Francesco bozza
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- … una buona porz.ne del celizio, seu abbito di S. Pietro Celestino
- Inventarium
- 4.4 – Il patrimonio e la vita monastica
- S. Maria della Libera Grancia de Padri Celestini
Poison…”. Assai probabilmente dopo di quest’ultimo, fu molto presente ed attivo, e per un periodo di tempo discretamente lungo tra gli anni 50 e 60 del secolo XVIII, “F. Michelangelo dè Rinaldis laico dell’ordine de Celestini”. Ciò sia per ‘curare’ le cose del Monastero di Limosano che, quale “Procuratore Generale del Rev.do Sig. D. Domenico Albrizio Abate di S. Caterina di Benevento, e di S. Maria Faifoli sistente nelle pertinenze di detta T.ra di Montagano”, quelle della “Badia di S.ta Maria Faifoli” 270 . La presenza di questi ‘incaricati’ a Limosano non servì, tuttavia, ad evitare le spoliazioni e gli attacchi sferrati con violenza da interessi privati, i più diversi e diversificati. Persino le ‘reliquie’, che alcuni elementi fanno ritenere qualitativamente e quantitativamente di notevole importanza, vennero fatte oggetto di appropriazioni, più o meno meschine, da parte di esponenti ecclesiastici e, forse, non. Tutto questo perché non è proprio possibile non dare il credito che merita alla presenza di “… una buona porz.ne del celizio, seu abbito di S. Pietro Celestino”, documentata dall’Inventarium omnium bonorum Archipresbiteri Cosmatis Bussi 268 La presenza di soli tre ‘Sacerdotes’ parrebbe dimostrare che anche il Monastero di Campobasso fosse entrato in una crisi seria e grave. Ciò, specialmente se si pensa al fatto che solo trent’anni prima (24 Settembre 1686) vi stanziavano i: “R.di P.P. D. Placido dè Vito ad pr.ns Priore Venerabilis Monasterij Sancte Marie dè Libera Ordinis Celestinorum d.e Terre, D. Joanne Bapta dè Martinis dà Benevento, D. Ilario Massaini, et D. Julio Roacci Romanis Sacerdotibus, et P. Fr. Petro à Melficto oblato P.P. de familia in d.o Ven.li Monasterio…”. 269 APL, Stato delle Anime. 270 ASC, Archivio privato Janigro, B. 16, f. 25. Riportiamo, per la conoscenza di usi e costumanze, il testo di un documento del 20 Febbraio 1748: “Alla richiesta di Caietano Galuppo della T.ra di Montagano… avendo comprato una vigna dà Giuseppe Michele, sita e posta nelle pertinenze di d.a T.ra nel luogo dove si dice Faifoli renditizia alla sua Badia di S.ta Maria Faifoli,… di prestare… il suo Assenzo, e beneplacito, offerendo a Vs. Rev.ma per il laudemio se li deve carlini trenta… ‘Si concede licenza al supplicante di stipulare le dovute cautele con accettarsi il Laudemio di carlini 30 con donargli il di più che spetterebbe alla chiesa con patto però che le spese di strumento, e copia per la chiesa vadino a conto del supplicante. Limosani 17 ottobre 1747 Jo D. Gennaro della Vipera vicario Per il strumento da stipularsi per parte della Chiesa vi sia presente Fra MichelAngelo de Rinaldis, come amministratore di detta chiesa”. 154 (nota: defunto il giorno prima) Terre liMusanorum Pro Ven.le Cappelle Sanctis.mi Rosarij ac S. Francisci Xaverij affate Terre, del 1 Agosto 1742 per il Notaio Jamonaco Michele Silvestro (v. ASC) della piazza di Limosano. Era essa la stessa che, come risulta nell’Inventarium del 1712-1713, “la sudetta Chiesa (= di S. Maria) tiene conservate in Sagrestia” e che così viene descritta: “Due cassette antiche, in una delle quali vi è un’abito ruvido di color biancaccio con’uno cappuccio, quale per antica tradizione e dicesi esser di S.n Pietro Celestino”? E, se sì, quale giro aveva compiuto? E per quali interessi? In quanto riesce a soddisfare curiosità ed interesse, riportiamo la descrizione delle ‘altre’ reliquie, allora e con quella, conservate nella Sacrestia della Chiesa di S. Maria: “In’un’altra si