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LA CERAMICA DEL XVII° SECOLO
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- LE MAESTRANZE LOCALI
- LA PRESENZA DI ARGILLE NEL TERRITORIO COLLESANESE
- LA CRISI DELLE OFFICINE PALERMITANE
- FAMIGLIE DI CERAMISTI COLLESANESI
- LA CERAMICA POPOLARE
- IL NOVECENTO
LA CERAMICA DEL XVII° SECOLO Collesano, Comune del Parco delle Madonie, in provincia di Palermo, a partire dalla seconda metà XVII° sec. presenta una interessante produzione nel contesto delle fabbriche ceramiche siciliane. Nel XIX° sec. si avrà la migliore produzione cosiddetta "popolare" a detta di critici, studiosi e storici, presenterà una particolarità nelle forme, nello stile e nel singolare cromatismo, pur non divenendo mai imperante nella grande produzione ceramica. La produzione di oggetti vascolari e mattoni in terracotta, "stagnati" e decorati, continuarono ad essere presenti fino al 1960. Nel XVII° sec. Collesano, come accade in altri centri della Sicilia, si adegua all'influenza della ceramica prodotta dalle officine palermitane, infatti, la produzione è strettamente legata alle sorti della produzione vascolare, delle forme, dei colori, dei motivi decorativi, degli artisti palermitani. Il "legame" tra la produzione vascolare di Collesano e di Palermo, si nota nell’accostamento dei pezzi ceramici prodotti nella seconda metà del seicento. A causa dell’involuzione e della decadenza delle officine palermitane, si trasferirono a Collesano alcune maestranze "venute da fuori" Giovanni Saldo originario di Polizzi Generosa e Filippo Rizzuto di Palermo. Essi firmarono gran parte della produzione collesanese del XVII° sec. e diedero vita ad una discreta produzione di manufatti e segneranno le tappe della produzione e della fioritura successiva. La produzione ceramica collesanese è composta da: Albarelli, bombole, bottiglie, burnìe, aromatari, ed altri oggetti per farmacie, tutti decorati secondo uno stile chiamato "tardo rinascimentale" e conservati oggi, nei musei nazionali, regionali e soprattutto nelle collezioni private. Dal 1660 al 1687 come confermano le firme, le date e il luogo impressi nelle varie maioliche, avviene la migliore produzione di queste maestranze. Analizzando il contesto della produzione ceramica collesanese e le caratteristiche dei manufatti prodotti, ci sembra che quattro importanti fattori, a nostro parere, contribuirono allo sviluppo produttivo dell’arte ceramica “stagnata”: 1) i due maestri "maiolicari" operanti a Collesano: Giovanni Saldo e Filippo Rizzato; 2) la presenza di altre maestranze locali; 3) le buone argille presenti nel territorio (c.da Bovitello); 4) la diminuzione della produzione proveniente dalle officine palermitane.
Non possiamo trascurare la presenza e la produzione dei ceramisti locali che, probabilmente continuarono questa attività avviata o sviluppata durante il periodo arabo- normanno nelle Madonie (non dimentichiamo la produzione e la presenza di officine ceramiche nel XV° secolo a Polizzi Generosa (che diede i natali a Giovanni Saldo) paese vicino a Collesano. Si trasferì inizialmente a Palermo e successivamente lavorò per qualche decennio a Collesano. Nell'antico quartiere "Bovarino" (Stazzone) sito in prossimità del castello, operavano numerosi artigiani locali, esperti conoscitori del "fuoco" (forni per la cottura della terracotta), della lavorazione dell'argilla, dell'uso del tornio, delle cristalline (smaltatura) e delle decorazioni, aspetti questi che indubbiamente sostennero queste attività a Collesano. Gli artigiani locali con questo solido bagaglio di esperienze, rappresentarono sicuramente un valido e solido supporto alle maestranze "venute da fuori". A mio avviso, se non ci fossero state le competenze organizzative e lavorative, l’acquisizione di uno stile ceramico della nostra tradizione da parte di queste maestranze collesanesi, non si sarebbe potuto sviluppare la ceramica a Collesano, demoralizzando chiunque fosse venuto da altri centri produttori.
