Rapporto preliminare


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Figura 5.39 – Geolitologia 
 
 

 
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Figura 5.40 – Idrogeologia 
 
 

 
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Figura 5.41 – Stabilità dei versanti 
 
 

 
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Figura 5.42 – Microzonazione sismica 
 
 

 
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6.
 
PROBLEMI AMBIENTALI 
Qualsiasi problema ambientale esistente, pertinente al piano, ivi compresi in particolare 
quelli relativi ad aree di particolare rilevanza ambientale, culturale e paesaggistica, quali 
le zone designate come zone di protezione speciale per la conservazione degli uccelli 
selvatici e quelli classificati come siti di importanza comunitaria per la protezione degli 
habitat naturali e della flora e della fauna selvatica, nonché i territori con produzioni 
agricole di particolare qualità e tipicità, di cui all’articolo 21 del decreto legislativo 18 
maggio 2001, n. 228 (punto d, Allegato VI, D.Lgs. 152/2006 e s.m.i.) 
 
 
Nel presente capitolo saranno esaminati le principali problematicità ambientali connesse non 
solo alle aree di particolare rilevanza ambientale, culturale e paesaggistica, ma all’intero 
territorio comunale. Le informazioni (e le relative immagini) state tratte da quanto riportato 
dal Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico – Rischio di Frana (Autorità di Bacino Nazionale 
dei Fiumi Liri-Garigliano e Volturno), dal Progetto di Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico 
del Bacino Interregionale del Fiume Fortore (Autorità di Bacino Interregionale dei Fiumi Trigno, 
Biferno e Minori, Saccione e Fortore), dal Piano regionale di bonifica dei siti inquinati della 
regione Campania (Regione Campania), dal Progetto definitivo di bonifica con misure di 
sicurezza dell’area Pozzo Castelpagano 1-2 (ENI S.p.A.), dalle Attività di caratterizzazione della 
discarica comunale in località Solfatara (Agrifuturo Soc. Coop. Onlus) e dallo Studio-progetto 
per la valorizzazione di interventi di Recupero, valorizzazione e promozione dell’area SIC-
IT2080010 “Sorgenti e Alta Valle del Fiume Fortore” (dott. agr. Antonio P. Leone). 
 
 
6.1
 
Rischio da frana 
Nella valutazione del rischio di frana si incontrano, in genere, diverse difficoltà che dipendono 
dalla complessità dei contesti geo-ambientali nei quali le frane hanno sede, dalla molteplicità 
degli approcci proposti in letteratura per lo studio di tali fenomenologie, dal caotico sviluppo 
dei centri urbani che con detti fenomeni interagiscono, ecc. A tali difficoltà si devono 
aggiungere quelle strettamente legate alla molteplicità di proposte presenti in letteratura per 
la definizione dei fattori (pericolosità, vulnerabilità, ecc.) che concorrono alla valutazione del 
rischio ai quali, unitamente al rischio medesimo, vengono frequentemente attribuiti significati 
diversi in un medesimo contesto, con conseguenti equivoci sulla valutazione degli effetti che i 
fenomeni franosi possono produrre. 
Il comune di Colle Sannita è ricompreso nei limiti territoriali dell’Autorità di Bacino Nazionale 
dei Fiumi Liri-Garigliano e Volturno e dell’Autorità di Bacino Interregionale dei Fiumi Trigno, 
Biferno e Minori, Saccione e Fortore (Figura 6.1). 
Per quanto concerne gli studi condotti dall’Autorità di Bacino Nazionale dei Fiumi Liri-
Garigliano e Volturno, sono stati preliminarmente definiti cinque termini: 

 
Pericolosità (P): probabilità di accadimento, all’interno di una certa area ed in un certo 
intervallo di tempo, di un fenomeno naturale di assegnata intensità; 

 
Elementi a rischio (E): persone e/o beni (abitazioni, strutture, infrastrutture, ecc.) e/o 
attività (economiche, sociali, ecc.) esposte “a rischio” in una certa area; 

 
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Vulnerabilità (V): grado di perdita di un certo elemento o insiemi di elementi esposti “a 
rischio”, derivante dal verificarsi di un fenomeno naturale di assegnata intensità, espresso 
in una scala che va da 0 (nessuna perdita) a 1 (perdita totale); 