conserva un Breviario antico scritto à mano in Carta pergameno con veste di ricamo antico che parimente s’asserisce esser dello stesso Santo. - Un Coltello con manico di legno, col quale dicono che fusse stato scorticato il glorioso Apostolo S.n Bartolomeo”. Ed inoltre venivano ancora custodite, con cura e forse con una certa gelosia, le seguenti testimonianze, tenute ben distinte (lo si noti) dalle ‘reliquie’ celestiniane, della ‘antica’ diocesi ‘Musanesem S. Mariae”: - Un manipolo Vescovile antico di velluto rosso. - Una Stola all’antica Vescovile rossa di seta fatta in f.a fascia con molti lacci di seta. - Una Testa di Pastorale Vescovile d’avolio. - Due Nistre di drappo bianco antico fatte in f.a di berette colle sue infole pendenti. Dovettero essere proprio quelle interferenze esterne le motivazioni, vere e reali, che spinsero successivamente Campobasso a non limitarsi solo ad amministrare il patrimonio della ‘Grancia’ di Limosano, ma a privarla con decisione di tutto quanto vi rimaneva e, con calcolo freddo e cinico, della sua memoria e dell’intero suo modo di essere. Lo prova quanto ‘raccontato’ dall’atto, in ASC, del 30 Maggio 1789, che trascriviamo: “Personalmente costituiti alla nostra p.nza Giorgio Marcantonio, Andrea Piciucco, Clemente di Cristofaro, e Dom.co Donatelli attuali Governanti di questa sud.a Terra di Limosani, li quali spontan.te non per forza mediante il loro giuramento toccata la carta hanno asserito aver preinteso, come jeri ventinove del caminante Mese di Maggio si portò in q.sta sud.a Terra nella Chiesa di S. Maria della Libera il Padre Vicario dè Celestini della Città di Campobasso D. Michele Rota verso le ore dieciotto in dieciannove, tempo in cui le genti stavano tutti occupati, e colà giunto si fece chiamare l’Eremita Giuseppe Angelilli, ed in p.nza dello stesso si prese la corona d’argento in testa dell’imagine della Beata Vergine, e la veste di drappo che la covriva; come pure ritagliò il panno di drappo più d’un palmo che eravi avanti, dove la d.a Imagine si conservava, con restare l’Imagine sud.a spogliata, e sul nudo pavimento della Chiesa, ordinando ancora al nominato Eremita, che gli avesse rimesso per il Procacciolo di quest’anzid.a Terra tutti i candelieri d’ottone, che lui conservava, volendo insiemamente sapere chi avesse conservato l’anello d’oro della Vergine; per cui gli fu risposto rattrovarsi in potere del P. Maestro Fra Giacinto Corvinelli dè minori Conventuali, e nell’atto che tutto questo stava facendo, q.lle donne villane che vi ci si portava, li mandava via dalla Chiesa, dicendo siete curiose andate in vostra casa, forse per non far vedere le sue male procedure. Come infatti Noi Regio Notaro, regio Giudice a Contratti e Testimoni a rich.a di d.i Mag.ci Governanti, e colla loro assistenza essendoci sopra la faccia del luogo conferiti, abbiam già ritrovato il tutto avverato, ed hanno essi costituti asserito volerne di tale attentato tenere ricorso à legittimi Superiori, come pure alla Maestà del n.ro Sovrano, che Dio sempre feliciti, e così hanno giurato in f.a.” 271 . 271 Sulla figura degli eremiti, assai numerosi almeno verso la fine del XVIII secolo anche se erano di antica tradizione, rimasti a ‘mantenere’ le antiche badie registriamo la seguente dichiarazione del 28 Aprile 1784 155 E così, dopo che, se si fa salva la presenza di qualche inserviente ‘eremita’, se ne erano partiti i ‘monachi’ facendo scadere a semplice grancia il complesso monastico limosanese e dopo che, brutalmente ed irrimediabilmente, vennero portati via i tesori religiosi del sacro, altro non rimaneva che il considerevole patrimonio fondiario del già “Venerabilis Monasterij Monasterij S.te Marie de Libera et S.ti Petri Celestini”, sulla cui