Aa 2012-2013 sp 2013 Prof. Uberto motta corso monografico di letteratura moderna Le Odi e IL Giorno di Parini
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Tal fusti o Notte allor che gl'inclit'avi, Onde pur sempre il mio garzon si vanta, Eran duri ed alpestri; e con l'occaso Cadean dopo lor cene al sonno in preda; Fin che l'aurora sbadigliante ancora Li richiamasse a vigilar su l'opre De i per novo cammin guidati rivi E su i campi nascenti; onde poi grandi Furo i nipoti e le cittadi e i regni. Ma ecco Amore, ecco la madre Venere, Ecco del gioco, ecco del fasto i Genj, Che trionfanti per la notte scorrono, Per la notte, che sacra è al mio signore. Tutto davanti a lor tutto s'irradia Di nova luce. Le inimiche tenebre Fuggono riversate; e l'ali spandono
La notte, vv. 39-40
Ma ecco Amore, ecco la madre Venere, Ecco del gioco, ecco del fasto i Genj, Ma^e¦cco^A¦mo¦re,˅¦ ec¦co ¦ la ¦ ma¦ dre ¦ Ve¦ ne ¦re, 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 Ec¦co ¦ del ¦ gio¦ co,^ec¦co ¦ del ¦ fa¦ sto^i ¦ Ge¦nj, 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
La notte, v. 44
«L’opzione per la forma con –i prostetica, unica occorrenza nel poema […], è forse ascrivibile alla sopraggiunta intenzione di generare una sinalefe in un verso privo di incontri vocalici, ulteriormente frazionato dalla pausa interpuntiva forte» (M. Tizi).
Le Odi
1791, ed. a cura di Agostino Gambarelli (22 testi)
1795, ed. a cura di Giuseppe Bernardoni (25 testi: Per l’inclita Nice, A Silvia, Alla Musa)
1802, ed. a cura di Francesco Reina (Opere, vol. II; esclude Il piacere e la virtù, Piramo e Tisbe, Alceste)
1975, ed. a cura di Dante Isella (25 testi)
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
La vita rustica (1757-58), vv. 1-8
Perchè turbarmi l'anima, O d'oro e d'onor brame, Se del mio viver Atropo Presso è a troncar lo stame? E già per me si piega Sul remo il nocchier brun Colà donde si niega Che più ritorni alcun?
La salubrità dell’aria (1758-59), vv. 1-12
Oh beato terreno Del vago Eupili mio, Ecco al fin nel tuo seno M'accogli; e del natìo Aere mi circondi; E il petto avido inondi.
L’innesto del vaiolo
Giovanni Maria Bicetti de’ Buttinoni (1708-1778), Osservazioni sopra alcuni innesti di vaiuolo... con l'aggiunta di varie lettere di uomini illustri e un'ode dell'ab. Parini sullo stesso argomento, Milano, Galeazzi, 1765 → G. Parini, Al signor dottore G. Bicetti de’ Buttinoni che con felice successo eseguisce, e promulga l’innesto del vaiuolo
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
L’innesto del vaiolo (1765), vv. 1-18
O Genovese ove ne vai? qual raggio Brilla di speme su le audaci antenne? Non temi oimè le penne Non anco esperte degli ignoti venti? Qual ti affida coraggio All'intentato piano De lo immenso oceano? Senti le beffe dell'Europa, senti Come deride i tuoi sperati eventi.
19-36 Così l'eroe nocchier pensa, ed abbatte I paventati d'Ercole pilastri; Saluta novelli astri; E di nuove tempeste ode il ruggito. Veggon le stupefatte Genti dell'orbe ascoso Lo stranier portentoso. Ei riede; e mostra i suoi tesori ardito All'Europa, che il beffa ancor sul lito. Più dell'oro, BICETTI, all'Uomo è cara Questa del viver suo lunga speranza: Più dell'oro possanza Sopra gli animi umani ha la bellezza. E pur la turba ignara Or condanna il cimento, Or resiste all'evento Di chi 'l doppio tesor le reca; e sprezza I novi mondi al prisco mondo avvezza.
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
L’educazione, vv. 115-138 e 151-162
Altri le altere cune Lascia o Garzon che pregi. Le superbe fortune Del vile anco son fregi. Chi de la gloria è vago Sol di virtù sia pago. Onora o figlio il Nume Che dall'alto ti guarda: Ma solo a lui non fume Incenso e vittim'arda. È d'uopo Achille alzare Nell'alma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Eran duri ed alpestri; e con l'occaso Cadean dopo lor cene al sonno in preda; Fin che l'aurora sbadigliante ancora Li richiamasse a vigilar su l'opre De i per novo cammin guidati rivi E su i campi nascenti; onde poi grandi Furo i nipoti e le cittadi e i regni. Ma ecco Amore, ecco la madre Venere, Ecco del gioco, ecco del fasto i Genj, Che trionfanti per la notte scorrono, Per la notte, che sacra è al mio signore. Tutto davanti a lor tutto s'irradia Di nova luce. Le inimiche tenebre Fuggono riversate; e l'ali spandono
La notte, vv. 39-40
Ma ecco Amore, ecco la madre Venere, Ecco del gioco, ecco del fasto i Genj, Ma^e¦cco^A¦mo¦re,˅¦ ec¦co ¦ la ¦ ma¦ dre ¦ Ve¦ ne ¦re, 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 Ec¦co ¦ del ¦ gio¦ co,^ec¦co ¦ del ¦ fa¦ sto^i ¦ Ge¦nj, 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
La notte, v. 44
«L’opzione per la forma con –i prostetica, unica occorrenza nel poema […], è forse ascrivibile alla sopraggiunta intenzione di generare una sinalefe in un verso privo di incontri vocalici, ulteriormente frazionato dalla pausa interpuntiva forte» (M. Tizi).
Le Odi
1791, ed. a cura di Agostino Gambarelli (22 testi)
1795, ed. a cura di Giuseppe Bernardoni (25 testi: Per l’inclita Nice, A Silvia, Alla Musa)
1802, ed. a cura di Francesco Reina (Opere, vol. II; esclude Il piacere e la virtù, Piramo e Tisbe, Alceste)
1975, ed. a cura di Dante Isella (25 testi)
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
La vita rustica (1757-58), vv. 1-8
Perchè turbarmi l'anima, O d'oro e d'onor brame, Se del mio viver Atropo Presso è a troncar lo stame? E già per me si piega Sul remo il nocchier brun Colà donde si niega Che più ritorni alcun?
La salubrità dell’aria (1758-59), vv. 1-12
Oh beato terreno Del vago Eupili mio, Ecco al fin nel tuo seno M'accogli; e del natìo Aere mi circondi; E il petto avido inondi.
L’innesto del vaiolo
Giovanni Maria Bicetti de’ Buttinoni (1708-1778), Osservazioni sopra alcuni innesti di vaiuolo... con l'aggiunta di varie lettere di uomini illustri e un'ode dell'ab. Parini sullo stesso argomento, Milano, Galeazzi, 1765 → G. Parini, Al signor dottore G. Bicetti de’ Buttinoni che con felice successo eseguisce, e promulga l’innesto del vaiuolo
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
L’innesto del vaiolo (1765), vv. 1-18
O Genovese ove ne vai? qual raggio Brilla di speme su le audaci antenne? Non temi oimè le penne Non anco esperte degli ignoti venti? Qual ti affida coraggio All'intentato piano De lo immenso oceano? Senti le beffe dell'Europa, senti Come deride i tuoi sperati eventi.
19-36 Così l'eroe nocchier pensa, ed abbatte I paventati d'Ercole pilastri; Saluta novelli astri; E di nuove tempeste ode il ruggito. Veggon le stupefatte Genti dell'orbe ascoso Lo stranier portentoso. Ei riede; e mostra i suoi tesori ardito All'Europa, che il beffa ancor sul lito. Più dell'oro, BICETTI, all'Uomo è cara Questa del viver suo lunga speranza: Più dell'oro possanza Sopra gli animi umani ha la bellezza. E pur la turba ignara Or condanna il cimento, Or resiste all'evento Di chi 'l doppio tesor le reca; e sprezza I novi mondi al prisco mondo avvezza.
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
L’educazione, vv. 115-138 e 151-162
Altri le altere cune Lascia o Garzon che pregi. Le superbe fortune Del vile anco son fregi. Chi de la gloria è vago Sol di virtù sia pago. Onora o figlio il Nume Che dall'alto ti guarda: Ma solo a lui non fume Incenso e vittim'arda. È d'uopo Achille alzare Nell'alma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Fin che l'aurora sbadigliante ancora Li richiamasse a vigilar su l'opre De i per novo cammin guidati rivi E su i campi nascenti; onde poi grandi Furo i nipoti e le cittadi e i regni. Ma ecco Amore, ecco la madre Venere, Ecco del gioco, ecco del fasto i Genj, Che trionfanti per la notte scorrono, Per la notte, che sacra è al mio signore. Tutto davanti a lor tutto s'irradia Di nova luce. Le inimiche tenebre Fuggono riversate; e l'ali spandono
La notte, vv. 39-40
Ma ecco Amore, ecco la madre Venere, Ecco del gioco, ecco del fasto i Genj, Ma^e¦cco^A¦mo¦re,˅¦ ec¦co ¦ la ¦ ma¦ dre ¦ Ve¦ ne ¦re, 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 Ec¦co ¦ del ¦ gio¦ co,^ec¦co ¦ del ¦ fa¦ sto^i ¦ Ge¦nj, 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
La notte, v. 44
«L’opzione per la forma con –i prostetica, unica occorrenza nel poema […], è forse ascrivibile alla sopraggiunta intenzione di generare una sinalefe in un verso privo di incontri vocalici, ulteriormente frazionato dalla pausa interpuntiva forte» (M. Tizi).
Le Odi
1791, ed. a cura di Agostino Gambarelli (22 testi)
1795, ed. a cura di Giuseppe Bernardoni (25 testi: Per l’inclita Nice, A Silvia, Alla Musa)
1802, ed. a cura di Francesco Reina (Opere, vol. II; esclude Il piacere e la virtù, Piramo e Tisbe, Alceste)
1975, ed. a cura di Dante Isella (25 testi)
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
La vita rustica (1757-58), vv. 1-8
Perchè turbarmi l'anima, O d'oro e d'onor brame, Se del mio viver Atropo Presso è a troncar lo stame? E già per me si piega Sul remo il nocchier brun Colà donde si niega Che più ritorni alcun?
