Quaderno di traduzioni
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- A journal of souther rivers
Dylan Thomas 260 Especially when the october wind Specialmente quando il vento d’ottobre batte i capelli con dita gelate preso dal sole cammino sul fuoco e getto sulla terra un granchio d’ombra, in riva al mare, udendo la gazzarra degli uccelli, la tosse del corvo il cuore indaffarato trema se parla sparge sangue in sillabe e drena frasi. Rinchiuso in una torre di parole traccio orizzonti d’alberi in cammino, verbali forme femminili e file di bimbi al parco dai gesti di stella. Ve ne farò con vocali di faggi, voci di quercia, note di radici che giungono da regioni di spine ne farò pure con parole d’acqua. Dietro un vaso la pendola che oscilla mi parla la lingua dell’ora, il nervo vola sul disco d’asta, chiama l’alba e annuncia il gallo banderuola. 261 Derek Walcott 262 Winding up Vivo sull’acqua, solo. Senza moglie e figli. Ho circoscritto ogni possibilità per arrivare a questo: una casa bassa sull’acqua grigia, con le finestre sempre aperte sul mare solito. Talvolta noi non scegliamo, ma siamo sempre ciò che abbiamo fatto. Soffriamo, gli anni passano, perdiamo cose, ma non il bisogno di nuovi pesi. L’amore è una pietra che si è posata in fondo, sotto acqua grigia. Non chiedo più nulla alla poesia, solo puro sentire: non pietà, fama o cure. Muta sposa, possiamo sedere guardando acqua grigia, e in questa vita su cui galleggiano solo mediocrità e spazzatura, vivremo come rocce. Imparerò a rimanere sordo, dimenticando il mio dono. È più grande e duro di ciò che chiamiamo vita. 263 Endings Le cose non esplodono, lentamente sbiadiscono. Come il sole sbiadisce dalla pelle, come la schiuma asciugata alla riva, così il lampo di luce amorosa non termina nel tuono, perisce con un suono di fiori sbiaditi, come la pelle sotto la pietra pomice che suda. E tutto si riduce a questo modo, finchè si resta soli nel silenzio che circonda la testa di Beethoven. Air Le inaudite, onnivore fauci di questa foresta pluviale non soltanto divorano ogni cosa, ma non lasciano nulla di inutile; inarrestabili, maciullano ogni dolore, rifiutandoci. Molto prima di noi quelle mascelle calde come un forno fumante erano pronte al genocidio; divorarono due razze gialle minori, e metà di una nera; Parola fatta carne di Dio, tutti entrarono indiscriminatamente in quell’enorme stomaco; la foresta rimane senza fede, perché quel suono di conchiglia che rimbomba come il silenzio, o come i cori in rotte dell’oceano quando oltrepassano la sua navata dove fumiga un incensiere di nebbie, non è il mormorio della preghiera, ma del troppo vasto nulla che è qui. 264 Charles Wright 265 Laguna blues È sabato pomeriggio al confine del mondo. S'alzano al vento pagine bianche e cadono. Fili di polvere staccati dal cuore, fluttuano e cadono. Resta nella mia mente qualcosa di stonato, non so che sia, ma mi disturba sempre. È caldo e il vento soffia sulle cose da dire. Ballo un piccolo ballo. I corvi raccolgono una brezza virata dal mare. Canto una canzoncina. Non so che sia, ma mi disturba sempre. Sabato pomeriggio, i corvi planano, pagine nere che s'alzano e cadono. Il ricino e la pianta del pepe piegano le loro teste stanche. Qualcosa di stonato, di crudele. Non so che sia, ma mi disturba sempre. Laguna dantesca Voglio isolarmi, come una barchetta piccola, e scivolar su un elemento all'orizonte, le cui labbra sanno qualcosa, ma tacciono sotto il cielo della luna. C'è qualcosa che voglio guardare bene in faccia. Come una roccia, qualcosa di pesante, per scendere nell'acqua limpida per sempre, svanire come fece lei, dissolta, linea dopo linea, negli abissi lunari. Voglio, come queste campanule viola di iacaranda, brillare con le stelle fisse, sfinito e soddisfatto. Gracidano rane nel buio. Il piccolo ottone del mondo naturale gracida e quel che voglio io non è nulla per loro. Sopra di me il gran cane accucciato nel cielo basso del sud attende il suo momento. Voglio tornare, come un pezzetto di carta bruciata. C'è qualcosa che voglio guardar bene in faccia, sale e scende come una fiamma. Voglio sedermi là, il cane addormentato ai miei piedi. 