elencazione, dopo la soppressione dell’ordine, esistevano dubbi e perplessità consistenti. Lo dimostra quella lettera, del 6 Marzo 1807, con la quale il “Giu.e di Ripalimosani al Sig.r Intend.e del Contado di Molise” 272 così comunicava: “… manca quello di q.sto Comuni, mentre gli Am.ri non han ancora terminato la liquidaz.e de’ possessori de’ cap.li censi, e Terreni, che qui posseggono d.i PP. per mancanza della Platea. Per questo motivo dalla Fede della Comune di Limusani non si vedono individuati i possessori de’ capit.li censi, e Terreni di d.i Padri. La ‘fede’, cui si accennava, era la seguente: “In esecuz.ne degli ordini pervenuteci Facciamo piena, e legale fede noi qui sotto, e croce seg.ti amm.ri di questa Antica Città di Limosano in contado di Molise, qualm.te avendo riscontrato per mezzo del nostro ord.o Cancelliere il libro collegiale dell’anno 1755 generale in esso si è rivelato che li Padri Celestini di Campobasso, sotto il titolo di S. Maria della Libera posseggono in questo tenimento circa 362 tomoli di territorj coltivatorj, escluse alcune vigne che non si nominano in d.o catasto. Come anche nel borgo di quest’antica Città esiste una Chiesa, con un romitaggio di sette stanzioline, ed un orto contiguo appartenentino anche alli sud.i Padri Celestini. Non possiamo attestare le confinazioni de’ terreni, e le persone che tengono d.i terreni a coltura, ne li cap.li, perche a noi manca l’inventario, e la platea che si posseggono dal Priore de Celestini in Campobasso che per la verità si fa fede. Limosano 3 Marzo 1807 + S.C. di me Saverio Bonadie Sindaco S.N. + S.C. di me Giorgio Piciucco eletto S.N. + S.C. di me Gioacchino Jamonaco eletto S.N. + S.C. di me Simone del Gobbo eletto S.N. Luigi Sebastiano eletto Daniele Fracassi cancelliere”. “I Governanti della Comune di Santangelo Limosani” qualche giorno prima (28 Febbraio) avevano da parte loro attestato che “la Grancia di S. Maria della Libera dè Padri Celestini esistente nella vicina Terra di Limosani possiede li seguenti beni stabili (per complessivi 21 tomoli): - un territorio colonico di tomoli uno, e mezzo nel luogo detto Fonte del Bove,… - un altro territorio di tomoli due c.a nello p.to luogo di Fonte del Bove,… - tomoli quattro e mezzo di territorio nel luogo detto Pozzonero,… - un tomolo coltivatorio e c.a tre altri incolti nel luogo detto la Selva,… - un terri.o di tomolo uno, e mezzo nella Fonte del Bove,… - tom.i due e mezzo alla fonte di S. Pietro… - nel posto del med.o posseggono altri tom.i due,… - tomoli tre di terra alla fonte di S Pietro…”. Qualche anno più tardi, era appena il 1809, per “la grancia sita nelle Com.i di Limosani e di S. Angelo Limosani composta di territorj seminatorj di circa moggia quattrocento quarantacinque e quarti tre” furono offerti 1500 ducati dal Sig.r Zurlo di Campobasso e 1550 riguardante S. Maria di Faifoli. “Francesco Jannitto alias Caruso” dichiara e dice: “Jo dapiù di venti anni addietro a questa parte fò l’Eremito nella Chiesa di S. Maria a Faifoli,…, vicino alla contrada appellata la vigna dell’Abbate…”. 272 ASC, Monasteri soppressi, B. 10, f. 77. 156 ducati dal Sig.r De Nigris di Campobasso, il quale, perché aveva fatto l’offerta più consistente e vantaggiosa, ne rimase l’aggiudicatario 273 . Da allora più nulla, se non il lento, quanto irrimediabile ed inesorabile, declino, rimase dell’antico Monastero. I tempi ‘nuovi’ della storia avevano fatto di tutto perché ciò accadesse. Ed accadde. Difatti, nel 1859, “il costituto Signor Tata (era il ‘Signor D. Michele Tata fu Pasqualino in qualità di Sindaco’)… ha dichiarato che dovendosi terminare la già incominciata opera di quel Camposanto, necessita al Comune l’occupazione del suolo di una Cappella, e di due ruderi