Francesco bozza
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suis bonis hominibus”, nel 1148 (ottobre) è presente alla ‘concordia’, stipulata a Limosano, 357 La “Commenda di Malta S. Giovanni Gerosolimitano possiede i seguenti beni - Un’Orto d’una misura, nel luogo d.o La Contrada di S. Maria della Libera, e Giardinello, conf.a strada publica, ed altri, cenzuato ad Antonio Greco, e ne corrisponde annui di canone grana cinque. - Un Territ.o di tt.a dieci nel luogo d.o Colle Franco, conf.a strada publica, beni del Convento di S. Francesco, ed altri col canone di Francesco, e Pietro Gio:Cola, e Cosimo Cipriano, e ne corrispondono annui carlini tredeci. - Delli sud.i tt.a dieci, ne tiene à Terratico Domenico, e Cosimo di Matteo tomuli tré, e mezzo. - Un Territorio di tt.a sei con quattro mozzoni d’olive ed una quercia, nella contrada delli Patrisi, e macchie delli Porrazzi, conf.a strada publica, beni d’Innocenzio d’Angelilli, ed altri à Terratico. - Un Territorio di tt.a quattro, e mezzo nel luogo d.o S. Silvestro, e Valle, confina strada pubblica, beni di S. Maria della Libera ed altri, cenzuato à Donato Greco, col canone annui carlini cinque. - Un Territorio di tomuli due, e mezzo, nel sud.o luogo, sta unito con li sudetti tomuli quattro, e mezzo, e stà a Terratico. - Un’altro Territorio di tt.a tré, e misure diece, nel luogo d.o Pagliarello, e Frainini, conf.a beni della Cap.a del SS.mo Rosario, beni del D.r Fisico Niccolò Ramolo, ed altri, cenzuato per vigna al D.r Francesco Covatta, Saverio Gio:Cola, ed altri, col canone di carlini due annui. - Un Territorio di tt.a due, nel luogo d.o S. Illuminata, conf.a beni della Chiesa di S. Stefano, strada vicinale, ed altri à Terratico, con quattro bisceglie. - Un’Orto di misure due nella Contrada di S. Maria della Libera, e d.o anco S. Jacovo, conf.a due lati strade publiche, beni della Chiesa di S. Maria Mag.re, ed altri cenzuato à Niccolò Marcantonio col canone annui grana dieci. - Un Vignale di tt.a tré, con otto piedi d’olive, sette querce e ventiquattro bisceglie, nel luogo d.o Colle Capogrosso, confina strada publica, beni della Cap.a del SS.mo ed altri, cenzuato ad Antonio del Ferraro, col canone di quarti tré di grano annui, che sono carlini quattro, e mezzo. - Un Vignale di tt.a uno, nel luogo d.o La Selvitella, e pozzo dello Chiajo, con sei piedi d’olive, conf.a beni di S. Maria della Libera, beni di S. Maria Mag.re, ed altri, cenzuato per vigna à Raffaele Covatta, col canone annui carlini otto. - Un Vignale di tt.a uno, e mezzo, nel luogo d.o Fonte Vernavera, stà unito con li tt.a dieci à colle Franco , che si tiene dà Pietro Gio:Cola, e ne paga annui di canone grana dieci”. 358 CIARLANTI G.V., Memorie historiche…, III, pag. 222. 234 con Johannes, l’Abbate di S. Sofia di Benevento, riguardante il pagamento di tributi da parte degli uomini del Monastero di S. Angelo in Altissimo 359 . Del resto, e le due cose si confermano a vicenda e rendono più coerente la ricostruzione, anche “nell’anno 1147 Limosano col suo Castellum appartenevano al dominio dei conti di Molise e che qui Ugo II teneva corte” 360 . La continua presenza del “molisianus” Hugo in quel centro la dice lunga sulla importanza che ad esso annetteva e sulla considerazione in cui all’epoca, in quanto “bona terra et melior totae provinciae (beneventanae) excepto boyano”, era tenuto. Del resto, a parte il fatto che, e la cosa ne dimostra l’importanza anche quale centro commerciale, tutti quelli che vogliono “aliquid emere aut vendere accedunt ad terram ipsam et ibi inveniunt quod querunt”, “sunt in dicto castro focularia nongenta et sunt homines habentes incolatum in illo mille quingenti” o, altrove, anche “duomilia” ‘armigeri’. E, sviluppando tali dati, che sono della più volte citata ‘Collect. 