 
Danno potenziale (W=E×V): grado previsto di perdita a seguito di un particolare fenomeno 
naturale, funzione sia della “pericolosità” che della “vulnerabilità”; 

 
Rischio (R):  numero  atteso  di  vittime,  persone  ferite, danni a proprietà, distruzione o 
interruzione di attività economiche, in conseguenza di un fenomeno naturale di assegnata 
intensità. 
Tra i termini così definiti, sono state, quindi, individuate due relazioni per la valutazione del 
rischio: 
R=P×E×V, 
R=P×W. 
Dalle equazioni di cui sopra discende che il rischio da associare ad un determinato fenomeno 
franoso, che interagisce con strutture ed infrastrutture, dipende dalla intensità e della 
probabilità di accadimento dell’evento, dagli elementi che con l’evento interagiscono e dalla 
loro vulnerabilità. 
 
 
Figura 6.1 – Limiti territoriali delle Autorità di Bacino 
 
 
 
Così definita, la valutazione del rischio comporta non poche difficoltà per la complessità e 
l’articolazione delle azioni da svolgere ai fini di un’adeguata quantificazione dei fattori che 
compaiono nelle equazioni. Pertanto, nel Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico – Rischio 
di Frana si è ritenuto opportuno adottare criteri metodologici semplificati, orientati ad una 

 
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valutazione qualitativa del rischio che è apparsa, fin dall’inizio, l’unica perseguibile per la 
scala dello studio, l’estensione del territorio e l’assenza di dati di maggior dettaglio sui singoli 
fenomeni franosi oltre che sul tessuto urbano ed infrastrutturale. 
In particolare, il criterio adottato è stato finalizzato all’individuazione delle quattro classi di 
rischio definite nell’Atto di Indirizzo e Coordinamento del D.L. 180/1998, alle quali si sono 
aggiunte altre due classi che testimoniano gli inevitabili limiti della scala alla quale si sono 
condotte le indagini e gli studi. In definitiva si sono ottenute le seguenti classi: 

 
RP
a
: area nella quale il livello di rischio, “potenzialmente alto”, può essere definito solo a 
seguito di indagini e studi a scala di maggior dettaglio; 

 
R4: area a rischio “molto elevato” nella quale, per il livello di rischio presente, sono 
possibili la perdita di vite umane e lesioni gravi alle persone, danni gravi agli edifici, alle 
infrastrutture ed al patrimonio ambientale, la distruzione di attività socio economiche; 

 
R3: area a rischio “elevato” nella quale, per il livello di rischio presente, sono possibili 
problemi per l’incolumità delle persone, danni funzionali agli edifici ed alle infrastrutture 
con conseguente inagibilità degli stessi, l’interruzione di funzionalità delle attività socio-
economiche e danni rilevanti al patrimonio ambientale; 

 
R2: area a rischio “medio” nella quale, per il livello di rischio presente, sono possibili danni 
minori agli edifici, alle infrastrutture ed al patrimonio ambientale che non pregiudicano 
l’incolumità delle persone, l’agibilità degli edifici e la funzionalità delle attività economiche; 

 
R1: area a rischio moderato nella quale, per il livello di rischio presente, i danni sociali
economici ed al patrimonio ambientale sono marginali; 

 
RP
b
: area nella quale l’esclusione di un qualsiasi livello di rischio, “potenzialmente basso”, 
è subordinata allo svolgimento di indagini e studi a scala di maggior dettaglio. 
Le sei classi di rischio così individuate sono state perimetrate nella “Carta degli scenari di 
rischio”, unitamente alle aree non urbanizzate, definite “di attenzione”, secondo la seguente 
classificazione: 

 
AP
a
: area di attenzione “potenzialmente alta”, non urbanizzata, nella quale il livello di 
attenzione, potenzialmente alto, può essere definito solo a seguito di indagini e studi a 
scala di maggior dettaglio; 

 
A4: area di “alta” attenzione, non urbanizzata, potenzialmente interessata da fenomeni di 
innesco, transito ed invasione di frana a massima intensità attesa alta; 

 
A3: area di “medio-alta” attenzione, non urbanizzata, ricadente all’interno di una frana 
attiva a massima intensità attesa media o di una frana quiescente della medesima 
intensità in un’area classificata ad alto grado di sismicità; 

 
A2: area di “media” attenzione, non urbanizzata, ricadente all’interno di una frana 
quiescente, a massima intensità attesa media; 

