Francesco bozza
- Le vicende del Convento
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5.1 - Le vicende del Convento Le ripetute e pressanti richieste (certe quelle del 1310, documentate dalla data delle due iscrizioni su pietra: una sul portale della Chiesa e l’altra nella sacrestia) da parte di una ‘Universitas civium’, quella di Limosano, che, come si è visto, sta vivendo dal punto di vista demografico, ma non solo, una fase di così forte espansione da essere vista dagli occhi dei 166 contemporanei non solo come una 'bona terra', ma (e confronti specifici dai documenti vengono fatti anche con Guardialfiera, Larino, Trivento, Termoli e Dragonara, tutte ‘civitas’ sedi di diocesi) quanto la migliore, eccettuata Bojano, di tutta la provincia (f. 154r: est bona terra et melior totae provinciae excepto boyano) beneventana 278 , indussero il re di Napoli, Roberto d’Angiò, ad avanzare richiesta dell’autorizzazione papale ad erigervi un ‘convento’ per i frati francescani. Ciò, nel momento in cui nella ‘Terra’ di Limosano la fase della ‘angioinizzazione’ e della guelfizzazione, cui non fu di certo estranea la figura di Papa Celestino V, può dirsi, e con buona ragione, portata a termine. Da Avignone venne subito concessa al Superiore della Provincia Montis Sancti Angeli dei Frati Minori, con la bolla pontificia del 7 Luglio 1312 “Sacrae religionis vestrae merita” del Papa francese Clemente V, l’autorizzazione per la costruzione, insieme all’altro omonimo di Larino, del “Conventus S.ti Francisci”. Esso, in questo preciso momento storico, rappresenta il tentativo ed il modo di spostare “extra moenia (fuori le mura)” della Civitas non solo la sua nuova azione politica, ma, soprattutto dal punto di vista socio-economico (era stata appena ordinata la chiusura delle tante fucine legate alla lavorazione del ferro), gli obiettivi e le attenzioni, moderne ed in linea con i tempi, della ‘Universitas Civium’ limosanese, che con la promessa di dotazioni patrimoniali, munifiche ma costose quanto al sacrificio per la rinuncia, lo stava inseguendo già da diversi anni pur di ridarsi una immagine ed una visibilità conformi all’antico, ma necessariamente diventate diverse a motivo delle mutate condizioni. Tra i ‘bona’ sacrificati in tale occasione dai ‘cives’ limosanesi e messi a disposizione per l’iniziale patrimonio dell’erigendo ‘convento’, così come mostra la dicitura “iam ab anno suae fundationis (già dall’anno della sua fondazione)” riportata da più di un documento, è da ricomprendere sicuramente quel “pezzo di territorio di tt.a duecento ottantotto, con querce, nel luogo d.o Monte Marconi, 279 . Con identica certezza e per la stessa motivazione tra quei ‘bona’ è da includere almeno “un’altro Territorio di tomuli quarantadue nel luogo d.o Peschio Corvo, beni della Terra di Fossaceca, beni della Camera Marchesale, ed altri,…” 280 . E sembrerebbe che quest’ultimo, oggetto ancora durante il secolo XIX di aspra contesa tra i frati del Convento ed il Comune per la vicenda del ‘tantundem’ (dovevano essere pagati dai ‘coltivatori’ i pesi ad entrambe le istituzioni), facesse parte di un unico ed assai più vasto ‘territorio’, di ampia estensione, se dal ‘Catasto Onciario’ viene ricompreso tra quei “Territorij dentro la Difenza della Sala”, indicati separatamente, e non senza significato, da tutti gli altri del patrimonio del Convento. Essi, tra i quali quello già descritto figura al quinto e penultimo posto 281 , situano tutti nella parte di tramontana della ‘difesa’ e sono: 278 ARCHIVIO VATICANO di ROMA, Collect. t. 61 cit. Al f. 175a espressamente viene riferito che “dicta terra limosani est melior terra… quam plures civitates dicte provincie beneventane ut puta civitates Guardie alferie dragonarie Termolense lesine Montis corbini Vulturarie et florentini”. 279 ASCL, Catasto Onciario, B. 1, f. 1. 280 ASCL, Catasto Onciario, B. 1, f. 1. 