61 dell’Archivio Vaticano’, si riesce bene ad ottenere una stima della popolazione tra i quattro ed i cinquemila abitanti, di cui fanno parte “multi boni litterati et nobiles… et triginta logiste et doctoraliste et medici sex tam phisici quam…” , oltre a chi “regit scolas in gramaticalibus”. Il conte Ugo, che nel 1138, forse per ingraziarselo dopo che aveva partecipato ad alcune di quelle ribellioni, di cui è costellata la sua vita, aveva sposato una figlia naturale del re Ruggero II, morì nel 1160 e gran parte, quella centro occidentale con l’alta valle del Biferno, del suo vasto dominio, forse per contenere i tentativi autonomistici della famiglia dei ‘de Molisio’, restò al regio demanio, dal quale l’ebbe a rilevare, nel 1166, Riccardo di Mandra. Di contro, ma da questo momento le ‘carte’ si fanno assai carenti, sembrerebbe probabile che i feudi delle ‘Terre’ e dei ‘castri’ posti ad oriente e nella media valle del fiume e, quindi, anche di Limosano restassero nelle mani dei “molisiani”. Al conte Ugo(ne), nel dominio di questa parte del territorio, “gli succede… il figlio Roberto (a). Non si conosce la data della morte di Roberto, ma dal 1216 egli è ricordato unitamente al figlio Ugone (nota: che dovrebbe essere il secondo per Limosano) quale Connestabile di Sicilia (b). In una concessione dell’aprile del 1225 si dice chiaramente che Ugo(ne) è figlio di Roberto (nos Robbertus et Ugo de Molisii domini… qui sumus pater et filius) (c). Un anno dopo si ricorda solo Ugo(ne) e di Roberto non si parla più” 361 , probabilmente perché defunto. “Fino a quando Ugo(ne) è titolare del feudo di Limosano? Chi gli successe? Ebbe egli eredi? Vendette volontariamente il feudo o ne fu spogliato” 362 durante il periodo degli Svevi, assai oscuro per le ricostruzioni delle vicende e la titolarità dei feudi, quando, specie nella fase terminale, le fortune, sull’andamento delle quali le carte tacciono, furono così rapide a crescere di quanto lo fossero nello scemare? Sappiamo solo che, subito dopo l’arrivo degli Angioini, Limosano venne assegnato ad un certo “Adenulfo”. Di costui altro non sappiamo se non che era figlio di (riportiamo il genitivo) “Johannis Comitis, Romanorum Proconsulis” e che “die XXVI martii XIII ind. (1270) [apud Capuam]” gli era stato concesso “castrum Limosani, pro unc. LXXX”(Vol. 359 Per il testo del documento in questione si veda BOZZA F., op. cit., pag. 90 e seg. 360 JAMISON E., I conti di Molise e di Marsia nel secoli XII e XIII, Casalbordino (CH) 1932, App. doc. 1. La ricostruzione proposta contrasta con l’altra del PIEDIMONTE (La Provincia di Campobasso, Aversa 1905, pag. 47), seguita anche dal MASCIOTTA, che, originata da una evidente confusione tra il titolo nobiliare (Markese) con il cognomen, vorrebbe Limosano dipendere nel 1132 da Marchisio. 361 NOBILE P.L., Campobasso medioevale: le dinastie feudali e le fortificazioni, in ASM (Archivio Storico Molisano) 1980-81, pag. 76. Del testo del Nobile si riportano anche le citazioni: (a) JAMISON E., I conti…, pag. 22. (b) PARROCCHIA di S. Cristina, SEPINO. Raccolta di Pergamene, 1216, n. 43-46. Roberto, già dal maggio 1185, si firma con tale titolo; in JAMISON, op. cit., Appendice doc. n. 5, pag. 89. PARROCCHIA di S. Cristina, SEPINO. Raccolta…, 1225, n. 48. 362 BOZZA F., op. cit., pag. 117. 