Altro elemento fondamentale per lo sviluppo e la produzione delle terrecotte collesanesi del XVII° sec. sono state le ricche cave di argilla, presenti ancor oggi in contrada "Bovitello" a circa 10 Km. dal centro abitato, verso nord. Questo luogo ricco di terre argillose avrà sicuramente confortato ed attirato sia le maestranze locali che quelli provenienti da fuori. Argille di qualità la cui caratteristica plastica e di lavorabilità, si prestava bene per la realizzazione al tornio di oggetti vascolari creativi, funzionali e decorativi. Nel 1543, i conti D'Aragona di Collesano donarono al Comune (Università) i loro feudi di contrada "Bovitello" , ancora oggi risultano beni comunali. Ad avvalorare l'utilizzo di queste buone argille basti pensare ai numerosi forni (per la cottura della terracotta) collocati nel centro abitato e sparsi nel territorio, di proprietà di maestranze private, di vari Conventi e soprattutto di proprietà delle Confraternite durante tutto il 1600, così, come risulta da diversi documenti e atti notarili ritrovati. LA CRISI DELLE OFFICINE PALERMITANE Palermo, durante il XVI° sec. ebbe un fiorente periodo nel settore ceramico grazie alle continue importazioni delle prime maioliche provenienti soprattutto dalla toscana e dall’Umbria (Faenza, Cafaggiolo, Montelupo, Casteldurante) che giunsero in Sicilia, attraverso le velieri genovesi (i genovesi, avevano addirittura costituito un Emporio nel porto di Palermo). Queste maioliche influenzarono le officine palermitane che si rifanno sempre più al gusto e alla cultura rinascimentale italiana. Fino alla metà del XVII° la produzione palermitana di vasellame e di maioliche, raggiunse il suo massimo sviluppo e splendore, rispetto alla produzione isolana delle nascenti officine di Sciacca, di Trapani, di Caltagirone e di Burgio che abbandonarono il gusto catalano e lo stile spagnuolo "di mursia". Verso la metà del ‘600, a causa della riduzione della produzione delle officine palermitane e fu così che Collesano, entrò nello scenario e nel circuito dei centri produttori isolani. Collesano prenderà posizione nella produzione di vasellame particolare e per usi correnti ed esporterà nei paesi vicini e nella stessa città di Palermo. Le maestranze collesanesi forgiavano oggetti con un nuovo stile estetico e decorativo. Bene quindi si collocarono le presenze dei due maiolicari esperti: Giovanni Saldo e Filippo Rizzuto. Considerato il singolare ruolo di Collesano: presenza di esperto artigianato locale, ottime argille, interessante tessuto produttivo i due maestri lasciarono belle testimonianze di maioliche collesanesi. Tra il XVI° e XVII° sec. le officine rispondevano soprattutto alla domanda di nuove bornìe, albarelli, vasi in genere richiesti dagli aromatari e dagli speziali che "avevano bisogno sempre di nuove bornìe delle più svariate forme e dimensioni". Queste nuove richieste, legate al mercato produttivo, indussero le maestranze a mettersi in concorrenza con le maioliche importate, al punto da indirizzare la produzione non solo da un punto di vista quantitativo ma, soprattutto, qualitativo. Pur imitando forme, dimensioni e decorazioni delle ceramiche faentine, le officine palermitane inizialmente e, quelle Collesanesi poi, riuscirono a mantenere uno stretto "legame" stilistico e volumetrico alla terra d'origine. Infatti, rimasero del tutto estranee ed autonome alcune forme e persino alcune decorazioni tipiche della cultura siculo- musulmana, nei vasi ovali e nella decorazione pittorica della treccia "a catenella". Per i vasi ovali collesanesi, di derivazione palermitana, caratteristica è la forma del collo allargata nell’innesto con la pancia del vaso a differenza della bocca sempre più ristretta e, che è presente nei vasi "faentini" modellati al contrario. Seguendo la sagoma, i vasi vengono decorati e divisi in fasce orizzontali (in pochi esempi, in verticale o diagonali) la parte centrale imita la decorazione a trofei tipica dello stile classico rinascimentale. La decorazione a trofei è sempre chiusa da due trecce. Nello stesso periodo rilevante è la produzione delle "burnìe": in genere seguono le decorazioni caratteristiche a scomparti orizzontali e verticali al cui centro un grande medaglione frontale contiene sempre un Santo, seguiti sempre da una decorazione a trofei. Caratteristica della