 
A1: area di “moderata” attenzione, non urbanizzata, ricadente all’interno di una frana a 
massima intensità attesa bassa; 

 
AP
b
: area di attenzione “potenzialmente bassa”, nella quale l’esclusione di un qualsiasi 
livello di attenzione, potenzialmente basso, è subordinata allo svolgimento di indagini e 
studi a scala di maggior dettaglio. 
Nella “Carta degli scenari di rischio” sono, altresì, segnalate le aree urbanizzate e non 
urbanizzate, per le quali il livello di rischio e di attenzione non è definibile a scala 1:25.000, 
ottenendo le seguenti ulteriori classi: 
 

 
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C1: aree di possibile ampliamento dei fenomeni franosi cartografati all’interno, ovvero di 
fenomeni di primo distacco; 

 
C2: aree di versante in cui non è stato riconosciuto un livello di rischio o di attenzione 
significativo; 

 
al: aree inondabili da fenomeni di sovralluvionamento individuati sulla base di modelli 
idraulici semplificati o studi preliminari, il cui livello di rischio o di attenzione deve essere 
definito a seguito di indagini e studi a scala di maggior dettaglio. 
Per ciascuna delle classi individuate le Norme Tecniche di Attuazione del Piano prevedono gli 
interventi possibili relativamente all’uso del suolo, compresi divieti e prescrizioni. 
Gli studi condotti d Autorità di Bacino Interregionale dei Fiumi Trigno, Biferno e Minori, 
Saccione e Fortore hanno individuato e classificato le aree in frana distinguendole in base a 
tre livelli di pericolosità: 

 
PF3: aree a pericolosità da frana “estremamente elevata”; 

 
PF2: aree a pericolosità da frana “elevata”; 

 
PF1: aree a pericolosità da frana “moderata”. 
Inoltre, al fine di valutare la priorità degli interventi di messa in sicurezza e per le attività di 
protezione civile, è stato individuato, perimetrato e classificato il livello di rischio idrogeologico 
secondo le seguenti quattro classi: 

 
RI4 e RF4: aree a rischio “molto elevato”; 

 
RI3 e RF3: aree a rischio “elevato”; 

 
RI2 e RF2: aree a rischio “medio”; 

 
RI1 e RF2: aree a rischio “moderato”. 
Anche in questo caso, per ciascuna delle classi individuate, le Norme Tecniche di Attuazione 
prevedono gli interventi consentiti, previa valutazione di compatibilità idrogeologica. 
Tenuto conto delle definizioni di cui sopra, in Figura 6.2 si riporta la Carta degli scenari di 
rischio relativamente al territorio comunale di Colle Sannita. 
 
 
6.2
 
Siti contaminati 
Il Piano regionale di bonifica dei siti inquinati della regione Campania, approvato nel 2005, 
individua un sito contaminato localizzato nel comune di Colle Sannita, denominato Pozzi 
Castel Pagano 1-2 (Figura 6.3), che presenta un  indice  di  rischio  pari  a  62,09  ma  che, 
comunque, non appartiene ai Siti contaminati di Interesse Nazionale (SIN). 
In particolare, risultano contaminate le seguenti matrici ambientali: sottosuolo ed acque, con 
presenza di idrocarburi del petrolio ed inorganici. La superficie contaminata del sito è pari a 
9.250 mq, dove la principale matrice ambientale contaminata è il sottosuolo, in cui sono 
state riscontrate le seguenti sostanze: benzene (12,00 mg/kg), toluene (1,30 mg/kg), xilene 
(5,60 mg/kg), etilbenzene (0,65 mg/kg) piombo (129 mg/kg), ), idrocarburi C<12 (20 mg/kg), 
idrocarburi C>12 (700 mg/kg). 
Per il sito il Piano regionale di bonifica ha provveduto ad individuare le tipologie di bonifica ed 
il  relativo  costo.  Le  tipologie  di  bonifica da utilizzare fanno riferimento all’Air Sparging, al 
Pump and Treat, al Bioventing ed all’Ossidazione chimica, da eseguire in seguito alla 
caratterizzazione del sito, con un costo complessivo di 1.140.000 euro per la bonifica e 
27.740 euro per la caratterizzazione. 