La salubrità dell’aria (1758-59), vv. 1-12
Oh beato terreno Del vago Eupili mio, Ecco al fin nel tuo seno M'accogli; e del natìo Aere mi circondi; E il petto avido inondi.
L’innesto del vaiolo
Giovanni Maria Bicetti de’ Buttinoni (1708-1778), Osservazioni sopra alcuni innesti di vaiuolo... con l'aggiunta di varie lettere di uomini illustri e un'ode dell'ab. Parini sullo stesso argomento, Milano, Galeazzi, 1765 → G. Parini, Al signor dottore G. Bicetti de’ Buttinoni che con felice successo eseguisce, e promulga l’innesto del vaiuolo
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
L’innesto del vaiolo (1765), vv. 1-18
O Genovese ove ne vai? qual raggio Brilla di speme su le audaci antenne? Non temi oimè le penne Non anco esperte degli ignoti venti? Qual ti affida coraggio All'intentato piano De lo immenso oceano? Senti le beffe dell'Europa, senti Come deride i tuoi sperati eventi.
19-36 Così l'eroe nocchier pensa, ed abbatte I paventati d'Ercole pilastri; Saluta novelli astri; E di nuove tempeste ode il ruggito. Veggon le stupefatte Genti dell'orbe ascoso Lo stranier portentoso. Ei riede; e mostra i suoi tesori ardito All'Europa, che il beffa ancor sul lito. Più dell'oro, BICETTI, all'Uomo è cara Questa del viver suo lunga speranza: Più dell'oro possanza Sopra gli animi umani ha la bellezza. E pur la turba ignara Or condanna il cimento, Or resiste all'evento Di chi 'l doppio tesor le reca; e sprezza I novi mondi al prisco mondo avvezza.
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
L’educazione, vv. 115-138 e 151-162
Altri le altere cune Lascia o Garzon che pregi. Le superbe fortune Del vile anco son fregi. Chi de la gloria è vago Sol di virtù sia pago. Onora o figlio il Nume Che dall'alto ti guarda: Ma solo a lui non fume Incenso e vittim'arda. È d'uopo Achille alzare Nell'alma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
De i per novo cammin guidati rivi E su i campi nascenti; onde poi grandi Furo i nipoti e le cittadi e i regni. Ma ecco Amore, ecco la madre Venere, Ecco del gioco, ecco del fasto i Genj, Che trionfanti per la notte scorrono, Per la notte, che sacra è al mio signore. Tutto davanti a lor tutto s'irradia Di nova luce. Le inimiche tenebre Fuggono riversate; e l'ali spandono
La notte, vv. 39-40
Ma ecco Amore, ecco la madre Venere, Ecco del gioco, ecco del fasto i Genj, Ma^e¦cco^A¦mo¦re,˅¦ ec¦co ¦ la ¦ ma¦ dre ¦ Ve¦ ne ¦re, 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 Ec¦co ¦ del ¦ gio¦ co,^ec¦co ¦ del ¦ fa¦ sto^i ¦ Ge¦nj, 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
La notte, v. 44
«L’opzione per la forma con –i prostetica, unica occorrenza nel poema […], è forse ascrivibile alla sopraggiunta intenzione di generare una sinalefe in un verso privo di incontri vocalici, ulteriormente frazionato dalla pausa interpuntiva forte» (M. Tizi).
Le Odi
1791, ed. a cura di Agostino Gambarelli (22 testi)
1795, ed. a cura di Giuseppe Bernardoni (25 testi: Per l’inclita Nice, A Silvia, Alla Musa)
1802, ed. a cura di Francesco Reina (Opere, vol. II; esclude Il piacere e la virtù, Piramo e Tisbe, Alceste)
1975, ed. a cura di Dante Isella (25 testi)
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
La vita rustica (1757-58), vv. 1-8
Perchè turbarmi l'anima, O d'oro e d'onor brame, Se del mio viver Atropo Presso è a troncar lo stame? E già per me si piega Sul remo il nocchier brun Colà donde si niega Che più ritorni alcun?
La salubrità dell’aria (1758-59), vv. 1-12
Oh beato terreno Del vago Eupili mio, Ecco al fin nel tuo seno M'accogli; e del natìo Aere mi circondi; E il petto avido inondi.
L’innesto del vaiolo
Giovanni Maria Bicetti de’ Buttinoni (1708-1778), Osservazioni sopra alcuni innesti di vaiuolo... con l'aggiunta di varie lettere di uomini illustri e un'ode dell'ab. Parini sullo stesso argomento, Milano, Galeazzi, 1765 → G. Parini, Al signor dottore G. Bicetti de’ Buttinoni che con felice successo eseguisce, e promulga l’innesto del vaiuolo
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
L’innesto del vaiolo (1765), vv. 1-18
O Genovese ove ne vai? qual raggio Brilla di speme su le audaci antenne? Non temi oimè le penne Non anco esperte degli ignoti venti? Qual ti affida coraggio All'intentato piano De lo immenso oceano? Senti le beffe dell'Europa, senti Come deride i tuoi sperati eventi.
19-36 Così l'eroe nocchier pensa, ed abbatte I paventati d'Ercole pilastri; Saluta novelli astri; E di nuove tempeste ode il ruggito. Veggon le stupefatte Genti dell'orbe ascoso Lo stranier portentoso. Ei riede; e mostra i suoi tesori ardito All'Europa, che il beffa ancor sul lito. Più dell'oro, BICETTI, all'Uomo è cara Questa del viver suo lunga speranza: Più dell'oro possanza Sopra gli animi umani ha la bellezza. E pur la turba ignara Or condanna il cimento, Or resiste all'evento Di chi 'l doppio tesor le reca; e sprezza I novi mondi al prisco mondo avvezza.
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
L’educazione, vv. 115-138 e 151-162
Altri le altere cune Lascia o Garzon che pregi. Le superbe fortune Del vile anco son fregi. Chi de la gloria è vago Sol di virtù sia pago. Onora o figlio il Nume Che dall'alto ti guarda: Ma solo a lui non fume Incenso e vittim'arda. È d'uopo Achille alzare Nell'alma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Furo i nipoti e le cittadi e i regni. Ma ecco Amore, ecco la madre Venere, Ecco del gioco, ecco del fasto i Genj, Che trionfanti per la notte scorrono, Per la notte, che sacra è al mio signore. Tutto davanti a lor tutto s'irradia Di nova luce. Le inimiche tenebre Fuggono riversate; e l'ali spandono
La notte, vv. 39-40
Ma ecco Amore, ecco la madre Venere, Ecco del gioco, ecco del fasto i Genj, Ma^e¦cco^A¦mo¦re,˅¦ ec¦co ¦ la ¦ ma¦ dre ¦ Ve¦ ne ¦re, 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 Ec¦co ¦ del ¦ gio¦ co,^ec¦co ¦ del ¦ fa¦ sto^i ¦ Ge¦nj, 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
La notte, v. 44
«L’opzione per la forma con –i prostetica, unica occorrenza nel poema […], è forse ascrivibile alla sopraggiunta intenzione di generare una sinalefe in un verso privo di incontri vocalici, ulteriormente frazionato dalla pausa interpuntiva forte» (M. Tizi).
Le Odi
1791, ed. a cura di Agostino Gambarelli (22 testi)
1795, ed. a cura di Giuseppe Bernardoni (25 testi: Per l’inclita Nice, A Silvia, Alla Musa)
1802, ed. a cura di Francesco Reina (Opere, vol. II; esclude Il piacere e la virtù, Piramo e Tisbe, Alceste)
1975, ed. a cura di Dante Isella (25 testi)
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
La vita rustica (1757-58), vv. 1-8
Perchè turbarmi l'anima, O d'oro e d'onor brame, Se del mio viver Atropo Presso è a troncar lo stame? E già per me si piega Sul remo il nocchier brun Colà donde si niega Che più ritorni alcun?
La salubrità dell’aria (1758-59), vv. 1-12
Oh beato terreno Del vago Eupili mio, Ecco al fin nel tuo seno M'accogli; e del natìo Aere mi circondi; E il petto avido inondi.
L’innesto del vaiolo
Giovanni Maria Bicetti de’ Buttinoni (1708-1778), Osservazioni sopra alcuni innesti di vaiuolo... con l'aggiunta di varie lettere di uomini illustri e un'ode dell'ab. Parini sullo stesso argomento, Milano, Galeazzi, 1765 → G. Parini, Al signor dottore G. Bicetti de’ Buttinoni che con felice successo eseguisce, e promulga l’innesto del vaiuolo
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
L’innesto del vaiolo (1765), vv. 1-18
O Genovese ove ne vai? qual raggio Brilla di speme su le audaci antenne? Non temi oimè le penne Non anco esperte degli ignoti venti? Qual ti affida coraggio All'intentato piano De lo immenso oceano? Senti le beffe dell'Europa, senti Come deride i tuoi sperati eventi.
19-36 Così l'eroe nocchier pensa, ed abbatte I paventati d'Ercole pilastri; Saluta novelli astri; E di nuove tempeste ode il ruggito. Veggon le stupefatte Genti dell'orbe ascoso Lo stranier portentoso. Ei riede; e mostra i suoi tesori ardito All'Europa, che il beffa ancor sul lito. Più dell'oro, BICETTI, all'Uomo è cara Questa del viver suo lunga speranza: Più dell'oro possanza Sopra gli animi umani ha la bellezza. E pur la turba ignara Or condanna il cimento, Or resiste all'evento Di chi 'l doppio tesor le reca; e sprezza I novi mondi al prisco mondo avvezza.
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
L’educazione, vv. 115-138 e 151-162
Altri le altere cune Lascia o Garzon che pregi. Le superbe fortune Del vile anco son fregi. Chi de la gloria è vago Sol di virtù sia pago. Onora o figlio il Nume Che dall'alto ti guarda: Ma solo a lui non fume Incenso e vittim'arda. È d'uopo Achille alzare Nell'alma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Ecco del gioco, ecco del fasto i Genj, Che trionfanti per la notte scorrono, Per la notte, che sacra è al mio signore. Tutto davanti a lor tutto s'irradia Di nova luce. Le inimiche tenebre Fuggono riversate; e l'ali spandono
La notte, vv. 39-40
Ma ecco Amore, ecco la madre Venere, Ecco del gioco, ecco del fasto i Genj, Ma^e¦cco^A¦mo¦re,˅¦ ec¦co ¦ la ¦ ma¦ dre ¦ Ve¦ ne ¦re, 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 Ec¦co ¦ del ¦ gio¦ co,^ec¦co ¦ del ¦ fa¦ sto^i ¦ Ge¦nj, 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
La notte, v. 44
«L’opzione per la forma con –i prostetica, unica occorrenza nel poema […], è forse ascrivibile alla sopraggiunta intenzione di generare una sinalefe in un verso privo di incontri vocalici, ulteriormente frazionato dalla pausa interpuntiva forte» (M. Tizi).
