Francesco bozza
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- Bu sahifa navigatsiya:
- Chiesa di S. Leonardo
- Cascapera
- 4.1 - S. Pietro Celestino Una nuova ipotesi di studio finalizzata alla individuazione del vero luogo di nascita di Petrus de Murrone
- Mo.E.
- Beato Roberto de Sale
- Ma avvenne in successo di tempo che , volendo il predetto prete intrare nella chiesa maggiore, un suo nemico con un colpo di ronca li spaccò la testa
di S. Leone, probabilmente edificata subito dopo il passaggio di Papa Leone IX nel 1053 “in loco Sale”, è stato già detto altrove. Ed è stato detto altrove anche del “benefizio sotto il tit.o di S. Giovanni della Serra” e di quanto del suo patrimonio rimaneva nel tempo in cui si compilò l’INVENTARIUM del 1712-13. Più di un elemento (il fatto di essere ‘senza cura’, il cattedratico che pagava, la posizione sul territorio,…) fa ritenere assai antica anche la Chiesa (v. paragrafo 2.1) del “Benef.o semplice senza cura (animarum) sotto il tit.o di S. Antonio Abate (o, nel menzionato Inventarium indifferentemente, ‘sotto il tit.o di S. Antonio de Vienna’)”, la quale era “distante dalla Terra de Limusani quasi un miglio nel luogo dove si dice le Macchie, e talm.te diruta, che non si possano ne meno giudicar le sue vestigia”. Potrebbe essere localizzata nell’attuale contrada ‘la Valle’, che ben soddisfa tutti i parametri indicati nella sua descrizione. E non è affatto da escludere che in essa (magari mutandone il nome in S. Pietro) Pietro del Morrone vi posizionasse l’eremo (v. capitolo seguente) fondato da lui in Limosano e che successivamente i suoi monaci sposteranno, nelle immediate vicinanze dell’abitato, a S. Maria della Libera. Deve essere qui menzionata anche la Chiesa di S. Leonardo, ‘diruta’ all’epoca dell’Inventarium (1712), che pure ne indica le dimensioni in palmi 38 x18; situava ad un centinaio di metri circa dall’antico Ponte sul fiume Biferno; siccome la devozione a tale santo si diffuse tra il X e l’XI secolo, è probabile essere stata edificata in quel periodo. E’ quello che ne viene fuori un ambiente nel quale, parallelo alle grandi strutture cenobitiche dove i ritmi della vita religiosa, più che seguire i dettami della ‘Regola’ e della organizzazione benedettina, sono scanditi dai tentativi di incrementare il relativo patrimonio, risulta molto diffuso un monachesimo spontaneo composto da eremiti solitari o da nuclei monastici minimi. Spesso non ortodosso, esso, che in molti casi è fatto da genuina idealità, da contestazione rabbiosa e, sempre, dal sacrificio estremo di una vita inumana, darà origine nel secolo XIII (anche se continuerà a vivere di suo) al movimento francescano ed al desiderio di separazione dal mondo che caratterizzerà non poco l’opera di Pietro del Morrone. Se è in qualche modo vero che “i complessi monastici, tra il X e l’XI secolo ebbero importanza nel determinare lo stanziamento di nuovi centri abitati, la rinascita di quelli parzialmente ed in gran parte abbandonati e il riattamento e l’ampliamento delle vie di comunicazione” 234 , è altrettanto vero che almeno tra le concause che determinarono la decadenza a partire dal XII secolo ed, infine (secc. XIII e XIV), la tendenza alla scomparsa delle strutture monastiche, che in precedenza da sole avevano controllato e gestito economicamente il territorio, è da inserire la formazione della ‘Universitas Civium’, che avviene nel momento in cui questa espressione inizia a sostituirsi al termine ‘Terra’, con il quale era stato in precedenza indicato un insediamento abitativo. In qualche modo e con gli elementi (non molti) disponibili, si tenterà di proporre una ipotesi di ricostruzione del paesaggio umano e geografico relativo all’area limosanese così come doveva presentarsi nel momento in cui stavano per iniziare quelle profonde trasformazioni, i 234 PIETRANTONIO U., op. cit., pag. 62. 