ceramica collesanese è la treccia, di richiamo arabo, che rappresenta un segno tangibile di riconoscimento della produzione siciliana, la decorazione a foglie intrecciate a zig-zag in bianco e contornate su fondo giallo e, un tocco pennellato centrale, in cobalto. Non mancano i campi pieni di smalto verde ramina. Un altro elemento nel profilo degli albarelli collesanesi e rappresentata anche una caratteristica della lavorazione locale al tornio, è la loro forma a "cilindro" con un lievissimo restringimento nella parte centrale. Tranne pochi esemplari in cui si nota una imitazione delle forme faentine, caratterizzate da un accentuato restringimento nella parte mediana, la restante parte degli albarelli documentati, presenta questa evidente forma a "cilindrone". Altro elemento di influenza è rappresentato dall'altezza accentuata di qualche albarello, molto rastremato al centro. A parte queste eccezioni, la parte centrale a forma cilindrica viene chiusa da un restringimento molto inclinato e basso alla bocca, la quale chiude con una leggerissima svasatura. In genere presentano anche una simmetria sia alla base che alla bocca dell'albarello; abbastanza simili sono le loro dimensioni circolari. In quasi tutta la produzione collesanese si riscontra la data e il luogo di produzione: "Collesano", "Fecit in Collesano" qualche volta anche le abbreviazioni senatoriali: S.P.Q.P. (di Palermo), ed il nome dell'artista ceramista: "M.u Filippus Rizzuto" o "Joanni Saldo" qualche volta indicano anche il luogo di provenienza "di Politii nel caso del Saldo o, "Panormi" nel caso di Rizzuto. Giovanni Saldo, fu il primo maestro ceramista ad essere presente a Collesano, "impianto la sua officina intorno al primo decennio della seconda metà del sec. XVII. Le maioliche ritrovate oggi, datate e/o firmate risalgono al periodo che va dal 1660 al 1668". La sua tavolozza di colori è caratterizzata da un giallo "solare" tendente al rossastro che utilizza come sfondo, il manganese viene usato nelle linee orizzontali o nei contorni sottili e nelle leggere fasce orizzontali e, infine, dei tratti sfumati o delle aree di sfondo di colore verde ramina.
Nella parte centrale dei vasi o degli albarelli, riprende i trofei dello stile palermitano. All'interno dei medaglioni buccellati, simili in tutte le maioliche di questo periodo, dipinge Santi a mezzo busto, molti dei quali siciliani (S. Basilla, S. Columba, S. Vito, S. Lucia martire, S. Rosalia) o "teste di cherubini". Caratteristiche sono le due trecce arabe a "catena" di colore giallo con elemento centrale e contorni in manganese, e le foglie intrecciate a zig-zag che fanno da chiusura del decoro centrale. Nella parte mediana, la chiusura dello scudo è sempre sormontata da trofei d'armi o motivi musicali, nelle quali una cartella riporta la scritta del maiolicaro, la data, e il luogo di produzione. Filippo Rizzuto, proveniente da Palermo dopo che venne meno l'officina del Saldo, trasferisce la sua attività a Collesano. Probabilmente la sua produzione si colloca dal 1667 in poi. Nelle sue ceramiche si nota una maggiore esperienza pittorica e una ricca tavolozza cromatica, grazie al contatto artistico con maestranze qualificate delle officine palermitane, infatti, utilizza colori più vivi grazie alla prevalenza di sfondi più carichi e densi: verdi ramina, giallo, manganesi e varie tonalità di blu e contorni in manganese. Le foglie intrecciate a zig-zag, chiudono il medaglione e il cartiglio, utilizzano uno sfondo in manganese, contorni in bruno e pennellata centrale in giallo. Rilevanti sono le fasce orizzontali in manganese su fondo giallo-arancio, le decorazioni a trofei, con grandi scudi, corazze, elmi, teste di "lupi" e vistose scritte. Lo stesso Rizzuto riprende al centro dei medaglioni, immagini dei Santi a mezzo busto. Caratteristico il trattamento "ad incisione" a motivo floreale con forme circolari e a spirale su fondo manganese, scalfite tecnicamente, con un punteruolo dopo che lo smalto di fondo, una volta essiccato, ha perso tutta l'acqua. Il maestro Filippo Rizzuto si dedicò, grazie all’esperienza accumulata nelle officine palermitane, oltre all'attività vascolare, anche alle mattonelle maiolicate. Ai giorni nostri, non sono sopraggiunti nelle Madonie, pannelli maiolicati quasi certamente andati persi, nel corso dei secoli.