Le Odi
1791, ed. a cura di Agostino Gambarelli (22 testi)
1795, ed. a cura di Giuseppe Bernardoni (25 testi: Per l’inclita Nice, A Silvia, Alla Musa)
1802, ed. a cura di Francesco Reina (Opere, vol. II; esclude Il piacere e la virtù, Piramo e Tisbe, Alceste)
1975, ed. a cura di Dante Isella (25 testi)
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
La vita rustica (1757-58), vv. 1-8
Perchè turbarmi l'anima, O d'oro e d'onor brame, Se del mio viver Atropo Presso è a troncar lo stame? E già per me si piega Sul remo il nocchier brun Colà donde si niega Che più ritorni alcun?
La salubrità dell’aria (1758-59), vv. 1-12
Oh beato terreno Del vago Eupili mio, Ecco al fin nel tuo seno M'accogli; e del natìo Aere mi circondi; E il petto avido inondi.
L’innesto del vaiolo
Giovanni Maria Bicetti de’ Buttinoni (1708-1778), Osservazioni sopra alcuni innesti di vaiuolo... con l'aggiunta di varie lettere di uomini illustri e un'ode dell'ab. Parini sullo stesso argomento, Milano, Galeazzi, 1765 → G. Parini, Al signor dottore G. Bicetti de’ Buttinoni che con felice successo eseguisce, e promulga l’innesto del vaiuolo
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
L’innesto del vaiolo (1765), vv. 1-18
O Genovese ove ne vai? qual raggio Brilla di speme su le audaci antenne? Non temi oimè le penne Non anco esperte degli ignoti venti? Qual ti affida coraggio All'intentato piano De lo immenso oceano? Senti le beffe dell'Europa, senti Come deride i tuoi sperati eventi.
19-36 Così l'eroe nocchier pensa, ed abbatte I paventati d'Ercole pilastri; Saluta novelli astri; E di nuove tempeste ode il ruggito. Veggon le stupefatte Genti dell'orbe ascoso Lo stranier portentoso. Ei riede; e mostra i suoi tesori ardito All'Europa, che il beffa ancor sul lito. Più dell'oro, BICETTI, all'Uomo è cara Questa del viver suo lunga speranza: Più dell'oro possanza Sopra gli animi umani ha la bellezza. E pur la turba ignara Or condanna il cimento, Or resiste all'evento Di chi 'l doppio tesor le reca; e sprezza I novi mondi al prisco mondo avvezza.
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
L’educazione, vv. 115-138 e 151-162
Altri le altere cune Lascia o Garzon che pregi. Le superbe fortune Del vile anco son fregi. Chi de la gloria è vago Sol di virtù sia pago. Onora o figlio il Nume Che dall'alto ti guarda: Ma solo a lui non fume Incenso e vittim'arda. È d'uopo Achille alzare Nell'alma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Per la notte, che sacra è al mio signore. Tutto davanti a lor tutto s'irradia Di nova luce. Le inimiche tenebre Fuggono riversate; e l'ali spandono
La notte, vv. 39-40
Ma ecco Amore, ecco la madre Venere, Ecco del gioco, ecco del fasto i Genj, Ma^e¦cco^A¦mo¦re,˅¦ ec¦co ¦ la ¦ ma¦ dre ¦ Ve¦ ne ¦re, 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 Ec¦co ¦ del ¦ gio¦ co,^ec¦co ¦ del ¦ fa¦ sto^i ¦ Ge¦nj, 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
La notte, v. 44
«L’opzione per la forma con –i prostetica, unica occorrenza nel poema […], è forse ascrivibile alla sopraggiunta intenzione di generare una sinalefe in un verso privo di incontri vocalici, ulteriormente frazionato dalla pausa interpuntiva forte» (M. Tizi).
Le Odi
1791, ed. a cura di Agostino Gambarelli (22 testi)
1795, ed. a cura di Giuseppe Bernardoni (25 testi: Per l’inclita Nice, A Silvia, Alla Musa)
1802, ed. a cura di Francesco Reina (Opere, vol. II; esclude Il piacere e la virtù, Piramo e Tisbe, Alceste)
1975, ed. a cura di Dante Isella (25 testi)
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
La vita rustica (1757-58), vv. 1-8
Perchè turbarmi l'anima, O d'oro e d'onor brame, Se del mio viver Atropo Presso è a troncar lo stame? E già per me si piega Sul remo il nocchier brun Colà donde si niega Che più ritorni alcun?
La salubrità dell’aria (1758-59), vv. 1-12
Oh beato terreno Del vago Eupili mio, Ecco al fin nel tuo seno M'accogli; e del natìo Aere mi circondi; E il petto avido inondi.
L’innesto del vaiolo
Giovanni Maria Bicetti de’ Buttinoni (1708-1778), Osservazioni sopra alcuni innesti di vaiuolo... con l'aggiunta di varie lettere di uomini illustri e un'ode dell'ab. Parini sullo stesso argomento, Milano, Galeazzi, 1765 → G. Parini, Al signor dottore G. Bicetti de’ Buttinoni che con felice successo eseguisce, e promulga l’innesto del vaiuolo
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
L’innesto del vaiolo (1765), vv. 1-18
O Genovese ove ne vai? qual raggio Brilla di speme su le audaci antenne? Non temi oimè le penne Non anco esperte degli ignoti venti? Qual ti affida coraggio All'intentato piano De lo immenso oceano? Senti le beffe dell'Europa, senti Come deride i tuoi sperati eventi.
19-36 Così l'eroe nocchier pensa, ed abbatte I paventati d'Ercole pilastri; Saluta novelli astri; E di nuove tempeste ode il ruggito. Veggon le stupefatte Genti dell'orbe ascoso Lo stranier portentoso. Ei riede; e mostra i suoi tesori ardito All'Europa, che il beffa ancor sul lito. Più dell'oro, BICETTI, all'Uomo è cara Questa del viver suo lunga speranza: Più dell'oro possanza Sopra gli animi umani ha la bellezza. E pur la turba ignara Or condanna il cimento, Or resiste all'evento Di chi 'l doppio tesor le reca; e sprezza I novi mondi al prisco mondo avvezza.
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
L’educazione, vv. 115-138 e 151-162
Altri le altere cune Lascia o Garzon che pregi. Le superbe fortune Del vile anco son fregi. Chi de la gloria è vago Sol di virtù sia pago. Onora o figlio il Nume Che dall'alto ti guarda: Ma solo a lui non fume Incenso e vittim'arda. È d'uopo Achille alzare Nell'alma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Di nova luce. Le inimiche tenebre Fuggono riversate; e l'ali spandono
La notte, vv. 39-40
Ma ecco Amore, ecco la madre Venere, Ecco del gioco, ecco del fasto i Genj, Ma^e¦cco^A¦mo¦re,˅¦ ec¦co ¦ la ¦ ma¦ dre ¦ Ve¦ ne ¦re, 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 Ec¦co ¦ del ¦ gio¦ co,^ec¦co ¦ del ¦ fa¦ sto^i ¦ Ge¦nj, 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
La notte, v. 44
«L’opzione per la forma con –i prostetica, unica occorrenza nel poema […], è forse ascrivibile alla sopraggiunta intenzione di generare una sinalefe in un verso privo di incontri vocalici, ulteriormente frazionato dalla pausa interpuntiva forte» (M. Tizi).
Le Odi
1791, ed. a cura di Agostino Gambarelli (22 testi)
1795, ed. a cura di Giuseppe Bernardoni (25 testi: Per l’inclita Nice, A Silvia, Alla Musa)
1802, ed. a cura di Francesco Reina (Opere, vol. II; esclude Il piacere e la virtù, Piramo e Tisbe, Alceste)
1975, ed. a cura di Dante Isella (25 testi)
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
La vita rustica (1757-58), vv. 1-8
Perchè turbarmi l'anima, O d'oro e d'onor brame, Se del mio viver Atropo Presso è a troncar lo stame? E già per me si piega Sul remo il nocchier brun Colà donde si niega Che più ritorni alcun?
La salubrità dell’aria (1758-59), vv. 1-12
Oh beato terreno Del vago Eupili mio, Ecco al fin nel tuo seno M'accogli; e del natìo Aere mi circondi; E il petto avido inondi.
L’innesto del vaiolo
Giovanni Maria Bicetti de’ Buttinoni (1708-1778), Osservazioni sopra alcuni innesti di vaiuolo... con l'aggiunta di varie lettere di uomini illustri e un'ode dell'ab. Parini sullo stesso argomento, Milano, Galeazzi, 1765 → G. Parini, Al signor dottore G. Bicetti de’ Buttinoni che con felice successo eseguisce, e promulga l’innesto del vaiuolo
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
L’innesto del vaiolo (1765), vv. 1-18
O Genovese ove ne vai? qual raggio Brilla di speme su le audaci antenne? Non temi oimè le penne Non anco esperte degli ignoti venti? Qual ti affida coraggio All'intentato piano De lo immenso oceano? Senti le beffe dell'Europa, senti Come deride i tuoi sperati eventi.
19-36 Così l'eroe nocchier pensa, ed abbatte I paventati d'Ercole pilastri; Saluta novelli astri; E di nuove tempeste ode il ruggito. Veggon le stupefatte Genti dell'orbe ascoso Lo stranier portentoso. Ei riede; e mostra i suoi tesori ardito All'Europa, che il beffa ancor sul lito. Più dell'oro, BICETTI, all'Uomo è cara Questa del viver suo lunga speranza: Più dell'oro possanza Sopra gli animi umani ha la bellezza. E pur la turba ignara Or condanna il cimento, Or resiste all'evento Di chi 'l doppio tesor le reca; e sprezza I novi mondi al prisco mondo avvezza.