235 II, p. 252, n. 64), somma questa, 80 once d’oro, molto rilevante. Ciò, anche se al Vol. XIV, p. 145, n. 93, viene riportato che era stato concesso ad “Adenulfo de Comite de Urbe mil. et familiari castrum Limosani in Justitiariatu Terre Laboris in donum” 363 , con una contraddizione, che, per chi conosce le espressioni di quel periodo, è solo apparente. Una testimonianza resa da “Andreas petri de limosano” al tempo, come indica la posteriore annotazione a margine del f. 180, “Monaldi Arch.pi Beneventani qui sedit ab A. 1303 ad 1333” riporta che in precedenza un certo “dom.nus Joh petitionem d.no pape quam vidit dom.us papa non concessisset nisi facissent omnia quae continebantur in petizione ipsa” 364 . A parte una certa lacunosità del testo, che lo rende in qualche sua parte poco interpretabile, la diffusa costumanza di ripetere al proprio figliolo il nome del diretto genitore, combinata con la compatibilità temporale delle date, permette di ipotizzare in questo “Johannes comes” il diretto discendente di quell’Adenulfo, che, a sua volta e come si è già visto, era figlio di un “Johannis Comitis, Romanorum Proconsulis”. Ma chi era questo “Comes (et) Romanorum Proconsul”, il quale, “de Urbe”, si adoperò a che, nel contrastato passaggio del potere dagli Svevi agli Angioini, il “castrum Limosani” fosse concesso, previo pagamento della ragguardevole somma, per allora, di 80 once d’oro, al figlio Adenulfo? Era egli esponente della nobiltà ‘civile’ di Roma? O, come sembrerebbe con più di una ragione ipotizzabile, apparteneva alle più elevate gerarchie religiose della Chiesa? Del tutto ovvio che non è agevole rispondere a tali domande; è, però, certo che la discesa a Napoli di Carlo d’Angiò (che autorizzò la concessione) si ebbe per sollecitazione del Papa di Roma, o, appunto, “de Urbe”, e dopo che entrambi avevano stipulati patti reciproci e che prevedevano impegni precisi da rispettare. Quanto, poi, alla lettura da dare del testo della menzionata testimonianza, va aggiunto solo che la ‘petizione’, sottoposta in quell’occasione direttamente al Papa (“d.no pape”), che con buona ragione può essere identificato nel francese Clemente V (trattasi di colui che sposta la sede pontificia da Roma ad Avignone), e che lo stesso “dom.us papa” vede ed approva alla sola condizione che venissero rispettate tutte le promesse in essa contenute, probabilmente è la stessa con cui sia il giovane “Johannes comes” che tutta la popolazione di Limosano avanzarono la richiesta, nel primo decennio del XIV secolo, per la costruzione del Convento da destinare ai frati di S. Francesco. “Quanto allo schieramento politico per il quale dovettero parteggiare i ‘de Molisio’ titolari del feudo di Limosano, nella impossibilità di ricavarlo dalle fonti, che irrimediabilmente tacciono, si azzarda l’ipotesi, di una loro probabile partecipazione a favore degli Svevi e della parte contraria al Papato,… Una tale ipotesi giustificherebbe il loro sicuro interesse a riprendersi la titolarità del ‘Comitatus Molisij’, specialmente laddove si pensi alla forte instabilità, che ad essi, politici ricchi di esperienza, non poteva certamente sfuggire, del potere dei ‘da Celano’, ambigui ed opportunisti. Tutto questo ovviamente in una fase storica, che a caratterizzarla è la ‘infidelitas’ facile oltre che una mancanza di visione politica coerente nel tempo lungo asservita, più che al ragionamento, all’istinto. E sopra ogni altra cosa proverebbe quella scelta di campo la concessione del feudo di Limosano ad Adenulfo, da inquadrarsi nell’opera di restaurazione, assai feroce, a cui venne sottoposto anche il territorio molisano dal regime degli Angioini. E ben si comprende così, e solo così, quella fiorente e fervente produzione di armi che nell’abitato limosanese si dovette praticare più o meno di nascosto, ma attivissimamente. Le caratteristiche del luogo, le ‘fucine’, dove si era diffusa e sviluppata, ne lasciano ben 363 Registri della Cancelleria Angioina. 