Francesco bozza
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civitas, li=Musanorum” tocca, durante la seconda metà del XVI secolo, il punto più acuto della sua gravità. Iniziò con le ‘prohibitioni’ degli Angioini e le loro pretese di pagamento ad Adenulfo non solo della “collectam S. Mariae”, ma anche di una ‘colta’ per i “pannorum pro vestimentis eius et familiarum”. E’ da reputarsi essere di molto cresciuta nel non breve periodo in cui il deliberato, ed affatto casuale, “silenzio delle istorie” si è fatto più ostinato. Si era aggravata con i Monforte-Gambatesa, più interessati alla emergente Campobasso. Ed è, con l’arrivo di Annibale di Capua, diventata ormai irrimediabilmente irreversibile. Relativamente alla prima fase, quella iniziale e ‘socio-religiosa’, di tale crisi, quale il senso da dare, se non di costituirne la sola parte visibile, a quel prepotente attacco, che ad essa fu 370 BOZZA F., op. cit., pag. 178 e seg. Si riportano, perché di qualche interesse, anche le relative note: (a) ALLEGAZ. FORENSE “per la Università di Limosani contro dell’Illustre Marchese utile Padrone di detta Terra”, Napoli 20 Marzo 1760, in Biblioteca Provinciale di Campobasso. “Dicono, che Ferdinando II di Aragona nel 1495 in ricompensa delli serviggi prestati da Andrea di Capua conte di Campobasso, per la difesa, che fe contro delli ribelli, nel fatto, restò privo di vita Gio: di Capua, che salvò la vita al Monarca. E liberò il Regno dall’invasione di Carlo VIII Re di Francia, li donò perciò molte Terre, e Città per la fellonia di molti Baroni nel contado di Molise, tra le quali vi fu Limosani”. (b) La ‘Platea de’ donno Andrea’, negli atti notarili del ‘600, diventa talvolta la ‘Piazza di Santo Andrea’; pur tuttavia negli atti del Notaio AMOROSO F.A., che iniziò a rogare nel 1712, la si indica assai frequentemente ancora come ‘la Piazza di Don Andrea’. (c) REPERTORIUM PROVINCIAE… cit., pag. 12. (d) REPERTORIUM PROVINCIAE… cit., pag. 12 e seg. 239 contemporaneo, sferrato dagli “homines Terre Triventi qui diabolico spiritu instigati, hominibus casalis Sancti Agnelli… vassallis Monasteriis, plura animalia abstulerunt nec non commiserunt ignem, arbores inciderunt et terminos per quos distinguitur territorium casalis a territorio dicte Terre Triventi, contra Deum et iustitiam evulserunt” 371 ? Certamente “le ‘indebite e continue turbative’ dovettero essere numerose, se si fu costretti a ricorrere alla regia autorità, alla quale ‘exposuit in nostra presentia Guilielmus de Limosano clericus devotus noster quod nonnulli laici, clericum ipsum in possessione ecclesiarum Sancte Crucis prope Roccam Episcopi, Sancti Felicis de Petrafinda et Sancti Petri de Malamerenda… (nota: tutte in prossimità della linea di confine e non lontane da ‘Cascapera’) ex collatione facta sibi a Monasterio S. Sophiae de Benevento in Rectoriam rationabiliter tenit et possedit… turbant indebite ac multipliciter inquietant…’” 372 . A quell’attacco, tanto ruvido quanto deciso, certamente già si univano gli effetti tanto dell’inserimento dei Francescani nel rapporto, tutto nuovo, con l’insediamento abitativo, che da adesso prende ad assumere un ruolo diverso rispetto al passato, quanto “dell’abbandono dell’antica ‘filosofia’ benedettina abbaziale che ai primi del Trecento avrebbe coinvolto Celestini e Clareni” 373 o ‘Fraticelli’, tutti movimenti religiosi che, chi più e chi meno ‘contestatore’, larga diffusione ebbero, condizionandone sviluppi ed economie di ognuno, nelle immediate vicinanze dei centri più grandi. E Limosano ha visto allora stabilirvisi, se non delle frange ereticali vere e proprie, sia i seguaci di Pietro Celestino che i Francescani, i quali, però e quando inizia ad essere manifesta la sua crisi, nel 1340 si ‘spostano’, con la costruzione del Convento di S. Francesco ‘della Scarpa’, anche a Campobasso. Sui fattori che agirono nella seconda fase del decadimento della “Terra, olim civitas, li=Musanorum”, quella ‘fisico-politica’, in cui il “silenzio delle istorie” diventa totale e, nel contempo, si ha il concretizzarsi dell’emergere di Campobasso, è possibile proporre solo