FORNI PER LA COTTURA DELLE TERRECOTTE Dalle fonti storiche, risultano numerosi forni ubicati nel centro abitato e nelle campagne del territorio collesanese, per la produzione di "maduni grossi longhi" tegole, vasi, fiaschi, quartare, lumarelli, e numerosi altra oggettistica in terracotta. Non dimentichiamo tutto il vasellame e le giare prodotti dalle fornaci collesanesi occorrenti per i numerosi trappeti e la lavorazione della canna da zucchero che operavano a Collesano. Queste presenze testimoniano il rilevante numero di "stazzunara" e di persone che lavoravano l’argilla durante tutto il '600. Il convento di San Francesco ubicato nell'attuale quartiere "Stazzone" aveva il "furnum" per la produzione di tegole (1605), di proprietà dello stesso convento un forno in contrada Ciaramitaro (feudo Gargiricinniri) venduto perché non rendeva ed un altro forno "allo ponti" ceduto anch'esso (come risultano dagli atti notarili dell’epoca). La confraternita di S. Giovanni Battista (abbastanza ricca) era proprietaria, in contrada Cammisini "piano delli stinci", di un "furnum tegularum" del quale risulta un successivo intervento di manutenzione nel 1635, possiede un altro forno nel feudo di Gargiricinniri vicino alle cave di argilla di "Bovitello" e, un terzo forno (1658) in "quontrada di lo piro". Non mancano documenti negli archivi storici di famiglie di "stazzunara" e maestri di "creta" del periodo, nonché, delle tipologie di terrecotte prodotte e i committenti dell'epoca, principalmente chiese, luoghi per attività e palazzi nobiliari.
La più antica documentazione riguarda Mastro Antonio Gillino (1602) con la vendita di 10.000 mattuni longhi, nel 1604 Mastro Augustino Gillino produce "lumarelli" per la festa di S. Giacomo, patrono di Collesano, allora la festa principale. In un importante documento del 1606 compare la bottega di Mastro Natale Lo Varchi (padre del pittore Giovanni Giacomo), per la prima volta si parla di vasellame "stagnato" cioè smaltato. Mastro Baldassarre Traina che fornisce mattoni grossi per riparare la torre di Garbinogara (1605), Mastro Clemente Cicci (1630), Mastro Nicolò Gurrera, Pietro Cultrara, Antonino de Bernardo che producono maduna grossi longhi e tegole lavorate nello stazzone di "piano delli stinci" in contrada Cammisini (1639). Nel 1644 ritroviamo Mastro Vincenzo Gillino e Mastro Giuseppe La Liotta. Intorno al 1660-1661 si documentano "maduna pinti di Valenza", "maduna quatri" realizzati da Mastro Giuseppe Savia, nello stesso anno Mastro Domenico Vinturella produce i canali. Grazie a questa ricerca archivistica, Collesano, dimostra di avere un'intensa attività nell'arte ceramica. Alcuni documenti dell'archivio parrocchiale ci testimoniano la presenza di Mastro Filippo Rizzuto, artista maiolicaro, delle più prestigiose ceramiche prodotte a Collesano. Nel 1677 sposa Rosaria Vinturella e vedova di G. Savia produttore di mattoni stagnati. La sua attività ceramica nella cittadina madonita dura un ventennio, anche se, nel firmare i pezzi, indica la sua origine palermitana. Muore fuori Collesano, prima del marzo del 1698. Numerose famiglie vengono alla luce dai documenti storici: i Cellino (già presenti nel '600), i Barbera ('600 - '700), i Carrà (fine '600), i Catalano, i Cirri. Poi ancora i Morales, i Di Paola, i Pizzillo, nell'800 ed infine, le ultime famiglie del '900: Giuseppe Asciutto, Letterio Iachetta e suo figlio Salvatore. LA CERAMICA POPOLARE Nel secolo XVIII, le officine palermitane per far fronte alle richieste locali e quello dei paesi vicini, producevano essenzialmente mattonelle maiolicate. A causa però del vasellame che veniva importato dalla Liguria (Genova, Savona), dalla Campania (Napoli, Vietri) e dai centri siciliani di Collesano, Burgio e Caltagirone, diminuirono in parte la loro produzione. Quest’ultimi centri rifornivano Palermo di vasellame di vario tipo ma, rimaneva inevasa la richiesta di vasellame di qualità artistica, e di un certo stile raffinato, che rimaneva produzione esclusiva delle città di Napoli, di Savona e di Marsiglia. Nella prima metà dell'800 quando l'importazione della ceramica di Napoli, raggiunse livelli imponenti, le fabbriche siciliane si trovarono