266 Hawaii dantesca Dal fianco della collina spunta il bianco dei fiori, vuote lettere d'amore dai morti. È autunno, e a nessuno sembra interessare. O le rotte ombre di chi manca da secoli che si muovono sulla canna da zucchero come cicogne, e nessuno nota o ricuce. È questo il filo della storia. E i verdeggianti abiti di luce che indossano gli alberi. E i cerchi-sutra di garzetta roteanti dopo scrosci di pioggia. E gli acuti marimba dell'alba che rotolano i loro amuleti… Verrà presto il tempo del lungo cammino sotterraneo verso il mare. E il tempo di rimettersi il costume giallo e le scarpette, come nelle foto del '38 a Knoxville. L'ora di raccogliere il fuoco nella sua ciotola di quarzo. Spero verrà quello con le ali bianche. Spero che l'isola di giunchi sia lontana come credo. Quando sarò là, spero mi perdoneranno se il mio nodo è il nodo sbagliato. Night journal Penso a Issa, uomo di poche parole: Il mondo di rugiada è il mondo di rugiada. Eppure… Eppure… - Tre parole contengono tutte le certezze della vita prossima o dell'ultima: chiudi gli occhi. Tutto il resto son chiacchiere, falsi specchi, finestre cieche abbaglianti come vetro istoriato nel sole irriducibile - Scrivo, l'inchiostro è visibile parole nere che scompaiono alla luce - Scrivo 267 non per ricordare, ma per dimenticare parole come pezzi di pellicole esposti al sole. Non vedo altro che il fondo. Tutti vogliono raccontare la loro storia. I cinesi dicono che questo è il mondo delle diecimila cose, Ognuna delle diecimila cose ci urla precisamente nulla, melodia di un silenzio che cominciamo a capire, parole contrassegno, tramonti embolici che si seccano dietro la lingua. Se fossimo così eloquenti, potessimo sparger la lieta novella come fa quella passiflora, le sue candele votive fosforescenti e articolate nell'alone verde di primavera, sicuramente qualcosa sentiremmo. Anche soltanto una scheggia di bellezza è bellezza che la mente fatica a capire, parole color del vento che si muovono sui campi, laggiù, confuse sbalzate dal vento astratte come luccichii d'acqua campi color leone, color della corda come in un dipinto del Paradiso, i corpi che languono sopra il cielo trascinando le buie identità, vanno alla deriva e colano nel nulla dietro di loro in movimento là sui campi come si muovono lente le parole, strascicando le loro buie identità. Le nostre parole, come baci sfiniti, sono inghiottite da fantasmi lungo il cammino, le loro mete smarrite in un tocco di splendore infinito: quant'è distante sempre ogni cosa, e tuttavia quanto vicina, musica che comincia a salire come fumo sotto gli alberi. Gli uccelli cantano un baccano atonale non sincopato da un albero all'altro, canti di rugiada le cui canzoni non hanno parole 268 da un albero all'altro quando la notte indossa le sue lenti scure, una su questa fronda, altre due là dietro. - Le parole, come tutte le cose, còlte nella loro finitudine. Qui iniziano, qui finiscono non importa quanto in alto vadano - il mio castigo è che lo so e non amo mai abbastanza da rimanerne marchiato e calarmi di colpo nella beatitudine. May journal Le note provinciali sempre iniziano con la meteorologia - qui non cambia, il sole spazza il meriggio di pieno maggio con la sua scopa dorata i tulipani lampeggiano come insegne ai nostri occhi indagatori, tutto il pavimento dell'essere pulito e sgombro, il cristallo una similitudine dove quasi risplende il paesaggio immagine nell'immagine, motto come mondo o meglio come nota musicale, una suscettibilità nelle ossa. Poi cominciano a parlare di morte dell'anima (Ma senza tante parole) o della morte del cuore con i termini della nuova stagione - un iris, diciamo, col suo orecchio blu che sorveglia il battito cardiaco del futuro. La nota odierna, da Charlottesville, non è proprio così, nonostante l'abbondanza d'iris ed il rigoglio metaforico di cipolla e rododendro. Questo messaggio non ha messaggio, staccato dal suo significato, il paesaggio attento nel suo primo fuoco e