364 ARCHIVIO VATICANO, Collect. T. 61 più volte citata (v. Capitolo I). 236 immaginare la notevole consistenza economica e la buona importanza militare per l’epoca. Essa, in quanto probabile frutto di una ‘riconversione’ di quei laboratori dei ‘caldararj’, di cui ai citati documenti dell’Archivio Vaticano, aveva radici lontane. Del resto, solo lo spostamento, in seguito a decisione politica, di quell’attività da Limosano a Campobasso, cosa ben documentabile ed assai nota, riesce a spiegare la conseguente e contemporanea ‘crescita’, in danno del primo centro, che progressivamente declina, di questa seconda città. Che si è ritrovata ‘ingrandita’ avendo preso sia da Limosano, come da Bojano e dalle altre ‘civitas’ di essa più antiche e cariche di storia. E ben si riesce in questo modo a spiegare, da ultimo, pure l’ostinato silenzio delle carte” 365 . “Il feudo di Limosano, ‘se il silenzio delle istorie deve attribuirsi a difetto di mutamenti feudali e di cambiamento (ma è più probabile che dipenda dalla volontaria e deliberata distruzione delle cose del soccombente operata dai ‘vincitori’)’, fu degli Acquaviva e, dopo qualche mese del 1417 in cui appartenne a Riccardo Aldomoresco, passò nello stesso anno al ramo dei Gambatesa, che tenevano anche Campobasso. Questa casata lo cedette a Francesco da Montagano, il quale ‘era Signore di Montagano e tenne Limosano nel 1443’” 366 , “anteriormente e di non poco al 1443” 367 . Che un ramo collaterale dei Gambatesa fissò dimora a Limosano e vi abitò a lungo lo prova il fatto che, intorno al 1615, della famiglia di “Missere ioanp.ta Coccetta…” faceva ancora parte “Madama (Ip)polita…, madre, (che era) figlia del mag.co m. Joafranc.o monforte de’ gambatesa de anni 40” 368 . “La più attendibile ricostruzione per l’epoca aragonese delle vicende del feudo di Limosano, nonostante le differenti proposte (a) avanzate, è quella suggerita dal ‘Repertorium Provinciae Comitatus Molisij’, che riportiamo nella sua prosa prolissa e confusa: ‘Nell’anno 1450 Re Alfonso per la morte di Francesco da Montagano, il quale ex haereditate paterna pro communi et indiviso con Giacomo, suo fratello, aveva posseduto le infradette Terre e castelli: Montagano, Frosolone, Guardialfiera, Castelluccio Acquaborrana (Castelmauro), Limosano, Casacalenda, Provvidenti, Lupara, S. Angelo Limosano, Campolieto, Ripabottoni, Matrice, Civitavecchia (Duronia), Chiauci e Molise, Luoghi abitati, Montecilfone, Serramala (tra Montenero di Bisaccia e Guglionesi), Olivola (presso Casacalenda), Collecanale (presso Guardialfiera), Collerotondo (in agro di Montagano), Cascapera (tra Limosano e S. Angelo Limosano), Fontasaina (tra Guardialfiera e Lupara), Cancellaria (?), Rocca Sassoni (in agro di Civitacampomarano), luoghi disabitati della Provincia di Comitatus Molisij, oltre a S. Giuliano (di Puglia) e Rotello, luoghi della Capitanata, investì don Giacomo, fratello dello stesso Francesco, pro se et suis Haeredibus, mero mistoque imperio et gladio protestate, che così come detto Francesco ed esso Giacomo ed il predetto (de) loro padre le hanno possedute come risulta in Q(uinternione). primo, fol. 139. Quelle Terre e Feudi, essendone per la morte di don Giacomo devoluti alla Regia Corte, Re Ferrante, l’ultimo di ottobre del 1477, vendette all’Illustre Gherardo di Appiano, figlio terzogenito di Appiano di Aragona, Signore di Piombino, affine ed amico suo carissimo, e precisamente Montagano, Casacalenda, Chiauci e Limosano, con i pagamenti fiscali dovuti, e Provvidenti, Guardialfiera, Castelluccio, Lupara, Frosolone, Ripabottoni, Matrice, Campolieto e S. Giuliano senza i pagamenti fiscali ‘cum omnibus eorum Castris, Fortellitiis, 365 BOZZA F., op. cit., pag. 118 e seg. 366 BOZZA F., op. cit., pag. 144. Si veda anche PIEDIMONTE G., op. cit., pag. 48. E della stessa opinione è anche CIARLANTI G.V., Memorie…, V, pag. 159, quando afferma: “Limosano circa l’anno 1417 si possedeva da Rizardo Aldomoresco Maresciallo del Regno, e la vendé poscia a Guglielmo di Gambatesa Conte di Campobasso”. 