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
L’educazione, vv. 115-138 e 151-162
Altri le altere cune Lascia o Garzon che pregi. Le superbe fortune Del vile anco son fregi. Chi de la gloria è vago Sol di virtù sia pago. Onora o figlio il Nume Che dall'alto ti guarda: Ma solo a lui non fume Incenso e vittim'arda. È d'uopo Achille alzare Nell'alma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
La notte, vv. 39-40
Ma ecco Amore, ecco la madre Venere, Ecco del gioco, ecco del fasto i Genj, Ma^e¦cco^A¦mo¦re,˅¦ ec¦co ¦ la ¦ ma¦ dre ¦ Ve¦ ne ¦re, 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 Ec¦co ¦ del ¦ gio¦ co,^ec¦co ¦ del ¦ fa¦ sto^i ¦ Ge¦nj, 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
La notte, v. 44
«L’opzione per la forma con –i prostetica, unica occorrenza nel poema […], è forse ascrivibile alla sopraggiunta intenzione di generare una sinalefe in un verso privo di incontri vocalici, ulteriormente frazionato dalla pausa interpuntiva forte» (M. Tizi).
Le Odi
1791, ed. a cura di Agostino Gambarelli (22 testi)
1795, ed. a cura di Giuseppe Bernardoni (25 testi: Per l’inclita Nice, A Silvia, Alla Musa)
1802, ed. a cura di Francesco Reina (Opere, vol. II; esclude Il piacere e la virtù, Piramo e Tisbe, Alceste)
1975, ed. a cura di Dante Isella (25 testi)
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
La vita rustica (1757-58), vv. 1-8
Perchè turbarmi l'anima, O d'oro e d'onor brame, Se del mio viver Atropo Presso è a troncar lo stame? E già per me si piega Sul remo il nocchier brun Colà donde si niega Che più ritorni alcun?
La salubrità dell’aria (1758-59), vv. 1-12
Oh beato terreno Del vago Eupili mio, Ecco al fin nel tuo seno M'accogli; e del natìo Aere mi circondi; E il petto avido inondi.
L’innesto del vaiolo
Giovanni Maria Bicetti de’ Buttinoni (1708-1778), Osservazioni sopra alcuni innesti di vaiuolo... con l'aggiunta di varie lettere di uomini illustri e un'ode dell'ab. Parini sullo stesso argomento, Milano, Galeazzi, 1765 → G. Parini, Al signor dottore G. Bicetti de’ Buttinoni che con felice successo eseguisce, e promulga l’innesto del vaiuolo
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
L’innesto del vaiolo (1765), vv. 1-18
O Genovese ove ne vai? qual raggio Brilla di speme su le audaci antenne? Non temi oimè le penne Non anco esperte degli ignoti venti? Qual ti affida coraggio All'intentato piano De lo immenso oceano? Senti le beffe dell'Europa, senti Come deride i tuoi sperati eventi.
19-36 Così l'eroe nocchier pensa, ed abbatte I paventati d'Ercole pilastri; Saluta novelli astri; E di nuove tempeste ode il ruggito. Veggon le stupefatte Genti dell'orbe ascoso Lo stranier portentoso. Ei riede; e mostra i suoi tesori ardito All'Europa, che il beffa ancor sul lito. Più dell'oro, BICETTI, all'Uomo è cara Questa del viver suo lunga speranza: Più dell'oro possanza Sopra gli animi umani ha la bellezza. E pur la turba ignara Or condanna il cimento, Or resiste all'evento Di chi 'l doppio tesor le reca; e sprezza I novi mondi al prisco mondo avvezza.
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
L’educazione, vv. 115-138 e 151-162
Altri le altere cune Lascia o Garzon che pregi. Le superbe fortune Del vile anco son fregi. Chi de la gloria è vago Sol di virtù sia pago. Onora o figlio il Nume Che dall'alto ti guarda: Ma solo a lui non fume Incenso e vittim'arda. È d'uopo Achille alzare Nell'alma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Ma^e¦cco^A¦mo¦re,˅¦ ec¦co ¦ la ¦ ma¦ dre ¦ Ve¦ ne ¦re, 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 Ec¦co ¦ del ¦ gio¦ co,^ec¦co ¦ del ¦ fa¦ sto^i ¦ Ge¦nj, 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
La notte, v. 44
«L’opzione per la forma con –i prostetica, unica occorrenza nel poema […], è forse ascrivibile alla sopraggiunta intenzione di generare una sinalefe in un verso privo di incontri vocalici, ulteriormente frazionato dalla pausa interpuntiva forte» (M. Tizi).
Le Odi
1791, ed. a cura di Agostino Gambarelli (22 testi)
1795, ed. a cura di Giuseppe Bernardoni (25 testi: Per l’inclita Nice, A Silvia, Alla Musa)
1802, ed. a cura di Francesco Reina (Opere, vol. II; esclude Il piacere e la virtù, Piramo e Tisbe, Alceste)
1975, ed. a cura di Dante Isella (25 testi)
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
La vita rustica (1757-58), vv. 1-8
Perchè turbarmi l'anima, O d'oro e d'onor brame, Se del mio viver Atropo Presso è a troncar lo stame? E già per me si piega Sul remo il nocchier brun Colà donde si niega Che più ritorni alcun?
La salubrità dell’aria (1758-59), vv. 1-12
Oh beato terreno Del vago Eupili mio, Ecco al fin nel tuo seno M'accogli; e del natìo Aere mi circondi; E il petto avido inondi.
L’innesto del vaiolo
Giovanni Maria Bicetti de’ Buttinoni (1708-1778), Osservazioni sopra alcuni innesti di vaiuolo... con l'aggiunta di varie lettere di uomini illustri e un'ode dell'ab. Parini sullo stesso argomento, Milano, Galeazzi, 1765 → G. Parini, Al signor dottore G. Bicetti de’ Buttinoni che con felice successo eseguisce, e promulga l’innesto del vaiuolo
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
L’innesto del vaiolo (1765), vv. 1-18
O Genovese ove ne vai? qual raggio Brilla di speme su le audaci antenne? Non temi oimè le penne Non anco esperte degli ignoti venti? Qual ti affida coraggio All'intentato piano De lo immenso oceano? Senti le beffe dell'Europa, senti Come deride i tuoi sperati eventi.
19-36 Così l'eroe nocchier pensa, ed abbatte I paventati d'Ercole pilastri; Saluta novelli astri; E di nuove tempeste ode il ruggito. Veggon le stupefatte Genti dell'orbe ascoso Lo stranier portentoso. Ei riede; e mostra i suoi tesori ardito All'Europa, che il beffa ancor sul lito. Più dell'oro, BICETTI, all'Uomo è cara Questa del viver suo lunga speranza: Più dell'oro possanza Sopra gli animi umani ha la bellezza. E pur la turba ignara Or condanna il cimento, Or resiste all'evento Di chi 'l doppio tesor le reca; e sprezza I novi mondi al prisco mondo avvezza.
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
L’educazione, vv. 115-138 e 151-162
Altri le altere cune Lascia o Garzon che pregi. Le superbe fortune Del vile anco son fregi. Chi de la gloria è vago Sol di virtù sia pago. Onora o figlio il Nume Che dall'alto ti guarda: Ma solo a lui non fume Incenso e vittim'arda. È d'uopo Achille alzare Nell'alma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Ec¦co ¦ del ¦ gio¦ co,^ec¦co ¦ del ¦ fa¦ sto^i ¦ Ge¦nj, 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
La notte, v. 44
«L’opzione per la forma con –i prostetica, unica occorrenza nel poema […], è forse ascrivibile alla sopraggiunta intenzione di generare una sinalefe in un verso privo di incontri vocalici, ulteriormente frazionato dalla pausa interpuntiva forte» (M. Tizi).
Le Odi
1791, ed. a cura di Agostino Gambarelli (22 testi)
1795, ed. a cura di Giuseppe Bernardoni (25 testi: Per l’inclita Nice, A Silvia, Alla Musa)
1802, ed. a cura di Francesco Reina (Opere, vol. II; esclude Il piacere e la virtù, Piramo e Tisbe, Alceste)
1975, ed. a cura di Dante Isella (25 testi)
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
La vita rustica (1757-58), vv. 1-8
Perchè turbarmi l'anima, O d'oro e d'onor brame, Se del mio viver Atropo Presso è a troncar lo stame? E già per me si piega Sul remo il nocchier brun Colà donde si niega Che più ritorni alcun?
La salubrità dell’aria (1758-59), vv. 1-12
Oh beato terreno Del vago Eupili mio, Ecco al fin nel tuo seno M'accogli; e del natìo Aere mi circondi; E il petto avido inondi.
L’innesto del vaiolo
Giovanni Maria Bicetti de’ Buttinoni (1708-1778), Osservazioni sopra alcuni innesti di vaiuolo... con l'aggiunta di varie lettere di uomini illustri e un'ode dell'ab. Parini sullo stesso argomento, Milano, Galeazzi, 1765 → G. Parini, Al signor dottore G. Bicetti de’ Buttinoni che con felice successo eseguisce, e promulga l’innesto del vaiuolo
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
L’innesto del vaiolo (1765), vv. 1-18
O Genovese ove ne vai? qual raggio Brilla di speme su le audaci antenne? Non temi oimè le penne Non anco esperte degli ignoti venti? Qual ti affida coraggio All'intentato piano De lo immenso oceano? Senti le beffe dell'Europa, senti Come deride i tuoi sperati eventi.
19-36 Così l'eroe nocchier pensa, ed abbatte I paventati d'Ercole pilastri; Saluta novelli astri; E di nuove tempeste ode il ruggito. Veggon le stupefatte Genti dell'orbe ascoso Lo stranier portentoso. Ei riede; e mostra i suoi tesori ardito All'Europa, che il beffa ancor sul lito. Più dell'oro, BICETTI, all'Uomo è cara Questa del viver suo lunga speranza: Più dell'oro possanza Sopra gli animi umani ha la bellezza. E pur la turba ignara Or condanna il cimento, Or resiste all'evento Di chi 'l doppio tesor le reca; e sprezza I novi mondi al prisco mondo avvezza.
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
L’educazione, vv. 115-138 e 151-162
Altri le altere cune Lascia o Garzon che pregi. Le superbe fortune Del vile anco son fregi. Chi de la gloria è vago Sol di virtù sia pago. Onora o figlio il Nume Che dall'alto ti guarda: Ma solo a lui non fume Incenso e vittim'arda. È d'uopo Achille alzare Nell'alma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
La notte, v. 44
«L’opzione per la forma con –i prostetica, unica occorrenza nel poema […], è forse ascrivibile alla sopraggiunta intenzione di generare una sinalefe in un verso privo di incontri vocalici, ulteriormente frazionato dalla pausa interpuntiva forte» (M. Tizi).