 
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Figura 6.2 – Scenari di rischio frana 
 
 
 
Il  Pump and Treat è uno dei sistemi di bonifica dei falde inquinate più applicati al livello 
nazionale e internazionale. Questi sistemi possono avere l’obiettivo di rimuovere i 
contaminanti dissolti o anche di sbarrare idraulicamente il deflusso delle acque contaminate 
verso potenziali recettori presenti all’esterno dell’area contaminata. 
Il Bioventing è una tecnologia che, inducendo nel sottosuolo la circolazione di ossigeno, con 
l’eventuale aggiunta di nutrienti, stimola la biodegradazione aerobica dei contaminanti ad 
opera dei microrganismi presenti naturalmente nel sottosuolo. È particolarmente indicata per 

 
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suoli insaturi contaminati da idrocarburi mentre non è efficace su terreni eterogenei, poco 
permeabili o prossimi a falde. 
L’Ossidazione chimica è una tecnica che si applica al risanamento di terreno ed acqua di 
falda. I processi di ossidazione chimica si basano sulla trasformazione dei composti 
inquinanti pericolosi in composti non pericolosi (o meno tossici) mediante l’iniezione nella 
matrice contaminata (suolo saturo o insaturo) di una miscela reagente contenente un 
opportuno agente ossidante per mezzo di pozzi o trincee di iniezione. L’utilizzo di composti 
con potere fortemente ossidante permette l’ossidazione di composti organici resistenti 
all’ossidazione biologica (biodegradazione). 
 
 
Figura 6.3 – Localizzazione del sito
 
Pozzi Castel Pagano 1-2 
 
 
 
Dall’esame di ulteriore documentazione specifica fornita al Comune dall’ENI si evince che 
diverse attività (non riportate nel Piano regionale di bonifica) risultano essere state già 
compiute relativamente alla caratterizzazione dei terreni ed alla bonifica dei siti. 
Ebbene, le prime attività d’indagine effettuate nel sito Pozzi Castel Pagano 1-2, previste dallo 
specifico Piano della Caratterizzazione Ambientale, risalgono al marzo 2003; si sono 
articolate nella realizzazione di cinque sondaggi a carotaggio continuo, spinti a profondità 
comprese tra 5 e 11 m dal piano di campagna (p.c.). Un ulteriore sondaggio, spinto fino a 6 m 
dal p.c., è stato realizzato all’esterno dell’area, a circa 10 m di distanza dalla Strada 
Comunale, ed utilizzato per determinare i valori di fondo naturale del contesto ambientale in 
cui si colloca l’area. Altri due sondaggi sono stati spinti fino alla profondità di 9-10 m dal p.c. e 
successivamente attrezzati a piezometro. 

 
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Le analisi di laboratorio condotte sui campioni di terreno prelevati nel corso delle diverse 
campagne di indagini hanno evidenziato superamenti dei limiti di legge per i seguenti 
parametri: idrocarburi pesanti (C>12), idrocarburi leggeri (C<12), idrocarburi aromatici 
(benzene, toluene, xileni, etilbenzene, idrocarburi aromatici totali) ed, in misura minore, 
metalli (piombo, vanadio). I limiti di riferimento sono stati adottati in ragione della 
destinazione d’uso di tipo agricolo prevista dal vigente PRG del Comune di Colle Sannita. 
Dalle indagini condotte, suddividendo i suoli superficiali (da 0 a 1 m dal p.c.) dai suoli 
profondi, è stato possibile identificare tre aree sorgenti di contaminazione ed una sub-area 
all’interno della prima di queste (Figura 6.4): 

 
Area 1: è l’area principale, ubicata nella porzione nord-est del sito, tra il confine 
occidentale dello stesso e le due teste pozzo. Tale area si estende per una superficie 
stimata di circa 2.395 m
2
. L’impatto interessa principalmente i suoli profondi, con 
profondità comprese tra 1 e 14 m dal p.c. (massima profondità indagata), con le 
concentrazioni più rilevanti nella porzione profonda (a partire da 10 m dal p.c.). Nell’Area 1 
è stato riscontrato un impatto prevalente da idrocarburi aromatici (benzene, toluene, 
xileni) ed, in misura minore, da idrocarburi leggeri (C<12) e pesanti (C>12); in un unico 
campione è stato riscontrato un modesto superamento del limite per il parametro vanadio. 
Tuttavia, tale dato non è stato confermato dalle indagini integrative realizzate nel gennaio 
2007 e, quindi, non sembra significativo di un effettivo stato di contaminazione del 
terreno, bensì attribuibile ad un valore analitico anomalo rispetto al fondo naturale medio. 