ipotesi di alcune, ma diverse, concause che si combinarono insieme e tra loro interagirono.. La prima. Semplici raffronti tra i dati delle ‘Rationes decimarum Ecclesiae’ fanno registrare, a partire già dal secondo decennio del XIV secolo, l’inizio di un significativo ed assai profondo calo demografico, che, nel momento di maggiore acutezza, porterà la popolazione a contrarsi di oltre il 60 per cento. A Limosano il numero degli abitanti, nel giro di un cinquantennio, arriva probabilmente a scendere sino alle 1500 unità. La seconda. Chi fa delle ricostruzioni storiche sul trecento molisano riferisce dell’andamento climatico in maniera, nel migliore dei casi, generica ed approssimativa. Eppure ebbero a verificarsi mutamenti tali che portarono a profondi sconvolgimenti sia nel socio-politico che nelle economie dei ‘Luoghi’. “Le alluvioni del Biferno” 374 diventate assai frequenti, oltre che sui tracciati viari e sulle direzioni dei percorsi commerciali, sicuramente dovettero incidere, e non poco, con modifiche radicali anche sui mezzi di produzione. Tanto che, per un certo periodo e fino all’epoca degli Aragonesi, quando, con la ricostruzione delle ‘rocche’ finalizzate al controllo dei rinnovati sistemi viari ed economici, si correggeranno gli effetti della politica angioina, il Biferno smette di avere un ruolo centrale e di traino nell’economia degli insediamenti che situavano nelle sue immediate vicinanze. La terza. E’ indubitabile che, con il rimanere esclusivamente città ‘pontificia’, Benevento, cui Limosano era stata legata indissolubilmente per secoli, ha perso, e definitivamente, quel suo specifico ruolo politico che aveva per lunghissimo tempo esercitato. Ed è altrettanto indubitabile che la Napoli degli Angioini, diventando essa il centro della decisione politica, 371 ZAZO A., Chiese, feudi e possessi della Badia di S. Sofia, in SAMNIUM 1964, pag. 26. 372 BOZZA F., op. cit., pag. 97. 373 COLAPIETRA R., Profilo storico-critico del Molise da Federico II ai giorni nostri, Ripalimosani (CB) 1997, pag. 10. 374 COLAPIETRA R., op. cit., pag. 10. 240 inizia a rappresentare quella ‘capitale’ (in senso moderno) che sempre di più attira forze sociali e beni economici da consumare. Conseguenza dei due eventi è, relativamente al Territorio del ‘Comitatus Molisij’, lo spostamento dell’asse di interesse economico-politico più verso la montagna, “integrandosi in un disegno essenzialmente pastorale ” 375 . Con la conseguente perdita di importanza della fascia di media collina. Del tutto naturale che le risultanze del combinarsi di tutti questi fattori spingessero verso obiettivi diversi da quelli perseguiti in passato anche gli interessi militari. In tale “chiave restauratrice della feudalità armentaria”, per rimanere negli ambiti territoriali limitrofi a quello che era stato di Limosano, gli Evoli, conti di Trivento e di Castropignano, si avvalgono di tale “vocazione feudale, pastorale e militare” dei due centri per esercitare, “con sfumature in prevalenza ancora tardo medioevali, il controllo strategico delle grandi vie di comunicazione, (ma) senza una intrinseca finalità di valorizzazione e potenziamento delle risorse del territorio medesimo. Non a caso Trivento funge da insostituibile cerniera tra i feudi del Caldora, appoggiandosi da un lato a Vasto e dall’altro ad Agnone, lungo tutta la valle del Trigno”. E, da parte sua Campobasso, “città non a caso al centro del disegno strategico dei Monforte, si orienta verso la pianura non soltanto controllata e dominata dall’alto delle rocche, di una visione ancora essenzialmente militare, feudale e tardo medioevale, bensì interpretata e valorizzata grazie alla preminenza delle fiere e dei mercati connessi con la rete delle comunicazioni, e cioè dei tratturi” 376 . Emarginata, a motivo di fattori agenti tanto di natura fisica che politico-commerciale, dai ‘nuovi’ interessi e dai ‘nuovi’ dominatori, tutti (ma non quelli del nostro insediamento) ‘condottieri’ ed “uomini d’armi”, Limosano, che, per parte sua, non compie nessuna scelta verso il ‘nuovo’, degrada, abbandonata al suo destino. Pur se, nella riduzione schematica, esse