128 cui effetti maggiori, nel tempo, vanno collocati tra il XIII ed il XV secolo (periodi degli Svevi e degli Angioini). Qualche dato per una ipotesi sulla presenza demografica, innanzi tutto, è possibile derivarlo dalle ‘Rationes Decimarum (1309)’. E così, stimando in 4000 unità il numero degli abitanti di Limosano (XIII secolo) secondo le indicazioni dei documenti della Collectoria t. 61 dell’Archivio Vaticano (v. paragrafo 1.5), il raffronto con le ‘Decime’, che indicano in “unc III (et) tar XXIIII” l’importo dovuto da Limosano, porta a determinare (4000/114) in 35 un coefficiente da moltiplicare per ogni ‘tarì’ di decima al fine di ottenere approssimativamente, ma abbastanza realisticamente, la popolazione di ogni insediamento abitativo. Con una tale logica si ha la seguente ricostruzione della geografia degli insediamenti antropici: A) alla destra del Biferno 01 – 5108 (Boiano): Clerici Campibassi unc. I CAMPOBASSO (30x35) 1050 02 – 5036 (Boiano): Clerici Rivi de Limosano tar XII RIPALIMOSANO (12x35) 420 03 – 5061 (Boiano): Clerici Montisagani tar XI MONTAGANO (11x35) 385 04 – 5075 (Benevento): Monasterio S. Marie de Faysulis tar V MONASTERO DI S. MARIA DI FAIFOLI (5x35) 175 05 – 5107 (Boiano): Clerici Colli Rotundi tar III COLLEROTONDO (3x35) 105 06 – 5038 (Boiano): Clerici Petrelle tar VIIII PETRELLA (9x35) 315 B) alla sinistra del Biferno 01 – 4851 (Benevento): Limosani unc. III tar XXIIII LIMOSANO (114x35) 3990 02 – 4840 (Benevento): S. Angelus de Limosano tar XXIIII S. ANGELO LIMOSANO (24x35) 840 03 – 4869 (Trivento): Castrum Ferrarium tar VI FERRARA (6x35) 210 04 – 4745 (Benevento): Prior S. Silvestri de Limosano tar III S. SILVESTRO DI LIMOSANO (il Priore) (3x35) 105 05 – 4749 (Guardialfiera): Clerici Liceti tar V LUCITO (5x35) 175 06 – 4755 (Guardialfiera): Civitas Campumarini tar VI CIVITACAMPOMARANO (6x35) 210 07 – 4879 (Trivento): S. Angelus (in Altissimis?) tar IIII S. ANGELO IN ALTISSIMO (?) (4x35) 140 08 – 4883 (Trivento): S. Petrus de Balneo tar XV S. PIETRO AL BAGNO (15x35) 525 09 – 4769 (Trivento): Rocca Episcopi tar VII ROCCA DEL VESCOVO (7x35) 245 10 – 4774 (Trivento): Castellucium de Lipiosano tar IIII.or CASTELLUCCIO DI LIMOSANO (4x35) 140 11 – 4928 (Trivento): Monasterium S. Joannis de Macla tar XV S. GIOVANNI (già S. Maria) DI MACCHIA (15x35) 525 12 – 5018 (Trivento): Clericis de S. Blasio de Macla bona tar VIIII 129 S. BIAGIO (già S. Bendetto) DI MACCHIA (9x35) 315 13 – 4732 (Benevento): Ecclesia S. Petri de Sala tar III S. PIETRO DI SALE (o Macchia Bona) (3x35) 105 14 – 4777 (Trivento): Fossaceca tar VIIII FOSSACECA (o Fossalto) (9x35) 315 15 – 4779 (Trivento): Petracupa tar III et ½ PIETRECUPA (3,5x35) 120 16 – 4872 (Trivento): Ecclesia S. Marie de Castenneto tar XVIII S. MARIA DI CASTAGNETO (18x35) 630 17 – 4930 (Trivento): S. Alexander tar VII S. ALESSANDRO (7x35) 245 18 – 4931 (Trivento): Clericis de Torella tar VII TORELLA (7x35) 245 Per una maggiore completezza della ricostruzione va aggiunto che, seppur non ricompresi nelle ‘Rationes Decimarum’, è notizia da fonti coeve anche di altri ‘Casali’, villaggi minimi ed assai modesti per dimensione. Di Cascapera si è già riferito. Il