pacificamente invase dal- le centinaia di giovani che, con canti e pre- ghiere, hanno voluto testimoniare al mondo l’amore di Dio. La Marcia si è conclusa in piazza della Vit- toria dove l’Arcivescovo ha rivolto il suo pensiero conclusivo invitando i presenti ad essere sempre gioiosi e lieti perché ricolmi dell’amore del Padre. È seguito un bellissimo concerto a cura della “Gioiosa Band” di Villaricca (Na), un gruppo della comunità “Nuovi Orizzonti”, organizzazione presente a livello nazionale e internazionale che si pone l’obiettivo di in- tervenire in tutti gli ambiti del disagio socia- le in modo particolare del mondo giovanile, proponendo specifici interventi innovativi e un proprio programma di ricostruzione inte- grale della persona che unisce la dimensio- ne psicologica a quella spirituale e umana. Inoltre propone i valori della solidarietà, del- la condivisione, della cooperazione e della spiritualità come elementi essenziali per una piena realizzazione della persona.
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