pertinenti alla Mensa Vescovile di Bojano. E che a tal uopo avendone dimandato all’altro costituto Monsignor Vescovo (era ‘l’illustrissimo D. Lorenzo Moffa fu D. Felice Monsignor Vescovo di Bojano’), se voleva cedere al Comune i detti suolo, e ruderi mediante un’annua rendita, il predetto Vescovo vi ha aderito, e si è venuto alla stipula del presente atto, con cui si è stabilito: 1. Il suolo della Cappella e i due ruderi di pertinenza della Mensa Vescovile di Bojano (cui erano passati al momento della soppressione) vengono ceduti al Comune di Limosano mediante il prezzo di ducati venti. 2. La detta somma… secondo il Real rescritto de’ quattro Settembre mille ottocento cinquantasette,…, rimane presso il Comune medesimo impiegata a costituzione di annua rendita perpetua al cinque per cento, con l’obbligo di corrispondere al Vescovo pro tempore un ducato l’anno” 274 . La parola ‘ruderi’ e l’esiguità della somma lasciano ben trasparire sia il completo stato di abbandono che il ridotto dimensionamento del complesso, cui si era pervenuti. 4.4 – Il patrimonio e la vita monastica Delle attività del patrimonio fondiario, che un tempo, se sembra non certo trascurabile già quello desumibile dalla unica descrizione disponibile, databile a circa un novantennio dopo la partenza dei ‘monachi’, dovette essere assai considerevole, di “S. Maria della Libera Grancia de Padri Celestini” di Limosano una puntuale elencazione è quella del ‘Catasto Onciario’ del 1743 275 . Se ne riportano gli elementi essenziali. “Jo qui sotto D. Filiberto Gorgonio Priore de V.nle Monastero di S. Maria della Libera di q.sta Città di Campobasso della Congregazione de Celestini dell’ordine di S. Benedetto, in esecuzione degl’ordini emanati à tenore del concordato, tra la S. Sede della M.a del Rè Nostro Sig.re, Dio guardi con quell’esattezza, e puntualità, che si deve, rivelo tutti gl’effetti, che possiede d.a Grancia in questa Terra di Limusani, e sono li seguenti: - Un pezzo di Territorio di tt.la sei, nel luogo d.o Valle fieno…; - Un’altro Territorio di tt.la venti, nel luogo d.o lo Stallone…; questo Territ.o non si sa il luogo, e non si è chiarificato; - Un’altro Territorio di tt.la dieci, nel luogo d.o Colleceraseto…; d.o Territ.o stà in contesa…; - Un pezzo Territorio di tt.la quaranta nel luogo d.o serra Manginola, dentro la Sala, conf.a beni della Terra di Fossaceca, beni del Convento di S. Franc.o e beni della Camera Marchesale…; - Un’altro Territorio di tt.la dieci, nel luogo d.o Collefranco…; - Un’altro Territorio di tt.la dodeci nel luogo d.o Peschio Martino,…; 273 ASC, Monasteri soppressi, B. 10, f. 78. 274 ASC, Protocolli notarili, Not. Fracassi Aquino, originario di Limosano, della piazza di S. Angelo, atto del 1 Febbraio 1859. 275 ACL, Catasto Onciario, B. 1, f. 1. 157 - Un’altro Territorio di tt.la due, e mezzo nel luogo d.o Fonte Ciferno…; - Item un’altro Territorio di tt.la sei nel d.o luogo, sono uniti con li tt.la due di sopra; - Un’altro pezzo di Territorio in tre corpi di tt.la diecinove, nel luogo d.o Pagliarello, e fonte della noce,…, con quattro querce, e trentacinque bisceglie…; - Un’altro pezzo di Territorio di tt.la ottanta, nel luogo d.o la Vannara, conf.a con la Fiumara, …; - Un’altro Territorio di tt.la dodeci nel luogo d.o li Spinilli, conf.a strada publica delli Forastieri,…, Grattavone,…; - Un’altro Territorio di tt.la quindeci, nel luogo d.o primo colle incluse alcune vigne…; - Un’altro Territorio di tt.la sessanta, nel luogo d.o l’Acqua Salemma, e Macchie di S. Justa…; - Un’altro Territorio nel luogo d.o piano del Vicario, e morge tomassiello di tt.la dieci, conf.a col Vallone della Valle,…; - Un altro pezzo di Territorio di tt.la cinque con querce nel luogo d.o La Valle,…; - Un’altro