in difficoltà, perché non riuscirono ad adeguarsi alle migliori qualità tecniche richieste e al nuovo stile dei prodotti soprattutto provenienti della Campania. Quest’ultimi, grazie anche ai prezzi competitivi, molto apprezzate dal mercato e dalle richieste siciliane, trovarono numerosi acquirenti in molte comuni della Sicilia. Collesano, per tutto il secolo XVIII, produceva vasellame di modesta tecnica e fattura con qualche rara eccezione, finalizzato a soddisfare solamente le richieste locali. I modesti prodotti collesanesi, venivano venduti in varie cittadine dai "rigattieri" che giravano, con i carretti, per le fiere e per i mercati dell'isola. Intanto le officine di Burgio, nella parte occidentale della Sicilia, presero consistenza nella produzione e nel mercato delle stoviglie e, si indebolirono i rapporti commerciali tra Collesano e Palermo. Le fornaci collesanesi, non riuscirono a forgiare mattoni di qualità rispetto all'esigente mercato di allora; continuò invece, a produrre vasellame di uso comune, semplice e funzionale. Ricordiamo che "…Il Museo Etnografico di Palermo possiede una ricca collezione di tali lucerne, provenienti dai tradizionali centri ceramici siciliani di Caltagirone e Collesano. Esse, per lo più di fattura ottocentesca, raffigurano con perfetta armonia plastica e pittorica, spesso in chiave sottilmente satirica, tipi e figure del mondo popolare e borghese. Caratteristiche sono le invetriature usate in verde, giallo-miele e in manganese, di cui rimangono oggi esemplari "unici nel loro genere"; significative le tipologie, i soggetti
"popolari" utilizzati e, le applicazioni a rilievo floreale e geometrico con stampi "naturali", in cui viene fuori la spontaneità compositiva e plastica dell'artigianato e delle maestranze locali. "Le ceramiche che comunemente vengono denominate popolari, sia per la loro diffusioni in classi o zone particolari, in genere lontano dai grandi centri culturali, … provengono in buona parte da quelle stesse manifatture che hanno prodotto, …i pezzi che comunemente vengono detti "d'arte" e di essi riflettono il mutare dei gusti e delle tendenze, pur distaccandosi dall'altra produzione per una certa vistosità di stili e di temi. …In realtà le fabbriche di ceramica costituiscono uno dei più cospicui punti di incontro tra tendenze e stili "colti" e tecniche artistiche "popolari", sicché i loro prodotti riflettono il confluire di due filoni culturali che sono spesso perfettamente fusi in un tutto armonico. Le ceramiche popolari hanno sempre un valore d'uso, oltre ad avere un valore decorativo ed è più facile la loro classificazione artistico-sociale. Per il ceramista del popolo, praticità ed artisticità sono, in effetti, due esigenze inscindibili alle quali, i suoi prodotti debbono necessariamente uniformarsi…
Con il '900 ci avviciniamo al periodo di decadenza della ceramica artigianale in tutti i centri produttori siciliani, andamento già avviato alla fine dell'ottocento. Anche Collesano, subì la stessa sorte, al punto di cominiciare ad interrompere la produzione e spegnere diversi forni. La produzione vascolare, artistico, decorativo, di gusto, oggi diremmo di "qualità" richiesto dalle famiglie nobili, dai farmacisti e dagli aromatari, infatti, lascia posto a un "oggetto d'uso quotidiano" della cultura povera, contadina, poco esigente, tendente a soddisfare solamente un necessità primaria, funzionale. Da un'analisi produttiva ed artistica di questo contesto locale, emergono alcuni fattori sfavorevoli: - Si esauriscono le richieste di mercato di un certo livello e vengono meno anche gli stimoli alla produzione di qualità, alla ricerca, al gusto estetico, alle forme nuove; I saltuari prototipi di ceramica esportata in America risultarono un fallimento economico; - L'artigiano locale non predisposto al cambiamento, all'innovazione del processo produttivo, all'organizzazione del lavoro di tipo specialistico, non opera nessun investimento; - Le condizioni di tipo lavorativo in cui versavano gli "stazzunari" continuavano ad essere estremamente precarie ed insicure; - La stessa mancanza di un ricambio generazionale tra le generazioni dei ceramisti e alle nuove esigenze