Le Odi
1791, ed. a cura di Agostino Gambarelli (22 testi)
1795, ed. a cura di Giuseppe Bernardoni (25 testi: Per l’inclita Nice, A Silvia, Alla Musa)
1802, ed. a cura di Francesco Reina (Opere, vol. II; esclude Il piacere e la virtù, Piramo e Tisbe, Alceste)
1975, ed. a cura di Dante Isella (25 testi)
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
La vita rustica (1757-58), vv. 1-8
Perchè turbarmi l'anima, O d'oro e d'onor brame, Se del mio viver Atropo Presso è a troncar lo stame? E già per me si piega Sul remo il nocchier brun Colà donde si niega Che più ritorni alcun?
La salubrità dell’aria (1758-59), vv. 1-12
Oh beato terreno Del vago Eupili mio, Ecco al fin nel tuo seno M'accogli; e del natìo Aere mi circondi; E il petto avido inondi.
L’innesto del vaiolo
Giovanni Maria Bicetti de’ Buttinoni (1708-1778), Osservazioni sopra alcuni innesti di vaiuolo... con l'aggiunta di varie lettere di uomini illustri e un'ode dell'ab. Parini sullo stesso argomento, Milano, Galeazzi, 1765 → G. Parini, Al signor dottore G. Bicetti de’ Buttinoni che con felice successo eseguisce, e promulga l’innesto del vaiuolo
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
L’innesto del vaiolo (1765), vv. 1-18
O Genovese ove ne vai? qual raggio Brilla di speme su le audaci antenne? Non temi oimè le penne Non anco esperte degli ignoti venti? Qual ti affida coraggio All'intentato piano De lo immenso oceano? Senti le beffe dell'Europa, senti Come deride i tuoi sperati eventi.
19-36 Così l'eroe nocchier pensa, ed abbatte I paventati d'Ercole pilastri; Saluta novelli astri; E di nuove tempeste ode il ruggito. Veggon le stupefatte Genti dell'orbe ascoso Lo stranier portentoso. Ei riede; e mostra i suoi tesori ardito All'Europa, che il beffa ancor sul lito. Più dell'oro, BICETTI, all'Uomo è cara Questa del viver suo lunga speranza: Più dell'oro possanza Sopra gli animi umani ha la bellezza. E pur la turba ignara Or condanna il cimento, Or resiste all'evento Di chi 'l doppio tesor le reca; e sprezza I novi mondi al prisco mondo avvezza.
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
L’educazione, vv. 115-138 e 151-162
Altri le altere cune Lascia o Garzon che pregi. Le superbe fortune Del vile anco son fregi. Chi de la gloria è vago Sol di virtù sia pago. Onora o figlio il Nume Che dall'alto ti guarda: Ma solo a lui non fume Incenso e vittim'arda. È d'uopo Achille alzare Nell'alma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
1791, ed. a cura di Agostino Gambarelli (22 testi)
1795, ed. a cura di Giuseppe Bernardoni (25 testi: Per l’inclita Nice, A Silvia, Alla Musa)
1802, ed. a cura di Francesco Reina (Opere, vol. II; esclude Il piacere e la virtù, Piramo e Tisbe, Alceste)
1975, ed. a cura di Dante Isella (25 testi)
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
O d'oro e d'onor brame, Se del mio viver Atropo Presso è a troncar lo stame? E già per me si piega Sul remo il nocchier brun Colà donde si niega Che più ritorni alcun?
La salubrità dell’aria (1758-59), vv. 1-12
Oh beato terreno Del vago Eupili mio, Ecco al fin nel tuo seno M'accogli; e del natìo Aere mi circondi; E il petto avido inondi.
L’innesto del vaiolo
Giovanni Maria Bicetti de’ Buttinoni (1708-1778), Osservazioni sopra alcuni innesti di vaiuolo... con l'aggiunta di varie lettere di uomini illustri e un'ode dell'ab. Parini sullo stesso argomento, Milano, Galeazzi, 1765 → G. Parini, Al signor dottore G. Bicetti de’ Buttinoni che con felice successo eseguisce, e promulga l’innesto del vaiuolo
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
L’innesto del vaiolo (1765), vv. 1-18
O Genovese ove ne vai? qual raggio Brilla di speme su le audaci antenne? Non temi oimè le penne Non anco esperte degli ignoti venti? Qual ti affida coraggio All'intentato piano De lo immenso oceano? Senti le beffe dell'Europa, senti Come deride i tuoi sperati eventi.
19-36 Così l'eroe nocchier pensa, ed abbatte I paventati d'Ercole pilastri; Saluta novelli astri; E di nuove tempeste ode il ruggito. Veggon le stupefatte Genti dell'orbe ascoso Lo stranier portentoso. Ei riede; e mostra i suoi tesori ardito All'Europa, che il beffa ancor sul lito. Più dell'oro, BICETTI, all'Uomo è cara Questa del viver suo lunga speranza: Più dell'oro possanza Sopra gli animi umani ha la bellezza. E pur la turba ignara Or condanna il cimento, Or resiste all'evento Di chi 'l doppio tesor le reca; e sprezza I novi mondi al prisco mondo avvezza.
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
L’educazione, vv. 115-138 e 151-162
Altri le altere cune Lascia o Garzon che pregi. Le superbe fortune Del vile anco son fregi. Chi de la gloria è vago Sol di virtù sia pago. Onora o figlio il Nume Che dall'alto ti guarda: Ma solo a lui non fume Incenso e vittim'arda. È d'uopo Achille alzare Nell'alma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Presso è a troncar lo stame? E già per me si piega Sul remo il nocchier brun Colà donde si niega Che più ritorni alcun?
La salubrità dell’aria (1758-59), vv. 1-12
Oh beato terreno Del vago Eupili mio, Ecco al fin nel tuo seno M'accogli; e del natìo Aere mi circondi; E il petto avido inondi.
L’innesto del vaiolo
Giovanni Maria Bicetti de’ Buttinoni (1708-1778), Osservazioni sopra alcuni innesti di vaiuolo... con l'aggiunta di varie lettere di uomini illustri e un'ode dell'ab. Parini sullo stesso argomento, Milano, Galeazzi, 1765 → G. Parini, Al signor dottore G. Bicetti de’ Buttinoni che con felice successo eseguisce, e promulga l’innesto del vaiuolo
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
L’innesto del vaiolo (1765), vv. 1-18
O Genovese ove ne vai? qual raggio Brilla di speme su le audaci antenne? Non temi oimè le penne Non anco esperte degli ignoti venti? Qual ti affida coraggio All'intentato piano De lo immenso oceano? Senti le beffe dell'Europa, senti Come deride i tuoi sperati eventi.
19-36 Così l'eroe nocchier pensa, ed abbatte I paventati d'Ercole pilastri; Saluta novelli astri; E di nuove tempeste ode il ruggito. Veggon le stupefatte Genti dell'orbe ascoso Lo stranier portentoso. Ei riede; e mostra i suoi tesori ardito All'Europa, che il beffa ancor sul lito. Più dell'oro, BICETTI, all'Uomo è cara Questa del viver suo lunga speranza: Più dell'oro possanza Sopra gli animi umani ha la bellezza. E pur la turba ignara Or condanna il cimento, Or resiste all'evento Di chi 'l doppio tesor le reca; e sprezza I novi mondi al prisco mondo avvezza.
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
L’educazione, vv. 115-138 e 151-162
Altri le altere cune Lascia o Garzon che pregi. Le superbe fortune Del vile anco son fregi. Chi de la gloria è vago Sol di virtù sia pago. Onora o figlio il Nume Che dall'alto ti guarda: Ma solo a lui non fume Incenso e vittim'arda. È d'uopo Achille alzare Nell'alma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Sul remo il nocchier brun Colà donde si niega Che più ritorni alcun?
La salubrità dell’aria (1758-59), vv. 1-12
Oh beato terreno Del vago Eupili mio, Ecco al fin nel tuo seno M'accogli; e del natìo Aere mi circondi; E il petto avido inondi.
L’innesto del vaiolo
Giovanni Maria Bicetti de’ Buttinoni (1708-1778), Osservazioni sopra alcuni innesti di vaiuolo... con l'aggiunta di varie lettere di uomini illustri e un'ode dell'ab. Parini sullo stesso argomento, Milano, Galeazzi, 1765 → G. Parini, Al signor dottore G. Bicetti de’ Buttinoni che con felice successo eseguisce, e promulga l’innesto del vaiuolo
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
L’innesto del vaiolo (1765), vv. 1-18
O Genovese ove ne vai? qual raggio Brilla di speme su le audaci antenne? Non temi oimè le penne Non anco esperte degli ignoti venti? Qual ti affida coraggio All'intentato piano De lo immenso oceano? Senti le beffe dell'Europa, senti Come deride i tuoi sperati eventi.
19-36 Così l'eroe nocchier pensa, ed abbatte I paventati d'Ercole pilastri; Saluta novelli astri; E di nuove tempeste ode il ruggito. Veggon le stupefatte Genti dell'orbe ascoso Lo stranier portentoso. Ei riede; e mostra i suoi tesori ardito All'Europa, che il beffa ancor sul lito. Più dell'oro, BICETTI, all'Uomo è cara Questa del viver suo lunga speranza: Più dell'oro possanza Sopra gli animi umani ha la bellezza. E pur la turba ignara Or condanna il cimento, Or resiste all'evento Di chi 'l doppio tesor le reca; e sprezza I novi mondi al prisco mondo avvezza.
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
L’educazione, vv. 115-138 e 151-162
Altri le altere cune Lascia o Garzon che pregi. Le superbe fortune Del vile anco son fregi. Chi de la gloria è vago Sol di virtù sia pago. Onora o figlio il Nume Che dall'alto ti guarda: Ma solo a lui non fume Incenso e vittim'arda. È d'uopo Achille alzare Nell'alma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Che più ritorni alcun?
La salubrità dell’aria (1758-59), vv. 1-12
Oh beato terreno Del vago Eupili mio, Ecco al fin nel tuo seno M'accogli; e del natìo Aere mi circondi; E il petto avido inondi.
L’innesto del vaiolo
Giovanni Maria Bicetti de’ Buttinoni (1708-1778), Osservazioni sopra alcuni innesti di vaiuolo... con l'aggiunta di varie lettere di uomini illustri e un'ode dell'ab. Parini sullo stesso argomento, Milano, Galeazzi, 1765 → G. Parini, Al signor dottore G. Bicetti de’ Buttinoni che con felice successo eseguisce, e promulga l’innesto del vaiuolo
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
L’innesto del vaiolo (1765), vv. 1-18
O Genovese ove ne vai? qual raggio Brilla di speme su le audaci antenne? Non temi oimè le penne Non anco esperte degli ignoti venti? Qual ti affida coraggio All'intentato piano De lo immenso oceano? Senti le beffe dell'Europa, senti Come deride i tuoi sperati eventi.