281 ASCL, Catasto Onciario, B. 1, f. 1. Con atto del 28 Agosto 1828 “i Religiosi Conventuali di questo Monistero di San Francesco, cioè molto Reverendo Padre Maestro Filippo Fracassi, Superiore del Monistero, Reverendo Padre Giuseppe Borsella Sacerdote, e Fra’ Venanzio Fracassi, Suddiacono, a noi ed a Testimoni ben cogniti, hanno dichiarato: 1° Che questo Monistero prima della soppressione avvenuta durante l’occupazione militare possedeva da secoli una tenuta dell’estensione di tomoli quarantadue nel tenimento si questo Comune in contrada Pesco Corvo. 2° Che questo medesimo comprensorio nel milleottocentoventuno, allorché per sovrana determinazione e munificenza fu questo Monistero ripristinato, fra gli altri beni assegnati in dotazione dall’alta Commissione Esecutrice del Concordato vi fu anche il fondo indicato alla detta Contrada. 3° Che trovandosi 167 - un Territorio di tomuli sei, nel luogo d.o la Sala a Peschio della Volpe,…; - un’altro Territorio di tt.a quarantadue nel luogo d.o Uomo morto, e Serra di Castropignano, di Fossaceca, strada publica, ed altri,…; - un’altro Territorio di tt.a ventitre, nel luogo d.o Lame Rosse, e Morge del Gesso,…; - un’altro Territorio di tt.a sei à Colle pizzuto, Fossaceca, e beni della Camera Marchesale,…; - un’altro Territorio di tomuli quarantadue nel luogo d.o Peschio Corvo; - un’altro Territorio di tt.a dodeci, nel luogo d.o Fonte Falcione, e fonte di S. Sconcio,… E non sembra essere cosa da tenere in scarsa considerazione la ‘dotazione’ di una siffatta notevole estensione di terreno, specialmente se riferita ad un periodo, il primo decennio del ‘300, in cui la congiuntura economico-demografica costringeva gli “homines de limosano” a recarsi a lavorare “terras in castro sancti Angeli, ferrarii, Cascapere, …, et castellucij” e ad andare “per lignas ad silvas montisagani, ad silvas Triventi, ad silvas petrelle”, dove anche vi “ducebant animalia” per il pascolo. E mentre tale sembra essere stato a Limosano il contesto politico-economico, in cui si inseriva il Convento per i frati minori di S. Francesco, occorre considerare anche un reale problema di natura storica. Quali, cioè, furono allora le motivazioni che portarono ad individuare nel sito, in cui ancora posiziona, il luogo dove costruire la ‘fabbrica’ del complesso conventuale? Se non una ‘vera’ risposta a tale interrogativo, quantomeno utili elementi per formulare una ipotesi di studio viene dal già citato 282 brano: "...In molti luochi fundati li centinaia d'anni prima che questa santa Religione (= dei frati cappuccini) havesse origine, si vedeno in esse depinte le figure del nostro Padre san Francesco,... Del che chiaro testimonio ne dà primo una figura di esso Padre nostro depinta nell'antico vescovado della destrutta città dell'homini sani, alias Musane, così registrata nella porta enea dell'arcivescovado di Benevento,..., la quale chiesa hoggi è posseduta da padri Conventuali, apparendo nel choro di essa una simile imagine di un san Francesco, con capuccio e corda come di sopra". Più che in un ‘convento’, la riproduzione della “figura depinta” del “Padre san Francesco”, che, così come lascia intendere la parola “primo”, ancora (ma da quando?) anteriormente al 1615 doveva risultare la più fedele di tante altre, viene, in modo del tutto singolare, detta trovarsi “nell'antico vescovado della destrutta città dell'homini sani, alias Musane”. E che, poi, tale “antico vescovado” debba farsi coincidere con la stessa chiesa del ‘convento’ o con qualche istituzione religiosa situata in quel luogo ancor prima della costruzione del complesso monastico francescano sembra potersi desumere dal fatto che il testo fa chiaro riferimento a quella chiesa, “la quale chiesa hoggi è posseduta da padri Conventuali”. aggregato all’Amministrazione Comunale, fu tentata la via di conciliazione avanti il Consiglio d’Intendenza per la restituzione, ma invano.”. 282 IASENZANIRO M. e BORRACCINO R., CHRONICHETTA de Frati Minori Cappuccini della Provincia di S. Angelo di Puglia... cit. (v. nota 47 del I Capitolo), pag. 100. 