di lavoro e di mercato; - Le grandi quantità di maioliche importate da altri centri poiché si ritrovano di buona fattura e perché alquanto bassi di prezzo. La situazione si fa effettivamente preoccupante e drammatica per l'artigianato locale e per il patrimonio artistico collesanese. Le richieste particolari di oggettistica decorata, risultavano ormai saltuarie anche a causa dei costi proibitivi. Abbiamo notizia "che agli inizi del '900 producevano a Collesano con maggior e minor perfezione" i discendenti delle famiglie Barbera, Catalano, Carrà, Cellino, Cirri e, le famiglie Asciutto e Iachetta". Gli artigiani locali continuavano a produrre e ripresentare oggettistica alquanto modesta, essenzialmente legata all'utilità delle famiglie, ai semplici e funzionali usi e ai costumi tradizionali, come vasi per acqua, per vino, boccali, lumiere, vasi da fiore e da notte, fiaschi, scodelle, catusi, collidoca, criscintiere, bornie, statuette, acquasantiere, ect. Risultano invece, significativi e illuminanti i fiaschi tradizionali e a cucciddatu, le brocche, le figure antropomorfe col segreto, dove si fondono insieme bravura artigianale con la canzonatura, lo scherzo e l'astuzia. Collesano fino al 1960, malgrado le molteplici fornaci operanti nel quartiere "Stazzone" e fuori dal centro urbano, conservò una posizione di modesto centro produttore, con un mercato tipicamente locale. I rigattieri del periodo, vendevano questo tipo di merce nei paesi limitrofi durante le fiere paesane e le feste patronali. Un “figulo” collesanese Mastru Cirri Vincenzo, sensibile ai nuovi prodotti e alle nuove tecniche di lavorazione, fece studiare e perfezionare il figlio Giuseppe a Caltagirone, apprezzato centro siciliano della ceramica ma, la sua produzione, non ebbe quella qualità desiderata. I ceramisti collesanesi riprendendo la tradizione ottocentesca, usarono nei loro prodotti in terracotta e poi “stagnati” (vaso, fiasco, lucerna, statuette, bornie, acquasantiere, ecc.) vetrine colorate sempre dello stesso tipo. Le maioliche prodotte infatti, in questo periodo, hanno come caratteristica la semplicità delle forme e la continuità cromatica: l'utilizzo del giallo miele, del verde ramina e un po’ meno il colore manganese. Le terrecotte, nella parte alta vengono trattati con il verde ramina mentre nella parte inferiore, dal giallo miele o paglino, come qualcuno lo chiama; questi colori restituiscono un’identità, un valore agli oggetti a tal punto da caratterizzarli come "originali" e "unici" probabilmente nel contesto della produzione isolana, madonita indubbiamente. Smalti ripresi in modo generalizzato dalle ultime famiglie ceramiste collesanesi: Asciutto, Catalano, Cirri, Iachetta al punto da contraddistinguere tutta la produzione fino al 1960. Invece, la smaltatura in manganese, veniva usata nell'interezza del pezzo ceramico. Quest’ultimi figuli, esperti del tornio e della cottura, lasciarono pochi oggetti decorati, probabilmente, non compresero la necessità del decorare a pennello o forse, ed è anche
la cosa
più probabile, non sapevano generalmente decorare. Alla sensibilità cromatica delle maioliche, si accompagnano anche il gusto plastico degli elementi vegetali a bassorilievo e i graffiti o le incisioni lasciati come segno decorativo e come riconoscimento dell’artista ceramista. Gli elementi recuperati dall'ultima generazione collesanese, sono la forma, lo stile e le tipologie delle ceramiche vascolari del secolo precedente. I nuovi pezzi, ripresi e forgiati, mantennero le caratteristiche e le tipologie ottocentesche, senza impulso e senza mettere nulla di nuovo. Tutta la nuova produzione sembra voler dare un segno di "rispetto al passato". Nessun esempio significativo di cambiamento, di crescita, tantomeno di ricerca. Le lucerne, i bummuli, le bornie, i fiaschi e ogni altra oggettistica, risulteranno le riproduzioni del passato. Alle attività artigianali operanti oggi a Collesano è affidato, anche, il recupero più o meno esplicito di questo patrimonio storico ed artistico e soprattutto l’identificazione di una specifica caratteristica, tipologia e qualità del prodotto locale.
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