Casale di Covatta situava alla destra, e non molto distante dal fiume, del Biferno, a mezza strada tra Ripalimosani e S. Stefano di Campobasso; poteva contare una settantina di abitanti. Il Casale di Spiracolo, insediamento di una cinquantina di individui collegato al Monastero di S. Illuminata, era “sito in prossimità dell’abitato (di S. Angelo Limosano), e si ritiene che in antico tempo vi sorgesse un villaggio” 235 . Il Casale di Colle Alto, di una ottantina di abitanti, era al confine tra Castropignano e Torella “et proprie in loco ubi dicitur il Colle del Bove, ubi sunt tres confines, scilicet dictorum Territorium demanialium dicte Terre Castripignani, d.ti Feudi Coll’alti, et feudi nominati de Castelluccio, siti in pertinentiis Terre Fossececae”. A margine del quadro della presenza antropica, che i pochi dati disponibili, pur nella loro approssimazione, han fatto emergere, non si può prescindere da qualche annotazione essenziale. Innanzi tutto va detto che gli insediamenti abitativi sono ancora diffusi ‘vicatim’, e molto, sul territorio. Il numero, poi, della presenza umana vincolata dal lavoro, inteso come strumento di produzione, ed asservita agli ambiti giurisdizionali dei complessi monastici risulta ancora assai consistente. Vengono, infine, confermati, ed integralmente, tutti gli elementi utili alla ricostruzione degli aspetti geografici e, più importante, della vita socio-economica, già emersi dalla lettura dei documenti della citata Collectoria t. 61 dell’Archivio Vaticano. Quanto agli aspetti geografico-fisici, sono scomparse del tutto le aree paludose lungo il fiume ed, a dominare sul paesaggio, sono rimaste, ancora discretamente diffuse, la macchia cespugliosa ed il bosco, che, nell’agro di Limosano, sarebbero da posizionare nelle attuali contrade Cese, Selva, Selvitella, Foresta, Macchie e Bosco Fiorano. Le ampie zone di incolto si intervallano ancora con le parti coltivate, che, estese per la gran parte intorno ai piccoli ‘Casali’ sono gestite da quei monaci, che, se talvolta e per scelta conducono vita eremitica, assai spesso sono veri e propri amministratori di patrimoni monastici non altrimenti controllabili, rientrano, comunque e sempre, ancora nel disponibile delle grandi strutture cenobitico-curtensi. Circa gli aspetti socio-economici della vita di allora è, prima di ogni altra cosa, emerso che gli esponenti del Clero, sia secolare che regolare, riescono ancora a contrastare nello scontro fattosi aspro, l’affermazione del ‘dominus’ laico. Il loro comportamento nella società, vivendo quasi tutti more uxorio con donne, è caratterizzato soprattutto dalla grave piaga del nicolaismo. 235 MASCIOTTA G.B., II, pag. 332. 130 E se gli esponenti del Clero e di quella borghesia intellettuale, sorprendentemente assai diffusa e particolarmente attiva, si trovano al vertice della scala sociale, sul gradino immediatamente più basso vi sono i “millecinquecento uomini armigeri di quella Terra (= Limosano)”, i quali, però, non sembra costituiscano una vera e propria classe sociale, bensì sono i lavoratori ‘attivi’ più agiati, che solo all’occorrenza si fanno carico dei compiti militari. I prodotti (armi, attrezzi di lavoro ed utensileria varia) della fiorente ed assai diffusa ‘industria’ locale del ferro, vengono fabbricati nelle caratteristiche ‘fucine’ ricavate dalla massa tufacea su cui situa l’abitato limosanese. Superati gli schemi dell’economia curtense, risulta molto praticato il commercio, se è vero che anche dai centri viciniori coloro che