Territorio di tt.la sei, nel luogo d.o la Fontenova e Morge Tomassiello,…; - Un’altro Territorio di tt.la otto, nel luogo d.o Pietra di Pillo, e Pozzo piloja,…; - Un altro pezzo di Territorio di tt.la quindeci, nel luogo d.o Macchie dell’Amendole,…; - Un’altro Territorio di tt.la dieci, nel luogo d.o le Macchie delle Ciaole,…; - Un’altro Territorio di tt.la tre nel luogo d.o lo Vallone della Valle, questo Territorio si deve chiarificare; - Un’altro Territorio di tt.la tre, nel luogo d.o li Patrisi,…, stimato non vi è rendita. - Un Territ.o di vigna diruta di tt.la due,…, stimato non vi è rendita. - Un’altro Territorio di tt.la cinquanta, nel luogo d.o le Macchie delli Porrazzi,…, con piedi d’olive, querce, e bisceglie,…; - Un’altro Territorio di tt.la dieci con querce, et olive,, nel luogo d.o La Valle, e Terriera…; - Un’altro Territorio di tt.la nove, con querce, nel luogo d.o li Tufilli…; - Un’altro Territorio di tt.la trenta, nel luogo d.o S. Vettorino,…, con due querce,…; - Un’altro Territorio di tt.la uno, e mezzo, nel luogo d.o passo di Campobasso, questo Territ.o stà nell’Inventario senza spiegar li confini, e non si sa dove sia; - Un’altro Territorio di tt.la sei, nel luogo d.o pozzo Piloja…; - Possiede un’Orto nel luogo d.o S. Maria della Libera, e Fonte salsa, di tt.la uno…; - Un’altro Orto dietro le Case, quest’Orto non li possiede, se li deve vedere con li Covatta; - Un’altro Orto sotto le ripe di Zullo, quest’Orto deve verificarsi, che lo possiede, stante non si sa; - Un Territ.o di tt.la due, nel luogo d.o la Foresta, con piedi d’olive…; - Un’Orticello nel luogo d.o S. Martino,…, questo deve chiarificarsi il luogo, e li confini; - Un Territorio di tt.la quattro, nel luogo d.o S. Maria della Libera, e Macchia di Majella, conf.a con la Via publica, Macchia di Majella,…; - Una Casa nella strada publica, che và per la Terra, ad alto, qual casa non si sa quale sia per l’antichità; - Un’altra Casa nella piazza delli Focini, questa casa, ne tam poco si sa per l’antichità; - Un’altra Casa nella d.a strada…; - Uno Bottale, nel luogo d.o sotto le Botteghe…;”. Del patrimonio edilizio è da notarsi la triste ed evidente fatiscenza, che lo faceva di molto antico; al contrario, l’estensione complessiva di quello fondiario, ammontante a circa 470 tomoli di terreno, lo rendeva ancora discretamente cospicuo, specie laddove si considera che, dopo la partenza dei ‘monachi’ avvenuta all’incirca novanta anni prima della compilazione del ‘Catasto’, esso veniva amministrato da ‘procuratori’ senza scrupoli e, talvolta, da ‘eremiti’ laici. In precedenza, durante i secoli XV, XVI e prima metà del XVII, perché amministrata ‘in 158 loco’ e direttamente dal ‘Prior’, portatore e rappresentante degli interessi diretti, la presenza sul territorio, riferibile al Monastero di Limosano, non poté non essere che, quasi certamente, di parecchio più estesa. Tuttavia, ne sfuggono, per la assoluta mancanza di ogni documentazione specifica, gli elementi utili per disegnarne la reale ed effettiva consistenza. La crescita delle disponibilità patrimoniali dovette risultare costante nel tempo in quanto risultanza di ‘donazioni’ molteplici e diverse. Come quella (25 Giugno 1582) di “Berardino de parrocco, alias cecerchia”, che dona “Venerabili Monasterio S.ti Petri de Majella” ogni suo bene mobile e ‘stabile’. Va qui annotata l’esistenza di una serie di atti donativi, che, a conferma dell’eco raggiunto anche nella provincia molisana e, con essa, a Limosano dalla vicenda di ‘Suor’ Giulia De Marco (v. paragrafo 4.1), sembrerebbe avvalorare ipotesi già esposte in precedenza e che definire sospette è poco. Quella, che riguarda il cenobio limosanese, si ritrova nei protocolli di notai dei centri viciniori