splendore. Il mondo visibile non è più di un trompe l'oeil di chi desidera un momento di fuga dalla legge del Paradiso in cui ci ritroviamo. Lessi che il Paradiso non è una meta (O qualcosa così), e mi sembra vero: ciò che perdemmo non è stato ritrovato, non c'è rifugio nella trascendenza, 269 scrisse qualcuno altrove, certo, anche se qui nell'orticello non sembra, tra i fiori di pesco che cominciano a tinger le ali di rosa, qui, dove cadute non si prevedono. Che cosa ci riporta il mito dal mondo dei morti? Cosa comincia come una verosimiglianza e finisce in estasi, prendendoci per mano, portandoci dal silenzio all'afasia? Cosa ci scardina dalla roccia con tanto dolore, come se le sirene avesser qualcosa da dirci dalle loro spiagge di trifoglio, le parole di quella loro canzone traducibili, nota dopo nota? Come se l'inesprimibile fosse reso inesprimibile… A journal of souther rivers Ciò che rimane è ciò con cui inizi. Che c'entri, o anima mia, col Paradiso, ad esempio, è dove iniziai io, nel marzo 1959 - la mia domanda non è mai cambiata, l'angelo nero ha sempre dormito sulle mie labbra, sempre il lamento della colomba nella mimosa i volti blu dei trasfigurati due volte che chiudono i loro occhi di pietra. Amore per il mondo fisico, una gloria liquida, invece di un'eternità misurata dipinta e paralizzata da una fine all'altra, l'angelo nero ha sempre dormito sulle mie labbra, sempre il lamento della colomba nella mimosa, i volti blu dei trasfigurati due volte che chiudono i loro occhi di pietra. Viaggiamo con un piede in ciascun mondo, l'esserci è in ogni cosa come un sasso nelle scarpe, la via, e viaggiando Cielo coperto, vento del sud, il Montana al principio di luglio, 270 fuoco nella stufa, cardo, millefoglie e trifoglio rosso che risplendono sul vecchio sentiero. Due beccacce sfilano veloci sul prato. Uno richiama dall'acquitrino. Freddo giovedì piovoso. Se esistere è Essere, come dice Martin Heidegger, non c'è altra domanda, né altra risposta, importante. Attoniti, sgomenti, riguadagnamoci in questo mondo. Non ce ne sono altri. La luna intera e il cielo intero sono riflessi in una goccia di rugiada nell'erba. La profondità della goccia è l'altezza della luna Tutto svanisce oltre l'io, curvato o a picco. La secca erba estiva è fragile come capelli. Ammiriamo gli insetti che capiscono le vie celesti, la selva illuminata che ci abbaglia di tanto in tanto, la vicinanza del nulla, il solo spirito che giace alle radici di ogni cosa. Ogni agosto diventa simile all'altro, così tanti anni posati nudi sotto un cielo d'acqua. I suoni dell'estate sono ovunque: a cinquantadue anni, com'è difficile ancora affrontare tutto e non tirarsi indietro. Quante vite occorrono, quante occasioni prima che quella giusta sia recitata fino in fondo? Come fidarci delle parole certe e vere, scritte con inchiostro blu? L'ambra ricorda il pino? Il tuono di settembre prepara la barricata prima dell'attacco dall'altra parte del Blue Ridge. Le nuvole abbuiano strato a strato, il muso flash del lampo le brucia da sotto. 271 Il paesaggio si schiude a poco a poco alle scintille, alle leni sfere di pioggia. Quanto facilmente una cosa viene e un'altra va quanto presto diventiamo gli accoliti del nulla. E l'altare del nulla ci redime e ci rende compiuti ora per la prima volta, e ciò che siamo è ciò che non siamo, estatici e sconosciuti. Resiste soltanto ciò che iniziammo. Di chi sono le ombre che danzano capovolte nei fiumi del sud? Cinquantadue anni sono passati come il volgere di un palmo… Ars poetica Mi piace qui dietro sotto il verde svariare dell'albero del pepe e dell'aloe. Mi piace perché il vento sfronda le foglie senza una parola. Mi piace perché il vento si ripete e anche le foglie. Mi piace perché mi sento meglio qui che là, circondato da feticci e figure retoriche: dente di cane, dente di balena, scarpe paterne, il morto peso dell'inverno, l'indefinibile della gioia… gli spiriti sono ovunque. Ma quando li avrò richiamati dal cielo e volteggeranno e balleranno nel palmo della mia mano, cosa troverà soddisfazione? Avrò di nuovo le voci che s'alzano da terra, la stella caduta che nutre il mio sangue, questo traffico che mi logora il cuore. E niente che la fermi. 