19-36 Così l'eroe nocchier pensa, ed abbatte I paventati d'Ercole pilastri; Saluta novelli astri; E di nuove tempeste ode il ruggito. Veggon le stupefatte Genti dell'orbe ascoso Lo stranier portentoso. Ei riede; e mostra i suoi tesori ardito All'Europa, che il beffa ancor sul lito. Più dell'oro, BICETTI, all'Uomo è cara Questa del viver suo lunga speranza: Più dell'oro possanza Sopra gli animi umani ha la bellezza. E pur la turba ignara Or condanna il cimento, Or resiste all'evento Di chi 'l doppio tesor le reca; e sprezza I novi mondi al prisco mondo avvezza.
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
L’educazione, vv. 115-138 e 151-162
Altri le altere cune Lascia o Garzon che pregi. Le superbe fortune Del vile anco son fregi. Chi de la gloria è vago Sol di virtù sia pago. Onora o figlio il Nume Che dall'alto ti guarda: Ma solo a lui non fume Incenso e vittim'arda. È d'uopo Achille alzare Nell'alma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Del vago Eupili mio, Ecco al fin nel tuo seno M'accogli; e del natìo Aere mi circondi; E il petto avido inondi.
L’innesto del vaiolo
Giovanni Maria Bicetti de’ Buttinoni (1708-1778), Osservazioni sopra alcuni innesti di vaiuolo... con l'aggiunta di varie lettere di uomini illustri e un'ode dell'ab. Parini sullo stesso argomento, Milano, Galeazzi, 1765 → G. Parini, Al signor dottore G. Bicetti de’ Buttinoni che con felice successo eseguisce, e promulga l’innesto del vaiuolo
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
L’innesto del vaiolo (1765), vv. 1-18
O Genovese ove ne vai? qual raggio Brilla di speme su le audaci antenne? Non temi oimè le penne Non anco esperte degli ignoti venti? Qual ti affida coraggio All'intentato piano De lo immenso oceano? Senti le beffe dell'Europa, senti Come deride i tuoi sperati eventi.
19-36 Così l'eroe nocchier pensa, ed abbatte I paventati d'Ercole pilastri; Saluta novelli astri; E di nuove tempeste ode il ruggito. Veggon le stupefatte Genti dell'orbe ascoso Lo stranier portentoso. Ei riede; e mostra i suoi tesori ardito All'Europa, che il beffa ancor sul lito. Più dell'oro, BICETTI, all'Uomo è cara Questa del viver suo lunga speranza: Più dell'oro possanza Sopra gli animi umani ha la bellezza. E pur la turba ignara Or condanna il cimento, Or resiste all'evento Di chi 'l doppio tesor le reca; e sprezza I novi mondi al prisco mondo avvezza.
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
L’educazione, vv. 115-138 e 151-162
Altri le altere cune Lascia o Garzon che pregi. Le superbe fortune Del vile anco son fregi. Chi de la gloria è vago Sol di virtù sia pago. Onora o figlio il Nume Che dall'alto ti guarda: Ma solo a lui non fume Incenso e vittim'arda. È d'uopo Achille alzare Nell'alma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
M'accogli; e del natìo Aere mi circondi; E il petto avido inondi.
L’innesto del vaiolo
Giovanni Maria Bicetti de’ Buttinoni (1708-1778), Osservazioni sopra alcuni innesti di vaiuolo... con l'aggiunta di varie lettere di uomini illustri e un'ode dell'ab. Parini sullo stesso argomento, Milano, Galeazzi, 1765 → G. Parini, Al signor dottore G. Bicetti de’ Buttinoni che con felice successo eseguisce, e promulga l’innesto del vaiuolo
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
L’innesto del vaiolo (1765), vv. 1-18
O Genovese ove ne vai? qual raggio Brilla di speme su le audaci antenne? Non temi oimè le penne Non anco esperte degli ignoti venti? Qual ti affida coraggio All'intentato piano De lo immenso oceano? Senti le beffe dell'Europa, senti Come deride i tuoi sperati eventi.
19-36 Così l'eroe nocchier pensa, ed abbatte I paventati d'Ercole pilastri; Saluta novelli astri; E di nuove tempeste ode il ruggito. Veggon le stupefatte Genti dell'orbe ascoso Lo stranier portentoso. Ei riede; e mostra i suoi tesori ardito All'Europa, che il beffa ancor sul lito. Più dell'oro, BICETTI, all'Uomo è cara Questa del viver suo lunga speranza: Più dell'oro possanza Sopra gli animi umani ha la bellezza. E pur la turba ignara Or condanna il cimento, Or resiste all'evento Di chi 'l doppio tesor le reca; e sprezza I novi mondi al prisco mondo avvezza.
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
L’educazione, vv. 115-138 e 151-162
Altri le altere cune Lascia o Garzon che pregi. Le superbe fortune Del vile anco son fregi. Chi de la gloria è vago Sol di virtù sia pago. Onora o figlio il Nume Che dall'alto ti guarda: Ma solo a lui non fume Incenso e vittim'arda. È d'uopo Achille alzare Nell'alma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
E il petto avido inondi.
L’innesto del vaiolo
Giovanni Maria Bicetti de’ Buttinoni (1708-1778), Osservazioni sopra alcuni innesti di vaiuolo... con l'aggiunta di varie lettere di uomini illustri e un'ode dell'ab. Parini sullo stesso argomento, Milano, Galeazzi, 1765 → G. Parini, Al signor dottore G. Bicetti de’ Buttinoni che con felice successo eseguisce, e promulga l’innesto del vaiuolo
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
L’innesto del vaiolo (1765), vv. 1-18
O Genovese ove ne vai? qual raggio Brilla di speme su le audaci antenne? Non temi oimè le penne Non anco esperte degli ignoti venti? Qual ti affida coraggio All'intentato piano De lo immenso oceano? Senti le beffe dell'Europa, senti Come deride i tuoi sperati eventi.
19-36 Così l'eroe nocchier pensa, ed abbatte I paventati d'Ercole pilastri; Saluta novelli astri; E di nuove tempeste ode il ruggito. Veggon le stupefatte Genti dell'orbe ascoso Lo stranier portentoso. Ei riede; e mostra i suoi tesori ardito All'Europa, che il beffa ancor sul lito. Più dell'oro, BICETTI, all'Uomo è cara Questa del viver suo lunga speranza: Più dell'oro possanza Sopra gli animi umani ha la bellezza. E pur la turba ignara Or condanna il cimento, Or resiste all'evento Di chi 'l doppio tesor le reca; e sprezza I novi mondi al prisco mondo avvezza.
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
L’educazione, vv. 115-138 e 151-162
Altri le altere cune Lascia o Garzon che pregi. Le superbe fortune Del vile anco son fregi. Chi de la gloria è vago Sol di virtù sia pago. Onora o figlio il Nume Che dall'alto ti guarda: Ma solo a lui non fume Incenso e vittim'arda. È d'uopo Achille alzare Nell'alma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
→ G. Parini, Al signor dottore G. Bicetti de’ Buttinoni che con felice successo eseguisce, e promulga l’innesto del vaiuolo
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
L’innesto del vaiolo (1765), vv. 1-18
O Genovese ove ne vai? qual raggio Brilla di speme su le audaci antenne? Non temi oimè le penne Non anco esperte degli ignoti venti? Qual ti affida coraggio All'intentato piano De lo immenso oceano? Senti le beffe dell'Europa, senti Come deride i tuoi sperati eventi.
19-36 Così l'eroe nocchier pensa, ed abbatte I paventati d'Ercole pilastri; Saluta novelli astri; E di nuove tempeste ode il ruggito. Veggon le stupefatte Genti dell'orbe ascoso Lo stranier portentoso. Ei riede; e mostra i suoi tesori ardito All'Europa, che il beffa ancor sul lito. Più dell'oro, BICETTI, all'Uomo è cara Questa del viver suo lunga speranza: Più dell'oro possanza Sopra gli animi umani ha la bellezza. E pur la turba ignara Or condanna il cimento, Or resiste all'evento Di chi 'l doppio tesor le reca; e sprezza I novi mondi al prisco mondo avvezza.
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
L’educazione, vv. 115-138 e 151-162
Altri le altere cune Lascia o Garzon che pregi. Le superbe fortune Del vile anco son fregi. Chi de la gloria è vago Sol di virtù sia pago. Onora o figlio il Nume Che dall'alto ti guarda: Ma solo a lui non fume Incenso e vittim'arda. È d'uopo Achille alzare Nell'alma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Brilla di speme su le audaci antenne? Non temi oimè le penne Non anco esperte degli ignoti venti? Qual ti affida coraggio All'intentato piano De lo immenso oceano? Senti le beffe dell'Europa, senti Come deride i tuoi sperati eventi.
19-36 Così l'eroe nocchier pensa, ed abbatte I paventati d'Ercole pilastri; Saluta novelli astri; E di nuove tempeste ode il ruggito. Veggon le stupefatte Genti dell'orbe ascoso Lo stranier portentoso. Ei riede; e mostra i suoi tesori ardito All'Europa, che il beffa ancor sul lito. Più dell'oro, BICETTI, all'Uomo è cara Questa del viver suo lunga speranza: Più dell'oro possanza Sopra gli animi umani ha la bellezza. E pur la turba ignara Or condanna il cimento, Or resiste all'evento Di chi 'l doppio tesor le reca; e sprezza I novi mondi al prisco mondo avvezza.
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
L’educazione, vv. 115-138 e 151-162
Altri le altere cune Lascia o Garzon che pregi. Le superbe fortune Del vile anco son fregi. Chi de la gloria è vago Sol di virtù sia pago. Onora o figlio il Nume Che dall'alto ti guarda: Ma solo a lui non fume Incenso e vittim'arda. È d'uopo Achille alzare Nell'alma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Non anco esperte degli ignoti venti? Qual ti affida coraggio All'intentato piano De lo immenso oceano? Senti le beffe dell'Europa, senti Come deride i tuoi sperati eventi.
19-36 Così l'eroe nocchier pensa, ed abbatte I paventati d'Ercole pilastri; Saluta novelli astri; E di nuove tempeste ode il ruggito. Veggon le stupefatte Genti dell'orbe ascoso Lo stranier portentoso. Ei riede; e mostra i suoi tesori ardito All'Europa, che il beffa ancor sul lito. Più dell'oro, BICETTI, all'Uomo è cara Questa del viver suo lunga speranza: Più dell'oro possanza Sopra gli animi umani ha la bellezza. E pur la turba ignara Or condanna il cimento, Or resiste all'evento Di chi 'l doppio tesor le reca; e sprezza I novi mondi al prisco mondo avvezza.