al nostro, che interessano il decennio appena seguente all’anno, il 1605, di inizio della vicenda stessa. Proprio quando, cioè (non sfugga la coincidenza), il Monastero prende la titolazione a S. Maria della Libera. Quanto alla organizzazione della vita quotidiana all’interno del Monastero, a quella, classica e consolidata, dell’ora et labora, i ‘monachi’, nel tempo ed adeguandosi ad una esigenza diventata sempre di più consuetudine nelle organizzazioni ecclesiastiche, avevano affiancato l’amministrazione delle crescenti disponibilità fondiarie. In tal modo l’Abbazia da luogo di preghiera con annessa azienda di lavoro per una produzione finalizzata alla sola autosufficienza viene sempre più assumendo il ruolo di un vero e proprio centro economico- finanziario, che riesce a regolare, quando non a condizionare, lo sviluppo della ‘Terra’, nel cui ambito situava, oltre che di quelle limitrofe. Fu quanto più o meno accadde, per le diverse fasi di tale processo di laicalizzazione, e, per una datazione di massima, ci si potrebbe riferire alle epoche dei cambiamenti di titolazione, anche per la vita dentro il Monastero limosanese “de Maiella”. Prima che, durante la diffusione iniziale dell’Ordine nei secoli XIII e XV, la consistenza patrimoniale assumesse una dimensione tale da richiederne una amministrazione diretta, per le istituzioni monastiche, oltre alla immancabile agricoltura, “lo sfruttamento della pastorizia e la lavorazione dei panni di lana divennero ancora più specifici per quelle zone nelle quali già da secoli venivano praticate. …, data la presenza di pascoli ed acque abbondanti (si legga, per Limosano: fiume), si dovette assistere ad un continuo proliferare di gualchiere o valcaturi gestiti sia dalla corte comitale che dagli ordini monastici che basavano le proprie rendite quasi esclusivamente su tali lavorazioni,…” 276 . In seguito ed almeno, cioè, a partire dal XV secolo la gestione ‘parassitaria’ della rendita derivante dal disponibile patrimoniale dovette prendere il sopravvento e diventare la principale occupazione nel monastero. In questa seconda fase, circa la tipologia dei contratti più frequenti, con cui veniva amministrato il patrimonio, sul quale già gravavano le decime, i censi e le prestazioni più diverse, sono da segnalare l’enfiteusi a 29 anni, il terraggio e, diffusa oltre ogni misura, la emptio annuum introitum (compra delle annue entrate). I ‘monachi’ della “religione celestina”, anche se osservavano la Regola di S. Benedetto, avevano la facoltà di confessare e di predicare. La qual cosa li avvicinava ai ‘frati’ degli ordini mendicanti. “A capo dell’Ordine stava l’abate di S. Spirito presso Sulmona, eletto per un triennio (nota: anche l’elezione temporanea e non vitalizia del Superiore generale era caratteristica degli ordini mendicanti) dal Capitolo generale. Gli abati uscenti erano chiamati cooabbates. Tutti gli altri monasteri erano retti da priori fino al 1616, quando Paolo V distinse i monasteri in abbazie (con almeno 12 monaci ed inservienti) e in priorati (con 6 monaci e 276 MUCCILLI O., Presenza monastica nel territorio bojanese – Note Preliminari, in Conoscenze 2 (1986), pag. 12. 159 inservienti). L’abito era una tonaca bianca e cappuccio nero e, per il coro, la cocolla nera. Lo stemma dell’Ordine era una croce sulla cui asta inferiore era una S, qualche volta, specialmente in Francia, affiancata da due fiordalisi” 277 . E’ da pensare che quello di Limosano, per il numero limitato di religiosi e perché i documenti parlano sempre di un ‘Prior’ al vertice dei ‘monachi’ che vi stanziarono, fosse solo un ‘priorato’. Di esso poco o nulla si riesce a cogliere dei rapporti, di ogni e diverso tipo, con le altre case religiose (le più