 
Sub-area 1: all’interno dell’Area 1 sono stati individuati dei superamenti localizzati a 
profondità comprese tra 0 e 2 m dal p.c.; la superficie stimata è di circa 230 m
2


 
Area 2: ubicata nella porzione sud del sito, si estende per una superficie stimata di circa 
316 m
2
; l’impatto interessa i suoli superficiali e profondi, con profondità comprese tra 0 e 
6 m dal p.c. L’impatto dei suoli profondi è principalmente ascrivibile ad idrocarburi leggeri 
e pesanti ed, in misura minore, ad idrocarburi aromatici (benzene, etilbenzene, xileni) e 
piombo. Le concentrazioni di idrocarburi appaiono mediamente di un ordine di grandezza 
superiore a quelle riscontrate nell’Area 1, con predominanza degli idrocarburi pesanti 
(C>12) rispetto agli idrocarburi leggeri (C<12). Tutti i campioni analizzati oltre i primi 5-6 m 
di profondità dal p.c. hanno mostrato concentrazioni non rilevabili di idrocarburi leggeri, 
pesanti ed aromatici. In questo caso, le stratigrafie dei sondaggi eseguiti nell’area 
indicano che alla profondità di 5-6 m si ha un cambio litologico, con un passaggio da 
argille rimaneggiate ad argilloscisti, costituenti il bedrock dell’area. Tale cambio di litologia 
sembra aver ostacolato la migrazione in profondità delle sostanze contaminanti. 

 
Area 3: è costituita da suoli superficiali (0-1 m dal p.c.) impattati da idrocarburi leggeri 
(C<12) e pesanti (C>12); superficie stimata 110 m
2

Per quanto riguarda le aree di contaminazione individuate a sud e nella zona orientale del sito 
(Area 2 ed Area 3) è stato previsto lo scavo ed il trasporto ad impianto autorizzato del terreno 
contaminato. Per l’Area 1, ubicata nella porzione  nord  del  sito,  in  fase  di  progettazione 
preliminare della bonifica erano stati proposti test pilota di Bio Venting (BV), Soil Vapor 
Extraction (SVE), Bio Sparging (BS) e Air Sparging (AS). Tuttavia le indagini integrative hanno 
evidenziato: 

 
maggiore estensione dell’area contaminata (2.395 m
2
);  

 
litologia sfavorevole alle tecniche sopra indicate (limi argillosi ed argille compatte); 

 
assenza di un corpo acquifero significativo nello spessore di terreno contaminato. 

 
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Figura 6.4 – Aree interne al sito
 
Pozzi Castel Pagano 1-2 
 
 
 
Queste informazioni hanno portato a non ritenere idonee le tecnologie di SVE ed AS per il sito 
in oggetto, motivo per il quale non si è proceduto all’esecuzione dei test pilota previsti in sede 
di progettazione preliminare, preferendo valutare altre tecnologie di bonifica, quali: 

 
Electrical Resistance Heating (ERH): appartiene alle tecniche di bonifica che 
presuppongono il trattamento dei terreni senza preventiva asportazione per escavazione 
del terreno stesso (metodi “in situ”). Si tratta, in particolare, di una tecnologia di bonifica 
“aggressiva”, in grado di ridurre in breve tempo la massa di composti organici volatili 
presenti in falda e nel suolo. Il funzionamento della tecnologia ERH consiste nello scaldare 
rapidamente il sottosuolo insaturo (anche saturo) fino a circa 100 °C, facendo passare 
corrente elettrica nel suolo contaminato, sfruttando la presenza di umidità al suo interno, 
per mezzo del posizionamento di alcuni elettrodi all’interno dei piezometri nell’area 
oggetto di studio. L’alta temperatura favorisce l’evaporazione dei composti volatili che 
possono essere così strippati dal sottosuolo. I vapori vengono quindi estratti, raffreddati e 
trattati secondo i metodi comuni (ad esempio, sistemi di SVE). 

 
Low Temperature Thermal Desorption (LTTD): appartiene  alle  tecniche  di  bonifica  che 
presuppongono il trattamento dei terreni previa asportazione per escavazione del terreno 
stesso (metodi “ex situ”). Si tratta di una tecnologia efficace per la rimozione di diversi 

 
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