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
L’educazione, vv. 115-138 e 151-162
Altri le altere cune Lascia o Garzon che pregi. Le superbe fortune Del vile anco son fregi. Chi de la gloria è vago Sol di virtù sia pago. Onora o figlio il Nume Che dall'alto ti guarda: Ma solo a lui non fume Incenso e vittim'arda. È d'uopo Achille alzare Nell'alma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
All'intentato piano De lo immenso oceano? Senti le beffe dell'Europa, senti Come deride i tuoi sperati eventi.
19-36 Così l'eroe nocchier pensa, ed abbatte I paventati d'Ercole pilastri; Saluta novelli astri; E di nuove tempeste ode il ruggito. Veggon le stupefatte Genti dell'orbe ascoso Lo stranier portentoso. Ei riede; e mostra i suoi tesori ardito All'Europa, che il beffa ancor sul lito. Più dell'oro, BICETTI, all'Uomo è cara Questa del viver suo lunga speranza: Più dell'oro possanza Sopra gli animi umani ha la bellezza. E pur la turba ignara Or condanna il cimento, Or resiste all'evento Di chi 'l doppio tesor le reca; e sprezza I novi mondi al prisco mondo avvezza.
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
L’educazione, vv. 115-138 e 151-162
Altri le altere cune Lascia o Garzon che pregi. Le superbe fortune Del vile anco son fregi. Chi de la gloria è vago Sol di virtù sia pago. Onora o figlio il Nume Che dall'alto ti guarda: Ma solo a lui non fume Incenso e vittim'arda. È d'uopo Achille alzare Nell'alma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Senti le beffe dell'Europa, senti Come deride i tuoi sperati eventi.
19-36 Così l'eroe nocchier pensa, ed abbatte I paventati d'Ercole pilastri; Saluta novelli astri; E di nuove tempeste ode il ruggito. Veggon le stupefatte Genti dell'orbe ascoso Lo stranier portentoso. Ei riede; e mostra i suoi tesori ardito All'Europa, che il beffa ancor sul lito. Più dell'oro, BICETTI, all'Uomo è cara Questa del viver suo lunga speranza: Più dell'oro possanza Sopra gli animi umani ha la bellezza. E pur la turba ignara Or condanna il cimento, Or resiste all'evento Di chi 'l doppio tesor le reca; e sprezza I novi mondi al prisco mondo avvezza.
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
L’educazione, vv. 115-138 e 151-162
Altri le altere cune Lascia o Garzon che pregi. Le superbe fortune Del vile anco son fregi. Chi de la gloria è vago Sol di virtù sia pago. Onora o figlio il Nume Che dall'alto ti guarda: Ma solo a lui non fume Incenso e vittim'arda. È d'uopo Achille alzare Nell'alma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
19-36 Così l'eroe nocchier pensa, ed abbatte I paventati d'Ercole pilastri; Saluta novelli astri; E di nuove tempeste ode il ruggito. Veggon le stupefatte Genti dell'orbe ascoso Lo stranier portentoso. Ei riede; e mostra i suoi tesori ardito All'Europa, che il beffa ancor sul lito. Più dell'oro, BICETTI, all'Uomo è cara Questa del viver suo lunga speranza: Più dell'oro possanza Sopra gli animi umani ha la bellezza. E pur la turba ignara Or condanna il cimento, Or resiste all'evento Di chi 'l doppio tesor le reca; e sprezza I novi mondi al prisco mondo avvezza.
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
L’educazione, vv. 115-138 e 151-162
Altri le altere cune Lascia o Garzon che pregi. Le superbe fortune Del vile anco son fregi. Chi de la gloria è vago Sol di virtù sia pago. Onora o figlio il Nume Che dall'alto ti guarda: Ma solo a lui non fume Incenso e vittim'arda. È d'uopo Achille alzare Nell'alma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
I paventati d'Ercole pilastri; Saluta novelli astri; E di nuove tempeste ode il ruggito. Veggon le stupefatte Genti dell'orbe ascoso Lo stranier portentoso. Ei riede; e mostra i suoi tesori ardito All'Europa, che il beffa ancor sul lito. Più dell'oro, BICETTI, all'Uomo è cara Questa del viver suo lunga speranza: Più dell'oro possanza Sopra gli animi umani ha la bellezza. E pur la turba ignara Or condanna il cimento, Or resiste all'evento Di chi 'l doppio tesor le reca; e sprezza I novi mondi al prisco mondo avvezza.
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
L’educazione, vv. 115-138 e 151-162
Altri le altere cune Lascia o Garzon che pregi. Le superbe fortune Del vile anco son fregi. Chi de la gloria è vago Sol di virtù sia pago. Onora o figlio il Nume Che dall'alto ti guarda: Ma solo a lui non fume Incenso e vittim'arda. È d'uopo Achille alzare Nell'alma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
E di nuove tempeste ode il ruggito. Veggon le stupefatte Genti dell'orbe ascoso Lo stranier portentoso. Ei riede; e mostra i suoi tesori ardito All'Europa, che il beffa ancor sul lito. Più dell'oro, BICETTI, all'Uomo è cara Questa del viver suo lunga speranza: Più dell'oro possanza Sopra gli animi umani ha la bellezza. E pur la turba ignara Or condanna il cimento, Or resiste all'evento Di chi 'l doppio tesor le reca; e sprezza I novi mondi al prisco mondo avvezza.
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
L’educazione, vv. 115-138 e 151-162
Altri le altere cune Lascia o Garzon che pregi. Le superbe fortune Del vile anco son fregi. Chi de la gloria è vago Sol di virtù sia pago. Onora o figlio il Nume Che dall'alto ti guarda: Ma solo a lui non fume Incenso e vittim'arda. È d'uopo Achille alzare Nell'alma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Genti dell'orbe ascoso Lo stranier portentoso. Ei riede; e mostra i suoi tesori ardito All'Europa, che il beffa ancor sul lito. Più dell'oro, BICETTI, all'Uomo è cara Questa del viver suo lunga speranza: Più dell'oro possanza Sopra gli animi umani ha la bellezza. E pur la turba ignara Or condanna il cimento, Or resiste all'evento Di chi 'l doppio tesor le reca; e sprezza I novi mondi al prisco mondo avvezza.
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
L’educazione, vv. 115-138 e 151-162
Altri le altere cune Lascia o Garzon che pregi. Le superbe fortune Del vile anco son fregi. Chi de la gloria è vago Sol di virtù sia pago. Onora o figlio il Nume Che dall'alto ti guarda: Ma solo a lui non fume Incenso e vittim'arda. È d'uopo Achille alzare Nell'alma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Ei riede; e mostra i suoi tesori ardito All'Europa, che il beffa ancor sul lito. Più dell'oro, BICETTI, all'Uomo è cara Questa del viver suo lunga speranza: Più dell'oro possanza Sopra gli animi umani ha la bellezza. E pur la turba ignara Or condanna il cimento, Or resiste all'evento Di chi 'l doppio tesor le reca; e sprezza I novi mondi al prisco mondo avvezza.
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
L’educazione, vv. 115-138 e 151-162
Altri le altere cune Lascia o Garzon che pregi. Le superbe fortune Del vile anco son fregi. Chi de la gloria è vago Sol di virtù sia pago. Onora o figlio il Nume Che dall'alto ti guarda: Ma solo a lui non fume Incenso e vittim'arda. È d'uopo Achille alzare Nell'alma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Più dell'oro, BICETTI, all'Uomo è cara Questa del viver suo lunga speranza: Più dell'oro possanza Sopra gli animi umani ha la bellezza. E pur la turba ignara Or condanna il cimento, Or resiste all'evento Di chi 'l doppio tesor le reca; e sprezza I novi mondi al prisco mondo avvezza.
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
L’educazione, vv. 115-138 e 151-162
Altri le altere cune Lascia o Garzon che pregi. Le superbe fortune Del vile anco son fregi. Chi de la gloria è vago Sol di virtù sia pago. Onora o figlio il Nume Che dall'alto ti guarda: Ma solo a lui non fume Incenso e vittim'arda. È d'uopo Achille alzare Nell'alma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Più dell'oro possanza Sopra gli animi umani ha la bellezza. E pur la turba ignara Or condanna il cimento, Or resiste all'evento Di chi 'l doppio tesor le reca; e sprezza I novi mondi al prisco mondo avvezza.
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
L’educazione, vv. 115-138 e 151-162
Altri le altere cune Lascia o Garzon che pregi. Le superbe fortune Del vile anco son fregi. Chi de la gloria è vago Sol di virtù sia pago. Onora o figlio il Nume Che dall'alto ti guarda: Ma solo a lui non fume Incenso e vittim'arda. È d'uopo Achille alzare Nell'alma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
E pur la turba ignara Or condanna il cimento, Or resiste all'evento Di chi 'l doppio tesor le reca; e sprezza I novi mondi al prisco mondo avvezza.
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
L’educazione, vv. 115-138 e 151-162
Altri le altere cune Lascia o Garzon che pregi. Le superbe fortune Del vile anco son fregi. Chi de la gloria è vago Sol di virtù sia pago. Onora o figlio il Nume Che dall'alto ti guarda: Ma solo a lui non fume Incenso e vittim'arda. È d'uopo Achille alzare Nell'alma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Or resiste all'evento Di chi 'l doppio tesor le reca; e sprezza I novi mondi al prisco mondo avvezza.
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
L’educazione, vv. 115-138 e 151-162
Altri le altere cune Lascia o Garzon che pregi. Le superbe fortune Del vile anco son fregi. Chi de la gloria è vago Sol di virtù sia pago. Onora o figlio il Nume Che dall'alto ti guarda: Ma solo a lui non fume Incenso e vittim'arda. È d'uopo Achille alzare Nell'alma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
I novi mondi al prisco mondo avvezza.