168 Chiesa di S. Francesco: Portale. Insomma, per una ricostruzione quanto più possibile la più corretta, quale il significato da attribuire a quella evidente contrapposizione, usata dal cronista, tra l’espressione “antico vescovado” e l’avverbio ‘hoggi’? Che senso e, soprattutto, che ruoli e funzioni storiche sono da assegnare a quell’antico vescovado, probabilmente situato proprio in quel preciso luogo già da prima della edificazione del Convento? E, poi, come spiegare la presenza, sempre “in detta Chiesa” ed ancora, come si sta per vedere, verso la fine del XVII secolo, della “Catedra, ò sia la sedia dell’antico Vescovo…”, della “sepoltura delli Vescovi morti” e di alcuni “cappelli” di vescovi appesi al suo soffitto? Il ruolo, anche se non la progressione nei tempi, di ‘vescovado’, svolto dal Convento, emerge con chiarezza dalla seguente “Fides publica per Mag.cum Dominicum Amoroso Terre li=Musanorum…” del 19 Aprile 1755 283 , ma che documenta di situazioni e di fatti da riferire nel tempo agli anni intorno al 1680. 283 ASC, Fondo AMOROSO, Not. Amoroso Francesco Antonio, atto del 19 Aprile 1755. 169 “In publico Testimonio costituito il Mag.co Domenico Amoroso Reg.o Giudice à contratti di detta Terra, di sua età di anni novantatre in circa, come ha detto, e dal suo aspetto apparisce, il q.le spontaneamente have asserito alla presenza nostra, come in tempo della sua figliolanza, e poteva allora essere da circa sedeci anni, allora, che il Convento, ora di San Francesco della med.a Terra non veniva abitato da Monaci, ma stava senza nessuno, habitava in detto Convento il Sacerdote q. Lionardo Giancola della stessa sud.a Terra, il quale teneva le Chiavi, ed aveva Cura della Chiesa, e di tutta l’abitaz.ne, ed affittava li fundici di sotto, che erano due, à Cittadini, e detto Don Lionardo teneva molti scolari, e faceva scuola nella Cucina, che stava come si sale la gradinata del dormitorio, e tra l’altri scolari vi era esso Costituto, il q.m Don Giovanni Battista Sabetta, il q.m Don Gaetano Covatta, Domenico Sabetta Fratello del detto q.m Don Giovanni Battista, il q.m Simone, e Nunzio di Luca Figli del q.m Domenico di Luca, ed altri Cittadini, e coll’occasione di andare mattina, e sera colà alla scuola, per ordine di detto q.m Don Lionardo Giancola Maestro, andavano, quando venivano comandati, a sonare le campane, che ivi stavano, ed una volta, sonando con detti suoi compagni scolari ad esso Costituto se li rivoltò la fune nel collo, e lo alzò fino alli travi del Pesolo, e cadde in terra avanti la porta minore della Chiesa che usciva al Chiostro, la quale oggi è rifabricata, e q.lla fune li rovinò il collo; e con tale continuazione, sa benis.mo, ha conosciuto, e veduti in detta Chiesa, che vi erano quantità di altari per tutte le mura, le q.li poi li fece levare la buon Anima del Cardinale Orsini Arcivescovo di Benevento, e soli trè ce ne fece restare, come si vedono oggi; ed in detta Chiesa, sa benissimo, ci ha conosciuto, veduto, e toccato con le sue mani la Catedra, ò sia la sedia dell’antico Vescovo, con la sua Cupola, e Crocetta sopra, tutta lavorata, scorniciata, intagliata, ed indorata, fatta ad otto angoli, e stava sotto l’Arco della Sagristia sopra la Sepoltura delli Vescovi morti, avanti al q.le arco, vi era un parapetto di pietra, alto da circa tre palmi, ed esso Costituto, con l’altri scolari suoi compagni, quando non erano veduti dal Maestro, andavano a mettersi dentro detta sedia, e sotto detta cupola; ma poi essendo venuti li Monaci in detto Convento, ed il primo Guardiano fù Fra’ Francesco Mancinelli d’Agnone, e quello fece fare Religiosi dello Stesso Convento quali qq.m Fra’ Domenico Giancola Fra’ Giovan Battista Covatta, e Fra’ Francesco d’Amico, ed arrivati questi, posero in polito la Chiesa, e fra l’altri, la prima volta, che fù Guardiano Fra’ Francesco d’Amico, essendo esso Costituto cresciuto in età, ed avendo imparata l’arte del Mastro d’ascia, li fece guastare quel parapetto, che stava