367 MASCIOTTA G.B., II, pag. 201. 368 APL, Stato delle anime dall’anno 1579 all’anno 1635. 237 venationibus, passagiis, Baiulationibus, Furnis, Molendinis, Baptinderiis platheis, Casalibus abitatis et inabitatis Collerotondo, Fontesaina, sita in tenimento di Guardia, Lupara, Olivola, Collecanale, Gerione, Rocca Sassoni, Avellana, S. Martinello e metà di Cascapera cum titulo comitatus di Montagano, et cum integro eorum Statu per il prezzo di ducati ventiduemila et cum promissione evictionis et integro eorum Statu’, come risulta dal Q. nono, fol. 88. Nell’anno 1495 Re Ferrante II affermando di avere e di legittimamente possedere come cosa recuperata da suoi incaricati stipendiati dalle mani dei suoi nemici, e precisamente la detta Terra di Montagano, la città di Guardialfiera, ed i Castelli di Casacalenda, Castelluccio Acquaborrana, Provvidenti, Ripabottoni, Campolieto, Frosolone, Chiauci, Matrice, e Limosano, Salcito e Pietravalle inabitato del Contado di Molise, avendo riguardo agli ottimi servizi di don Andrea di Capua, Conte di Campobasso e suo primo Camerario, il quale in ogni tempo e fortuna gli si ritrovò sempre prontissimo e per mantenerselo fedelissimo, donò quelle (Terre e Castelli) al detto Andrea per se e per i suoi eredi. Per compensarlo di tali suoi servizi, ‘cum dicto titulo comitatus, cum castris, casalibus, Feudis collectis utili dominio, debitis, censibus, Angariis, Perangariis et Herbagiis, siluis et venationibus et piscariis, Ferreriis et Furnis, passagiis, Scannagiis bonis vacantibus, et comictentium crimen lesa majestatis, portielania, Mercaneva, ponderum et mensurarum, mero e primis et 2/dis causis et etiam contra commectentes crimen lesa majestatis’ con il potere di esigere le tasse dei focolari e del sale in quei Castelli e sino alla somma che riusciva a percepire il predetto Gherardo di Appiano, dal quale promette di liberarlo immediatamente, con il potere di riconoscere (e di privare) i feudi quaternari ed i possessi feudatari, come risultano descritti nei quadernoni della Regia Camera, da ora e per l’avvenire allo stesso Andrea e suoi eredi con la facoltà che se fosse morto senza figli gli era concesso che potesse trasmette tutto ciò a qualcuno dei suoi fratelli, per la presente disposizione che sin da ora si munisce di assenso, così come appare in Q. primo, fol. 123. Nell’anno 1496 Re Federico confermò al don Andrea tutte le Terre predette ed in più gli concesse il Contado di Campobasso con anche annui 500 (ducati?) di pagamenti fiscali di detto Montagano, ed anche la città di Termoli ‘cum jure exiture fractarum frumenti’ fino alla somma annua di Lire (= ducati?) mille, ma non di più, e che se un anno non si potesse esigere, la si incassi (extrahat) nel seguente. Inoltre Serracapriola, Ripalimosano (O)ratino, Rocchetta disabitata che furono di Sforza Gambacorta, ed eredi del q:mo Fataguro. Inoltre Gambatesa, con i suoi pagamenti fiscali e con tutti i diritti come anche i suoi privilegi. ‘Item ad suae vitae decursum la Castellania di Manfredonia, iuxta dictorum quorum privilegiorum formam criminibus, tamen lesae majestatis, Heresis, et falsae monetae et earum cognizione pro publicatione bonorum, quae ratione dictorum criminum veniret imponenda vel faccenda excaeptis’. come in Q. XIII, fol. 154’” 369 . Del feudo di Limosano “la concessione