Pietro Verri, Sull’innesto del vaiuolo, «Il Caffè» 1765
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
L’educazione, vv. 115-138 e 151-162
Altri le altere cune Lascia o Garzon che pregi. Le superbe fortune Del vile anco son fregi. Chi de la gloria è vago Sol di virtù sia pago. Onora o figlio il Nume Che dall'alto ti guarda: Ma solo a lui non fume Incenso e vittim'arda. È d'uopo Achille alzare Nell'alma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
Lascia o Garzon che pregi. Le superbe fortune Del vile anco son fregi. Chi de la gloria è vago Sol di virtù sia pago. Onora o figlio il Nume Che dall'alto ti guarda: Ma solo a lui non fume Incenso e vittim'arda. È d'uopo Achille alzare Nell'alma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Del vile anco son fregi. Chi de la gloria è vago Sol di virtù sia pago. Onora o figlio il Nume Che dall'alto ti guarda: Ma solo a lui non fume Incenso e vittim'arda. È d'uopo Achille alzare Nell'alma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Sol di virtù sia pago. Onora o figlio il Nume Che dall'alto ti guarda: Ma solo a lui non fume Incenso e vittim'arda. È d'uopo Achille alzare Nell'alma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Onora o figlio il Nume Che dall'alto ti guarda: Ma solo a lui non fume Incenso e vittim'arda. È d'uopo Achille alzare Nell'alma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Ma solo a lui non fume Incenso e vittim'arda. È d'uopo Achille alzare Nell'alma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
È d'uopo Achille alzare Nell'alma il primo altare. Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Giustizia entro al tuo seno Sieda e sul labbro il vero; E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
E le tue mani sieno Qual albero straniero, Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Onde soavi unguenti Stillin sopra le genti.
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Canticum Canticorum 5,5
Surrexi, ut aperirem dilecto meo; manus meae stillaverunt myrrham, et digiti mei pleni myrrha probatissima super ansam pessuli. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello.
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Il bisogno
I edizione (anonima): Canzone dedicata all’illustrissimo sig. don Pierantonio Wirz de Rudenz del Senato dell’ill.ma e potentissima Repubblica di Unterwalden, commissario reggente del contado di Locarno e sue pertinenze, Milano, Galeazzi, 1766
II edizione: Odi 1791 (con titolo Il Bisogno)
Struttura: I parte (1-36), i delitti e i crimini
II parte (37-72), le pene atroci e inique conclusione (73-84) -
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Il bisogno, vv. 1-36
Oh tiranno Signore De' miseri mortali, Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Oh male oh persuasore Orribile di mali Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Bisogno, e che non spezza Tua indomita fierezza! Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Di valli adamantini Cinge i cor la virtude; Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Ma tu gli urti e rovini; E tutto a te si schiude. Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Entri, e i nobili affetti O strozzi od assoggetti. Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Oltre corri, e fremente Strappi Ragion dal soglio; E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
E il regno de la mente Occupi pien d'orgoglio, E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
E ti poni a sedere Tiranno del pensiere.
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Hor. Carmina III, XXIV 5-8 e 42-44
Si figit adamantinos summis uerticibus dira Necessitas clauos, non animum metu, non mortis laqueis expedies caput. Magnum pauperies obprobrium iubet quiduis et facere et pati uirtutisque uiam deserit arduae.
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Il bisogno, vv. 37-72
Ma quali odo lamenti E stridor di catene; E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
E ingegnosi stromenti Veggo d'atroci pene Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Là per quegli antri oscuri Cinti d'orridi muri? Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Colà Temide armata Tien giudizj funesti Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Su la turba affannata, Che tu persuadesti A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
A romper gli altrui dritti O padre di delitti. Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Meco vieni al cospetto Del nume che vi siede. No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
No non avrà dispetto Che tu v'innoltri il piede. Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Da lui con lieto volto Anco il Bisogno è accolto.
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Il bisogno, vv. 73-84
Tu cui sì spesso vinse Dolor de gl'infelici, Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Che il Bisogno sospinse A por le rapitrici Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Mani nell'altrui parte O per forza o per arte:
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Libro del Siracide, cap. IV [1] Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero, non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi. [2] Non rattristare un affamato, non esasperare un uomo già in difficoltà. [3] Non turbare un cuore esasperato, non negare un dono al bisognoso. [4] Non respingere la supplica di un povero, non distogliere lo sguardo dall'indigente. [5] Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo, non offrire a nessuno l'occasione di maledirti, [6] perché se uno ti maledice con amarezza, il suo creatore esaudirà la sua preghiera. [7] Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo. Porgi l'orecchio al povero e rispondigli al saluto con affabilità. [9] Strappa l'oppresso dal potere dell'oppressore, non esser pusillanime quando giudichi.
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
C. Beccaria, Dei delitti e delle pene
(41) È meglio prevenire i delitti che punirgli. Questo è il fine principale d'ogni buona legislazione, che è l'arte di condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo d'infelicità possibile, per parlare secondo tutt'i calcoli dei beni e dei mali della vita. Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto. […] Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. Fate che le leggi favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini stessi. […] (42) Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. […] (45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
(45) Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand'uomo, che illumina l'umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali sieno le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi
Le Odi ed. Isella
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
G. Parini, La recita de’ versi, vv. 1-12
Qual fra le mense loco Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
L’innesto del vaiuolo (1765)
La salubrità dell’aria (1759)
La vita rustica (1758)
Il bisogno (1766)
Il brindisi (1777)
La impostura (1761)
Il piacere e la virtù (1771)
La primavera (1765)
La educazione (1764)
La laurea (1777)
La musica (1762)
La recita de’ versi (1783-84)
Versi otterranno, che da nobil vena Scendano; e all'acre foco Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Dell'arte imponga la sottil Camena, Meditante lavoro, Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Che sia di nostra età pregio e decoro?
La recita de’ versi, vv. 46-54
Orecchio ama placato La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
La musa e mente arguta e cor gentile. Ed io, se a me fia dato Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Ordir mai su la cetra opra non vile, Non toccherò già corda Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Ove la turba di sue ciance assorda. Hor., Ep., II 2, 79-80: «Tu me inter strepitus nocturnos atque diurnos / vis canere et contracta sequi vestigua vatum?» Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Ben de' numeri miei Giudice chiedo il buon cantor, che destro Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Volse a pungere i rei
La caduta: struttura
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Parini, La caduta Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
6 quartine narrative (vv. 1-24) riguardanti un incidente occorso al poeta e le reazioni dei presenti (il riso, la commozione, il soccorso);
13 quartine (vv. 25-76) contenenti il discorso di un anonimo e indefinito soccorritore, a sua volta diviso in due parti: la modesta condizione del poeta (nonostante le lodi alla sua arte); l’esortazione o invito a una condotta più scaltra e smaliziata che gli permetta il successo;
6 quartine (vv. 77-100) con la risposta di Parini, che rivendica la propria moralità, ossia il primato della coscienza;
1 quartina conclusiva (vv. 101-104), di tipo nuovamente narrativo, che indugia sullo stato d’animo dell’autore.
Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa; E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Me spinto ne la iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Tra il fango e tra l’obliqua Furia de’ carri la città gir vede; E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
E per avverso sasso Mal fra gli altri sorgente, O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
O per lubrico passo Lungo il cammino stramazzar sovente. Ride il fanciullo; e gli occhi Tosto gonfia commosso, Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
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Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Che il cubito o i ginocchi Me scorge o il mento dal cader percosso.
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Ed ecco il debil fianco Per anni e per natura Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Vai nel suolo pur anco Fra il danno strascinando e la paura: Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Nè il sì lodato verso Vile cocchio ti appresta, Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Che te salvi a traverso De’ trivii dal furor de la tempesta. Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Sdegnosa anima! prendi Prendi novo consiglio, Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Se il già canuto intendi Capo sottrarre a più fatal periglio. Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Congiunti tu non hai, Non amiche, non ville, Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Che te far possan mai Nell’urna del favor preporre a mille.
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
G. Parini, Lettera a Giuseppe Bernardoni 11 novembre 1795
Circa il verso: «Noia le facezie», ecc., Ella potrà dire che nelle altre edizioni, dopo la prima di Milano, vi si sono fatti de’ cangiamenti, per non essersi dagli editori avvertito alla pronunciazione toscana e agli esempii de’ buoni scrittori di versi nell’uso delle parole che hanno dittongo o trittongo, come accade della parola «noia», ecc. Ella potrà ciò dire e più brevemente e meglio che ora non ho fatto io; del che Le lascio ogni libertà. Giacomo da Lentini, XIX 9: «Pe¦rò ¦ gran ¦ noia ¦ mi ¦ fan¦no ¦ men¦zo¦nie¦ri»; IV 21: «O¦gni ¦ gioia ¦ ch'è ¦ più ¦ ra¦ra».
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
E fingendo nova esca Al pubblico guadagno, L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
L’onda sommovi, e pesca Insidioso nel turbato stagno. Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Ma chi giammai potrìa Guarir tua mente illusa, O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
O trar per altra via Te ostinato amator de la tua Musa? Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Lasciala: o, pari a vile Mima, il pudore insulti, Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
Dilettando scurrile I bassi genj dietro al fasto occulti.
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
La caduta, vv. 81-84
v. 81: Chi sei tu?
Ger. lib. X,9: Solimano a Ismeno Gv 1,19: i sacerdoti e i leviti a Giovanni Battista [Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
[Lc 4,34 e Mc 1,14 io so chi tu sei: i demoni a Cristo] Rm 14,4 «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare». vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
vv. 82-84: che sostenti il corpo e prostri l’animo
Lc 9,25 e Mc 8,36: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la proprio anima? Mt 4,9: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai; Lc 4,7: Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo. v. 84: Umano sei, non giusto.
Ter. Heaut. v. 77: Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Matteo cap. IV [1] Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2] E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3] Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane". [4] Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". [5] Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6] e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede [ne forte offendas ad lapidem pedem tuum; cfr. La caduta vv. 5-12: infermo il piede... e per avverso sasso]”. [7] Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo". [8] Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9] "Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai". [cfr. La caduta v. 42 e ss.: prendi novo consiglio… per l’erte scale arrampica…] [10] Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Buon cittadino, al segno Dove natura e i primi Casi ordinàr, lo ingegno Guida così, che lui la patria estimi. Quando poi d’età carco Il bisogno lo stringe, Chiede opportuno e parco Con fronte liberal, che l’alma pinge. E se i duri mortali A lui voltano il tergo, Ei si fa, contro ai mali, Della costanza sua scudo ed usbergo.
Alla Musa Te il mercadante, che con ciglio asciutto Fugge i figli e la moglie ovunque il chiama Dura avarizia, nel remoto flutto, Musa, non ama. Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode Fulgida cura; onde salir più agogna; E la molto fra il dì temuta frode Torbido sogna. Nè giovane, che pari a tauro irrompa Ove a la cieca più Venere piace: Nè donna, che d’amanti osi gran pompa Spiegar procace. Sai tu, vergine dea, chi la parola
v. 84: Umano sei, non giusto.