nell’Arco della Sagristia avanti la Sepoltura de Vescovi morti, e ci fece fare adattatamente un armadio, che serviva per le suppelletili della Chiesa di detto Convento, ed allora, che si fece guastare detto parapetto, per accomodarci detto armadio, con che detto Fra’ Francesco d’Amico li disse, che quella era la sepoltura delli Vescovi antichi, e detto Fra’ Francesco, per potervi accomodare detto armadio, lo fece mattonare per sopra, e tutti li Vecchi del Paese dicevano, che quella era la Sepoltura de Vescovi; ed ha soggionto che la porta, e facciata avanti della Chiesa di detto Convento, come presentemente si vede tutta di pietre lavorate fine, con cornicioni, colonnette, e lioncini dimostra essere porta di Vescovato, anzi sopra la finitora di detta porta, sopra il cornicione vi era un Angiolo grande di pietra ben fatto, che faceva cima, con un incensiero di pietra in mano, e lo detto primo Guardiano Mancinelli lo fece levare, perché, non lo sa, et ita juravit, tactis”. Ed il ruolo di “vescovado” risulta, se possibile, ancora più evidente dalla riportata (V. nota 51 al Cap. 1°) “Captio possessionis”, del 11 Ottobre 1753, della già Cattedrale di S. Maria, dove si legge che “Nell’Inventario de beni dell’insigne convento de Minori Conventuali di San Francesco di q.sta sud.a antica Città de li=Musani, formato dalla Corte locale d’ordine Regio l’anno 1724, si fa menzione, e si rapportano in q.lla Chiesa, la Sepoltura de Vescovi di li=Musani, ed i loro Cappelli, al numero di trè, appesi nel cielo della 170 Chiesa, come anche l’effigie del Vescovo scolpita di rilievo in marmo sopra l’Arco dell’Altare Maggiore, che oggigiorno si vede, e vi sono ancora Cittadini di lunga età, che l’attestano, trà quali il Regio Giudice à contratti Domenico Amoroso di anni novantacinque in circa, e freschi ancora, come è il Mag.co Raffaele Giancola d’anni cinquanta in circa, ed altri Cittadini, che han veduto d.i Cappelli appesi in d.a Chiesa del sud.o Convento, quali Cappelli poi imprudentemente furono tolti da un certo Rev.do Padre Mancinelli d’Agnone, che fù Guardiano di d.o Convento, il quale Mancinelli tolse ancora dalla bella prospettiva di fuori di d.a Chiesa, tutta di pietre ben lavorate, e ben connesse all’antica, un grosso e magnifico Angiolo di pietra di rilievo, magnificamente scolpito all’antica, che faciva cima, e corona sopra al cornicione grande ultimo, alla Magnifica, e mai veduta porta di d.a Chiesa, tutta lavorata con colonne di pietre angolate, e colonnette intorno con certe di rilievo, cagnolini, e fogliami concavi mai veduti”. A questo punto alcune domande: Perché, dopo che già Fra’ Francesco Mancinelli da Agnone, Guardiano (e, pertanto, esponente delle istituzioni), appena si riapre (dopo la chiusura seguita all’inchiesta innocenziana) il Convento, ‘fece levare’ la scultura di “un grosso e magnifico Angiolo grande di pietra ben fatto, magnificamente scolpito all’antica che faceva cima, con un incensiero di pietra in mano”, pure il gruppo dei frati limosanesi suoi ‘discepoli’, “arrivati questi, posero in polito la Chiesa”? Era quella di distruggere e di coprire (“ci fece fare adattatamente un armadio”) le testimonianze antiche una iniziativa decisa ‘in loco’ o, per il fatto che viene affidata a limosanesi, probabile frutto di ‘ordini’ che venivano dall’alto? Quali e quanto gravi le cose da rimuovere, se è vero che anche “la buon Anima del Cardinale Orsini” intervenne per far “levare” la grande “quantità di altari per tutte le mura,…, e soli trè ce ne fece restare”? E, poi, quale il valore ‘storico’ da assegnare all’espressione “posero in polito la Chiesa”? E, se si operò con interventi modificativi persino sulle strutture architettoniche ed artistiche, potrebbe essere mai possibile che in quell’occasione non vennero distrutti o falsificati i documenti cartacei e di archivio? Certo è che ora altro non resta che la sola possibilità di avanzare delle ipotesi. O, meglio e più precisamente, delle supposizioni e delle congetture. Sulla maggiore o minore antichità di quel vescovado, del quale il ‘convento’, sembra, abbia occupato la ‘fabbrica’ ed il ruolo. Sulla funzione ‘storica’ di quel “vescovado della destrutta città dell’homini sani, alias Musane”. Ed, infine, sul perché gli stessi frati “posero in polito la Chiesa” ed il Convento, che “in una delle prime Costituzioni dell’Ordine… viene ricordato accanto a quelli siti nelle più importanti città d’Italia” 284 . 