272 Ars poetica II Dopo tutti questi anni mi scopro credente - credo a ciò che tuono e luce hanno da dire; credo che i sogni siano veri, e che le rappresaglie della morte siano due; credo che il mio cuore sia colmo di foglie morte e acqua nera. Morirò come una nuvola, bella, bianca, piena di nulla. Il cielo notturno è un ideogramma, una perforata carta in codice. Penso di essere il verbo di ciò-che-verrà. Lo pensa, ma è solo la Biblioteca dell'Ultima Spiaggia, la luce riflessa del Grande Equivoco. Dio è il fuoco da cui i miei piedi sono trattenuti. Cicada Ho gironzolato tutto il mattino, aprendo e chiudendo libri, sedendomi su questa e quella sedia gocciolio continuo sul lucernaio, continuo ronzio di rimpianto. Ma chi ascolta il prossimo? Attraversata la stanza, librerie, attraversata la strada, alberi estivi. Senti cosa dice il libro: Questa luce terrestre ha un gusto che seduce, dolce e pericoloso. Resisti agli incanti dell'occhio. Anche se hai piedi imbrigliati da reti di bellezza terrestre, resisti alle gratificazioni dell'occhio. Mezzogiorno piovoso ai primi di settembre. Una cicala piagnucola, la sua voce comincia ad affogare nel mondo piovoso, nulla increspa il vento, nessun suono tranne la sua canzone d'ali nere, nessuna canzone tranne la canzone delle sue ali nere. Questo vuoto in cuore, questo vuoto al cuore dell'essere, ci riempe senza che possiamo recriminare, 273 modi immensi e senza nome, guscio ardente come ambra sulla corteccia, cicala fatta di vento, foglie che soltanto ora frusciano nell'albero scuro dell'io. Se il tempo è acqua che appare e scompare in un eliotropico ciclo, questa pioggia che scorre come in una clessidra fuori dalle finestre nella grondaia misura la nostra natura muovendo il nostro corpo a tempo di musica. Il libro però dice, il tempo non è muoversi di corpi ma memoria dei movimenti del corpo. Il tempo non è acqua ma memoria d'acqua: misuriamo quel che non c'è. Misuriamo silenzi. Misuriamo il vuoto. Chickamauga Frullo di colomba tra l'erba alta. Smalto di fine estate accanto alla porta sui guanti e sulle potature della magnolia. Rumori d'opera: bip di camion in retromarcia, mazzuolo, cicala, sirena di pompieri La storia ha in mano il nostro passato come frutta avariata luce a metà mattina di fine secolo, stessa cotonina sotto i peschi ci tocca qui. Ci tocca qui e qui. La poesia è un codice senza messaggi: l'essenza della maschera non è la maschera ma la faccia che sta sotto, assoluta segregata, derelitta e peregrina. Il pettine della storia ci strapperà ben presto dalle acque fredde della soddisfazione che ci spingono ad uno ad uno nella sua soffocante luce e aria. La struttura diventa un elemento di fede, sintassi 274 e grammatica un catechista, le loro parole quel che dice il rosario, parole sgranate per il nostro scontento. Venexia II Acqua alta, acqua alta, gabbiano ancorato come il battello di Rimbaud tra i detriti, gonfi sacchi di plastica sobbalzano come sugheri all'austero, granitico sguardo di Nostra Signora, Venezia Serenissima… La marea rode la punta delle scarpe, poi le urta sotto queste sono le acque scure, buia musica che ci scora e svuota solo per inondarci di dolce e invisibile pienezza, note di stupore, note nere per lasciar la vita. L'angelo della Morte, corno d'oro, manto d'oro, vacilla sulla prua della gondola, scintillante di pioggia, quieto nella sferza. Sotto la data del funesto destino in tempesta, brilla la sua solitudine marina e scivola splendida. Oltre la finestra, Rio San Paolo s'agita, fa burrasca. La luce del traghetto brucia come un'anima del Catar che torna sulla stanca marea che scende gli scalini inverditi della Salute. Questa ora è terminale, la sua campana roltola da Santa Maria Gloriosa dei Frari, ultimo anello nella catena della Speculazione, spingendoci sotto. Viene dall'acqua. Va all'acqua. Download 5.01 Kb. Do'stlaringiz bilan baham: |
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