interessate non poterono non essere che le viciniori di Campobasso e di Trivento) dello stesso Ordine. Alla definizione di qualche aspetto saliente non solo degli ambienti ma anche della vita monastica dentro e fuori della casa religiosa (ma di quella di Limosano non si hanno che scarni elementi utili a ridisegnarne la struttura della fabbrica) si rende qui necessario analizzarne alcuni, almeno gli essenziali, punti di riferimento. Le stanzette, le celle, dei monaci dovevano risultare di una semplicità estrema. Possiamo immaginarle dotate di uno studiolo formato da uno scanno in legno e da una ‘banchetta’, anch’essa in legno; vi era presente sempre, magari accanto a qualche figurina con scritte capaci di richiamare il religioso alle regole del buon vivere monastico, una, o anche più di una, croce d’abete. Il letto, talvolta con lenzuola o pezze e talvolta senza, doveva essere quasi certamente di tavole, con un capezzale ed un pagliericcio ricoperto, almeno nei mesi più freddi, con un ‘piumazzo di lana’. Il luogo deputato alla refezione, agli incontri ed alle riunioni per le decisioni da prendersi in comune (i ‘consegli’, i cui verbali venivano riportati in un apposito libro) ed, in modo particolare, quelle concernenti l’amministrazione del patrimonio era il refettorio. Vi ci si ritrovava, di solito al suono di una campanella, al mattino, dopo il canto del ‘mattutino’, per una prima colazione, intorno a mezzogiorno, dopo la recita di ‘sesta’ o ‘nona’, per il pranzo, ed alla sera, dopo l’ora della preghiera che seguiva la ‘compieta’, per la cena. Il rivestimento, almeno in parte (la metà circa inferiore delle pareti), era di tavole. Non vi mancava, posizionato sopra il lato della testa del ‘Priore’, un dipinto, raffigurante, assai probabilmente, l’ultima cena. Forse anche la parte alta delle altre pareti era ricoperta di immagini e di quadri che riproducevano episodi importanti della storia dell’Ordine e della vita del Santo Fondatore. Le mense, con gli scanni, di legno, erano spoglie e disadorne. Il posto del superiore doveva risultare ben definito. Nel locale, sufficientemente ampio, è da presumere vi fosse presente un grosso leggio. A colazione, quando dalla Chiesa si passava al refettorio, i monaci trovavano sulla nuda mensa, già apparecchiato e coperto da un tovagliolino, un pane, bianco e nero in egual misura e senza distinzione per il superiore e gli altri componenti la famiglia religiosa. E’ probabile che il pane fosse accompagnato da qualche companatico (spesso un frutto) e, scarseggiando il pane, da cose ricavate direttamente dai campi e dall’orto. A pranzo, così come a cena, non mancava mai l’acqua; non così il vino, di produzione dei ‘monachi’, che pure doveva essere assai frequente sulle loro mense. Era predisposto sulla mensa dal refettoriere un tovagliolino con un panino o un pezzo di pane ed, in più, una scodella. Ordinariamente veniva servita una minestra ed, a pranzo, una pietanza. La prima consisteva di erbe cotte oppure di legumi e/o di ortaggi, tutti di diretta produzione. Mentre si desinava o, a turno, si leggeva oppure si osservava il silenzio. A refettorio, forse prima delle letture, fatte da tutti i Padri, si diceva dai religiosi pubblicamente la propria colpa al ‘Priore’, ricevendone la correzione o la punizione. 277 OLIGER L., voce “Celestini, Ordine dei”, in Enciclopedia Cattolica, Firenze 1949. 