non vanno lette nella stretta sequenza temporale, la terza e, quando la decadenza si è fatta irreversibile, ultima fase della crisi, quella ‘delle alleanze e tardo-feudale’, è caratterizzata, appunto, proprio dalle alleanze a favore degli schieramenti ‘perdenti’ e, perciò, sbagliate da parte dei ‘domini’ titolari e “utili signori della Terra” di Limosano. A differenza dei Pandone, filo Aragonesi, che con Francesco, “dopo un primo nucleo costituitosi nell’alto Volturno tra il 1413 e il 1422, si era impadronito nel 1437 di Venafro, formalmente in nome di Alfonso d’Aragona, e quindi, contrapponendosi alla fede angioina del Caldora, ma obiettivamente integrandosi con lui in un disegno essenzialmente pastorale che, ritraendosi da(lla) Terra di Lavoro, si espande fino a Boiano ed al Matese attraverso Carpinone (1440)” 377 , le famiglie ‘comitali’ che tennero Limosano, tutte, si trovarono schierate dalla parte degli Angioini. A questi (ma, se ancora nel primo decennio del ‘300 la situazione era assai florida, fu allora scelta, pur non voluta, positiva) indubbiamente furono legati gli eredi di Adenulfo. E, così come (senza avvedersi delle mutate condizioni politiche) lo dovettero essere gli Acquaviva durante quel contrastato periodo relativamente lungo che si inizia dalla morte di Re Roberto (1443), più che probabilmente furono di fede lealista verso chi veniva momentaneamente impadronendosi del potere sia Riccardo Aldomoresco che i Monforte-Gambatesa, i quali tennero Limosano in quel convulso 1417, anno in cui si registra più di un passaggio. Il fatto, poi, che “quelle Terre e Feudi (tra cui Limosano), essendone per la morte di don Giacomo (da Montagano) devoluti alla Regia Corte, Re Ferrante, l’ultimo di ottobre del 1477, vendette all’Illustre Gherardo di Appiano, figlio terzogenito di Appiano di Aragona, Signore di Piombino, affine ed amico suo carissimo”, starebbe a dimostrare che pure i ‘da 375 COLAPIETRA R., op. cit., pag. 16. Ci si scusa per l’adattamento del testo. 376 COLAPIETRA R., op. cit., passim. 377 COLAPIETRA R., op. cit., pag. 16. 241 Montagano’, che, con Francesco, avevano ottenuto Limosano “anteriormente al 1443”, non nascondessero le loro simpatie per i pretendenti angioini. Gherardo di Appiano, il quale diventa “utile Signore” quando il destino della “Terra, olim civitas, li=Musanorum” è irrimediabilmente segnato, dimora lontano, assai lontano, dal ‘suo’ feudo e, se non sulla carta e per ‘spremerne’ quanta più ricchezza possibile, non ne conosce neppure la vera identità. Quella ‘Terra’ è, per dirla tutta, ridotta a meno di una pura e semplice espressione geografica in una realtà, in cui “disagio economico e trasformazioni sociali si congiungono ad articolare una prospettiva molto complessa, allorché la morte di Alfonso vi ha aggiunto, a partire dal 1458, l’elemento sovvertitore dell’insurrezione baronale e della guerra civile” 378 . Ed, al riguardo, la dice assai lunga sulla figura e sull’atteggiamento politico di Gherardo, il quale da “affine ed amico suo carissimo”, dovette trovarsi schierato (e fu cosa inopportuna) contro gli Aragonesi nelle ‘congiure’ che, frequenti, si susseguirono in quel periodo, l’espressione che anche Limosano fu “cosa recuperata dai suoi incaricati stipendiati dalle mani dei suoi nemici”, Ed il passaggio ai ‘di Capua’ fu perché “li donò molte Terre e Città per la fellonia di molti Baroni nel Contado di Molise, tra le quali Limosani”. Tanto che, ed anche qui non è certo un caso, questa “Terra” venne privata della presenza del ‘Giustiziere’ di Terra di Lavoro, il quale, a partire dallo stesso anno (1495) della concessione del relativo feudo a “donno Andrea”, il primo dei ‘di Capua’, non vi arrivò più per amministrarvi ed esercitavi la giustizia per i fatti del relativo ambito territoriale. E, poiché era, al momento, tutto quanto le rimaneva del passato splendore, tale privazione, vissuta dai contemporanei con rassegnazione e quasi ‘nascosta’, dovette essere cosa non di poco conto. Evidenti i riflessi ed i condizionamenti allo sviluppo delle singole realtà ‘feudali’ esercitati dallo schieramento ‘politico’ del relativo “utile Signore”. La scelta dei ‘di Capua’, i quali da tempo hanno preso coscienza delle mutate situazioni politiche ed ambientali e di queste sono ‘espressione’ assai significativa e caratteristica, non poteva non tenere conto ed essere condizionata dal fatto che “il congiunto Annibale (nota: il quale, fratello di ‘Andrea’ e zio di ‘Ferrante’, che, a sua volta, era “Governatore Generale della Provincia dell’Abruzzo e Capitano d’armi”, nel 1521 diventa titolare di Limosano) è doganiere a Foggia” 379 . Il privilegiare il territorio alla destra del Biferno (basta considerare quelle “ambizioni progettuali tutt’altro che trascurabili, che tra il 1500 e il 1515 avevano attualizzato a Riccia un colloquio assai raffinato per il castello residenziale”) e le realtà ad esso riconducibili altro non fu che conseguenza di tanto logica di quanto ineluttabile. Ma “l’attrazione pastorale tanto favorita dalla grande feudalità dei Di Sangro e dei Di Capua può minacciare di stravolgere l’identità della regione (e delle realtà insediamentali) ove ad essa non ponga qualche argine e rimedio il ‘buon governo’” 380 e, con questo, una sana e corretta gestione finanziaria dei patrimoni. Che non dovette sicuramente essere caratteristica del “domino Ferdinando de Capua”, se è vero che “Ferrante de Capua de Termole… per alcune sue occorrenze, et presertim per pagare, et sadisfare diversi suoi creditori”, il 20 Febbraio 1576, si vede costretto ad iniziare a vendere “senza patto de retrovendendo al mag.co Dominico de blasijs de la Città de Trivento, la Città de la guardia alfieri…, con suo castello…”. E meno di un anno dopo, il 16 Gennaio 1577, sempre per gli stessi motivi vende a “Donno Nicolao guido Confalone de civi.te ravellj, ducatus Amalfie” i quattro feudi di “goglionisij, s.ti Martinj, sancti Julianj et Montorij” 381 . 378 COLAPIETRA R., op. cit., pag. 18. 379 COLAPIETRA R., op. cit., pag. 25. 380 COLAPIETRA R., op. cit., pag. 30. 381 ASC, Fondo Protocolli Notarili, Notaio DE RUBERTIS Giovanni della piazza di Trivento, atti delle rispettive date. 242 Ottavio di Capua, l’ultimo della famiglia ad essere titolare di Limosano, “rileviò”, quindi, una eredità compromessa sia patrimonialmente che finanziariamente ed, insieme ad essa, un destino irrimediabilmente ed irreversibilmente già segnato. Ed a lui, che pure volle vivere lontano e senza ‘amministrare’ il suo feudo, a nulla valse il solo pretendere di “extrahere” da esso il maggior quantitativo possibile di ricchezza finanziaria. Se a tale ‘voracità feudale’ si somma quella ‘fiscale’ e le frequenti congiunture climatiche sfavorevoli che fecero registrare al Notaio Ramolo Nicolamaria diversi anni di “nefasta fame” tra il 1571 e gli inizi del XVII secolo 382 , altro non si ha per la Limosano di quel periodo che un quadro, in cui sopravvive solo un feudo ‘immiserito’ e chiuso in se stesso accanto ad una situazione divenuta drammatica per quanto attiene a tutti gli altri aspetti (sociali, culturali, economici, di edilizia pubblica, finanziari, eccetera) caratterizzanti di quella ‘Terra’. Già vi si dovette registrare, mentre era in atto l’ascesa ‘sociale’ della Chiesa di S. Stefano, che, nel suo ‘essere’ blocco unico col ‘palazzo’ baronale, era stata fatta oggetto di maggiori attenzioni ed, a lavori ultimati, subito riconsacrata dallo “episcopo de trittivero, nomine io: bap.ta nellanno 1510, a li quattro de aprile”, una fase lunga, a motivo della pesante situazione finanziaria in cui si dibatteva la “Universitas civium” limosanese, per la “rifatione” di quella di S. Maria e difficoltosa per le altre opere pubbliche. Ed i problemi di natura finanziaria si erano ancor più aggravati durante l’ultimo ventennio del secolo. Tanto che per debiti di natura ‘fiscale’ la “Universitas civium” si vide costretta, il 19 Gennaio 1596, a vendere “in solutum e pro soluto a D. Ottavio di Capoa la parte del Casale di Cascapera, la Selva delli Monti collo Vallo di Cicco, lo quarto della Sala, lo quarto delle Cese e lo quarto della Foresta”, mentre, per parte sua, l’ultimo erede dei ‘di Capua’, già intenzionato a vendere, comprava sia