284 ASCL, B. 28, f. 188, AMOROSO Gaetano, Relazione circa le condizioni del Convento dei Minori Conventuali e della Chiesa di S. Francesco d’Assisi esistenti in Limosano. Trattasi di una ‘relazione’, appunto, di appena sette pagine dattiloscritte, con cui si riscontrava una richiesta, datata 27 Ottobre 1924, da parte della Regia Soprintendenza dell’arte medioevale e moderna al Sindaco di Limosano tesa ad ottenere un rapporto sull’importanza storico-artistica del complesso conventuale limosanese. 171 Chiesa di S. Francesco, Sagrestia: Pietra con la data MCCCX (1310), da riferire alla presumibile richiesta di un convento di francescani da parte dei ‘particulari’ della “Terra Li=Musani”. Ma, per essere, con più di qualche probabilità, non lontani dal vero, non bisognerebbe forse dimenticare il fatto che a Limosano la ‘angioinizzazione’ (e, con essa, le innegabili radicali e profonde trasformazioni del tessuto sociale, economico ed edilizio) ha inizio da quando “Die XXVI martii XIII ind. (1270) apud Capuam. Concessum est Adenulfo filio Johannis Comitis, Romanorum Proconsulis, et heredibus suis, etc., castrum Limosani, pro unc. LXXX <Reg. 7, f. 49> (= nel giorno 26 del marzo 1270 da Capua. Viene concesso ad Adenolfo, figlio di Giovanni, Conte, Proconsole dei Romani, ed ai suoi eredi, etc., il ‘castrum’ di Limosano per 80 once” 285 . Cosa e, soprattutto, chi si nasconde dietro quella espressione? Un alto esponente forse della gerarchia della Chiesa? Ed in che cosa, infine, sono consistiti nella realtà limosanese gli interventi imposti dalla angioinizzazione? Dopo l’immediato, quanto ovvio, ‘placet’ di Re Roberto alla bolla pontificia, “nell’anno successivo, come le memorie ci hanno tramandato, ebbe inizio la costruzione della Chiesa e del Convento che fa un corpo solo con questa” 286 . Anche i documentati ed autorevoli ‘Annales Minorum’ del P. Lucas Wadding confermano che “il Convento Francescano di Limosano è sorto nel 1313”. Ed oltre che dal Wadding, anche dal fondamentale studio, più recente, del Golubovich risulta evidente che la Provincia di S. Angelo, sempre formata da quattro ‘Custodie’, mentre nella ‘Serie Spagnola’ (1263-1270), nella ‘Serie Anglicana’ (1290), nella ‘Serie Sassone’ (c.1300) e nella ‘Serie del Capitolo Generale di Napoli’ (1316) comprendeva solo 22 luoghi (e questi 285 Registri della Cancelleria Angioina, editi (in 21 volumi) dall’Accademia Pontaniana di Napoli a partire dal 1950, Vol. II, pag. 252, N. 64. Nel Vol. VIII, pag. 12, N. 73, si legge: “Adenulfo, f(ilio). Johannis Comitis de Urbe”. E nel Vol. XIV, pag. 145, N. 93, si riporta: “Concedit Adenulfo de Comite de Urbe… castrum Limosani in Justitiariatu Terre Laboris in donum”. 286 AMOROSO G., Relazione… (v. nota 7). 172 non sono mai indicati e specificati) di conventi francescani maschili, “nella ‘Serie di fr. Paolino da Venezia’ (1334-1344) detta Polichronicon o Provinciale Ordinis Fratrum Minorum comprende : 4 Custodie e 29 luoghi (a). In quest’ultima serie, a differenza delle altre, vengono, per la prima volta designate anche le località dove sorgono i luoghi. Ecco il testo della Serie di fr. Paolino da Venezia, che riportiamo dagli ‘Annales Fratrum Minorum’ del Wadding (b): Provincia S. Angeli habet quatuor Custodias: Custodia Comitatus (= del Contado di Molise) habet: 1. Iserniae Isernia 2. Venafri Venafro 3. Boiani Boiano 4. Campibassi Campobasso 5. Angloni Agnone 6. Limosani Download 5.01 Kb. Do'stlaringiz bilan baham: |
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