160 Dopo il pranzo e, presumibilmente, anche la mattina, venivano lavate rispettivamente le ciotole adoperate a mezzogiorno ed alla sera. Durante questo impegno, eseguito da un paio dei ‘monachi’ della famiglia religiosa, si recitavano delle preghiere ad alta voce. La ‘libraria’ merita un discorso a parte. Era un locale, di frequentazione comune, utilizzato per la conservazione sia di libri e manoscritti che dei documenti riguardanti l’attività del Monastero. Pur se, ed anche negli ambienti ecclesiastici, la poca diffusione della cultura rendeva non certo facile l’uso generalizzato dei testi, la tradizione benedettina, cui si rifaceva la “religione celestina”, farebbe pensare ad una biblioteca sufficientemente fornita, della quale, però, non è dato conoscerne la consistenza. Il danno arrecato dall’abbandono, verso la metà del XVII secolo, del Monastero di Limosano da parte dei ‘monachi’, con la conseguente dispersione del patrimonio librario, che prese vie diverse ed ora sconosciute, fece sì che di esso nulla ci pervenisse. E, per la conoscenza e per la ricostruzione delle cose celestiniane, le conseguenze furono irrimediabili e gravi. Poiché tutto ciò che occorreva ai monaci veniva, per quanto e come possibile e secondo il dettame della regola benedettina, approntato dagli stessi entro il Monastero la casa religiosa disponeva, oltre la cucina, di diversi servizi indispensabili. Non si poteva fare a meno di tenere un luogo comune con camino per le giornate più fredde dell’inverno, una foresteria per accogliere i poveri del luogo ed i pellegrini, una lavanderia per “lavar le pezze delle istesse camere”, una sartoria-guardaroba per “rappezzar gli habiti e proveder tutta la famiglia di mutande e faccioletti mondi e netti”, forse una calzoleria ed una falegnameria, certamente qualche locale pluriuso (si poteva incontrare chi si impegnava a rivestire fiaschi, a realizzare cesti di vimini oppure a confezionare scope di migliaccio e di saggina) ed occorrente per la conservazione dei materiali e degli attrezzi di lavoro nella zona dell’orto e, più in generale, dei lavori agricoli. Oltre che per il ritrovo, per la distensione e per il ‘labora’ dei ‘monachi’ nell’esercizio dell’agricoltura, l’orto, circoscritto nei periodi iniziali da una semplice siepe (la ‘fratta’) e, col passare degli anni, forse per motivi di sicurezza, da un muro, serviva per i lavori propri del giardinaggio (zappatura o vangatura, posa in sede delle piantine, sarchiatura, innaffiamento) e per gli altri riguardanti la coltura delle piante da frutta e del boschetto. Ovviamente dal giardinaggio si ricavavano le insalate, le verdure ed i legumi; dalle piante la frutta e dal boschetto le frasche e la legna per la cucina ed il camino. Un luogo di importanza primaria per la vita monastica era rappresentato dal coro. Doveva essere situato al piano terra e posto, forse intorno o di fronte all’altare, ad un livello alquanto rialzato rispetto al pavimento della Chiesa. Durante il giorno vi si accedeva “richiamati dal tocco della campana, che intimava il silentio della notte”. Al mattino e di notte, invece, si andava al coro dopo il risveglio procurato dal rumore, poco gradevole, della ‘troccola’. Nel giungervi, i ‘monachi’ prendevano il posto loro assegnato “con compositione e gran silentio” ed aspettavano i segni convenzionali per l’inizio dell’ufficio da parte dell’ebdomadario. La notte, dopo il canto corale del ‘Mattutino’, cui forse si facevano seguire le litanie del Signore, della Madonna e dei Santi, si procedeva al rito della auto-mortificazione della ‘disciplina’. L’ora che apriva la giornata era quella di Prima, seguita dalla messa comune, alla quale assistevano tutti i componenti la famiglia religiosa. Durante il giorno, l’ufficiatura divina era, assai probabilmente, divisa dalla scansione classica delle ore (Prima, Terza, Sesta, Nona) delle Lodi e dei Vespri. La giornata si chiudeva, all’imbrunire, col canto della Compieta. 161 162 CAPITOLO 5° IL CONVENTO FRANCESCANO DEI FRATI MINORI CONVENTUALI 163 164 165 |
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