per rientrare da una esposizione creditizia fattasi poco sostenibile che, di più, per far lievitare il prezzo del suo ‘feudo’ di Limosano. Infatti, dalla ‘ratifica’, avvenuta “die quarto decimo mensis Julij none ind.is 1596 in Terra limosani” sempre per mano notarile 383 , dell’atto di vendita “rogato nella Città di Napoli per mano del Notaio Ottavio Severino ‘esistente nella Camera’ del Notaio Domenico Castaldo” si ha che il debito complessivo ammontava a ben 7164 ducati, tarì 1 e grana 13, parte dei quali, per ducati 2813, tarì 3 e grana 9, era stata (o doveva essere) corrisposta “corporibus introituum victualibus bonis mobilibus et animalibus ut infra describendis et eidem donno Octavio in solutum datis, et assignatis in satisfactione (vettovaglie, beni mobili ed animali)”. Che tali somme fossero ingenti lo dimostra il fatto che i restanti 4350 ducati costituivano il valore del corrispettivo totale dei cinque ‘corpi’ feudali venduti “cum pacto de retrovendendo” 384 . 382 Durante la seconda metà del XVI secolo si assiste (v. in ASC, Protocolli Notarili del Notaio DE CICCO della piazza di Trivento) ad un generalizzato fortissimo indebitamento, dovuto al tipo di amministrazione ‘vicereale’ del Regno, sia dei baroni (a motivo della vita assai dispendiosa che conducevano) che delle ‘Universitas’, le quali si vedono costrette ad indebitarsi “per le Carestie et penurie delli anni passati et per li passati fiscali et per lo peso delli soldati de presidio contra forastieri”. 383 ASC, Fondo Protocolli Notarili, Notaio SANTORO Francesco Antonio (nativo di Limosano) della piazza di Fossalto. 384 Notevole, per le indicazioni topo-geografiche e sulle strade, nonché sulle costumanze dell’epoca, l’atto di terminazione stipulato, sempre per mano del Notaio Santoro, alcuni giorni prima e precisamente “nel giorno 8.° del mese di Luglio 1596 nella Terra di Limosano e propriamente dentro il Convento di S. Francesco. Nel predetto giorno si sono costituiti alla nostra presenza: Ferdinando de Capoa (forse figlio di Ottavio), da Napoli, che agisce nel seguente atto in nome e conto di Ottavio de Capoa del Balso, da Napoli, suoi eredi e successori, da una parte; Giovan Battista Ramolo ed Antonio del Gobbo, sindici della Terra di Limosani per il presente anno, che ugualmente agiscono nel seguente atto in nome di tale carica e per parte di detta Università ed uomini della suddetta Terra di Limosani, loro posteri e chicchessia in perpetuo, dall’altra parte. Le parti suddette, come indicate, con il di loro ‘vulgari sermone’ affermano davanti a noi e dicono come nei mesi passati per essa Università ed in suo nome a mezzo di: Gio:Batta Ramolo, Gio:Batta Ursino, Pietro Ranallo e Aloisio Marinaccio, Procuratori di essa Università ed uomini di detta ‘Terra delli mosano’, diedero e consegnarono ‘in solutum et tro soluto’ al detto Ottavio de Capoa per docati 4350, (somma) che detta Università 243 Il distaccato Notaio, per il ruolo svolto, racconta che “nel predetto giorno, per le preghiere a noi fatte per conto dell’Università e degli uomini della Terra di Limosano della Provincia di Contado di Molise, ci siamo recati alla Casa della predetta Università sita e posta dentro la predetta Terra di Limosano…, dove l’Università stessa per le decisioni da prendersi è solita riunirsi ed, appena ivi arrivati, vi abbiamo trovato e si sono costituiti alla nostra presenza: Gio:Batta Ramolo, sindico per il corrente anno della Terra suddetta, Giacomo de Addario, Aloisio Marinaccio, Gio:Batta Orsino, eletti al governo ed all’assistenza dell’Università predetta per il corrente anno ed i seguenti cittadini ed Uomini di detta Terra: Giovanni Antonio de Paolo, Fabio Ramolo, Giovanni de Anselmis, Aloisio MarcoAntonio, Antino Perrocco, Angelillo Perrocco, Alfano de Germano, Giuseppe (figlio) di Franc.o de ed i ‘particulari’ (= singoli cittadini) di essa dovevano al detto Ottavio in parte di una maggiore somma, e gli vendettero i sottoindicati ‘Corpi de Territorij’, e sono: ‘la parte dello feudo di cascapera’, ‘lo quarto’ detto ‘li Download 5.01 Kb. 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