e la conferma fattane ad Andrea di Capua, fedelissimo degli Aragonesi, con tutta probabilità avvenne in quanto il precedente barone e, con lui, assai verosimilmente tutta la popolazione avevano parteggiato per Carlo VIII, in occasione del tentativo di costui di impadronirsi del Regno napoletano (a). E che quello di Limosano fosse feudo molto appetibile, perché ricco, ed effettivamente appetito dal di Capua, lo confermerebbe il fatto che “donno (o ‘dondo’) Andrea”, che pure disponeva di diversi feudi tra le Terre ed i castella del Comitatus, in esso venne subito a fissar dimora ed, almeno per periodi limitati dell’anno, vi risiedeva, se per lunghi secoli nella 369 BOZZA F., op. cit., pag. 160 e segg. Il testo riportato dall’A. è tratto dal REPERTORIUM PROVINCIAE COMITATUS MOLISIJ, dattiloscritto anonimo presso la Biblioteca Provinciale di CAMPOBASSO, al M945.719, pag. 9 e segg. A proposito del quale, in nota, l’A. aggiunge che “molti elementi fanno ipotizzare la copia esistente essere una trascrizione di un manoscritto del XVI (o XVII) secolo, del cui originale si sono perse le tracce”. (a) Per una sintesi delle ‘differenti proposte’ si veda la nota 20 della pag. 160 dal testo dell’A. 238 toponomastica delle vie di Limosano vi era il ‘loco ubi vulgariter dicitur a’ la platea de donno Andrea’, così come riferiscono gli atti notarili almeno sino a tutta la prima metà del ‘700 (b). Situava quella davanti al palazzo baronale e non discosto da esso. (…). Probabilmente sollecitato dallo stesso ‘donno Andrea’ di Capua, che, mosso da grande ambizione e da mal celati interessi, mirava ad ottenere nella fase del passaggio al governo vicereale quanto più possibile dal suo essere stato fedele agli Aragonesi, il nuovo re, Ferdinando il Cattolico, gli fece ‘medesima confermazione nell’anno 1504, come appare in Q. VIII, fol. 179’ (c). ‘Nell’anno 1512 al detto Andrea successe il di lui figlio Ferrante (o Ferdinando), il quale di tutti i predetti possedimenti ebbe l’investitura nella forma ‘cum nonnullis declarationibus, et depositionibus’, come è nel Q. XII, fol. 84. Nell’anno 1516 Joanna et Cardus Peges confermarono quanto sopra al detto Ferrante in F.a, come risulta nel Q. XIX, fol. 15. Nel 1521, Ferrante essendo Governatore Generale della Provincia dell’Abruzzo e Capitano d’armi vendette Montagano, Frosolone, Limosano, Lupara, Casale di Fontesaina, Cascapera, Castelluccio Acquaborrana, Fossaceca con i Casali di Castelluccio, Colle Alto, Tirella ossia Torella e Torre Francolise, Guardialfiera ed annue Lire (ducati?) 300 di pagamenti fiscali di Fossaceca ad Annibale di Capua, suo zio, per un certo prezzo tra essi e col patto ‘de retrovendendo’, come risulta dal Q. XX, fol. 136. Ad Annibale di Capua, che possedette quelle terre, successe il figlio Vincenzo di Capua, Duca di Termoli, il quale nel 1534 denunciò la morte del padre offrendo il ‘relevio’ delle cose predette, come da richiesta Rel. 3°. Nell’anno 1559 al detto Vincenzo successe nei predetti Feudi, ed anche in Termoli con annui ducati 1080 di diritti portuali ed in Campomarino, Ferdinando di Capua, di lui figlio, il quale ne denunciò la morte ed offrì il ‘relevio’, come da richiesta Relev(io) Settimo, fol. II. Il quale Ferrante (o Ferdinando) al presente (all’epoca, cioè, della compilazione del ‘Repertorium’) possiede quanto sopra specificato’ (d). A Ferdinando di Capua successe, ma se ne ignora la data, il figlio Ottavio, che fu l’ultimo dei di Capua ad essere titolare di Limosano” 370 . Se non per il feudo (ma, in certo qual modo, anche per esso), la crisi della “Terra, olim Download 5.01 Kb. Do'stlaringiz bilan baham: |
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