vogliono comprare o vendere qualcosa vengono a Limosano e vi trovano quanto cercano. La produzione artigianale, oltre che nelle tante ‘poteche’ concentrate davanti alla ‘casa della Terra’ ed in quella piazza, che per secoli ha significativamente mantenuto il nome di ‘piazza de le botteghe’, viene venduta anche in forma ambulante dai ‘caldararj’, che arrivano sino a Benevento, a Lanciano ed ai centri della Puglia dauna. E con essi è fiorente e frenetico anche il via vai di quei “molti uomini che conducono somari carichi di frumento e di orzo”. Alla base della piramide la classe più consistente è formata dagli “homines laborantes terras”. Ed essendo scarso il coltivabile nella loro Terra, la quale “ha un territorio che da quel lato dove più si estende non si estende per oltre un miglio”, gli uomini di Limosano vanno a lavorare le terre di S. Angelo, di Ferrara, di Castelluccio e di Cascapera. E la mancanza di terra non è il solo problema dei limosanesi di allora. Difatti, siccome nel territorio della loro Terra “non vi è legna sufficiente", essi sono costretti ad andare per legna al territorio di Cascapera, di S. Angelo e di Ferrara. E, poiché spesso si recano anche ai boschi di Montagano e, soprattutto, perché conducono gli animali nei boschi di Trivento e di Petrella, può succedere che persone ed animali vengano “catturati (capti)” dai guardiani dei boschi. Ed in simili circostanze non sono infrequenti gli scontri armati. E, da ultimo, poiché “nessun pozzo o fonte sta in quella Terra o nel suo territorio, eccettuate due fonti od una di acqua amara, ovvero salza, esistenti ai piedi del Tufo”, gli uomini e le donne sono costretti a recarsi sino al fiume per l’approvvigionamento dell’acqua necessaria per la sopravvivenza. A mo’ di conclusione, si può affermare che, pur tra condizioni di mille difficoltà e di una certa drammaticità, la società limosanese di allora è quella di un centro agricolo molto sviluppato e preminente sul territorio. E questa sua presenza non poteva non venire che da assai lontano ed era certamente di ‘lunga durata’ 236 . 236 BOZZA F., Limosano: società e geografia dopo l’anno mille, in Vita Diocesana di Campobasso, 15 settembre 1998, pag. 6. 131 CAPITOLO 4° LA ‘RELIGIONE’ CELESTINA ED IL MONASTERO DELLA ‘LIBERA’ 132 133 LIMOSANO: Localizzazione del Monastero di S. Maria della Libera dell’ordine dei Celestini 134 4.1 - S. Pietro Celestino Una nuova ipotesi di studio finalizzata alla individuazione del vero luogo di nascita di Petrus de Murrone monachus, filius Angelerii, l'eremita, che poi, col nome di Celestino V, diventerà papa, potrebbe venire da una seria ricostruzione critica della progressione cronologica e bibliografica delle fonti e delle sue biografie più significative. 135 Non è il caso di prendere in considerazione la Bolla di Papa Gregorio X, del 22 marzo 1274, di confermazione della Congregazione dei frati di Pietro del Morrone, sorta già verso il 1240 ed alla quale il Papa Urbano IV, il 1° giugno 1263, aveva dato la Regola di S. Benedetto, semplicemente perché in essa non si trova menzione alcuna della patria dell'eremita. E neppure "è il caso di prendere in considerazione la Bolla del Vescovo di Isernia Matteo del settembre 1276; in essa niente è detto, neppure sottinteso, che si riferisca alla nascita del Religioso Fra Pietro,..." 237 . Nonostante abbia trovato eccessiva fortuna tanto da rappresentare "il primo argomento a favore di Isernia" 238 e nonostante (ma forse proprio per tale motivo) sia sin troppo esplicita e precisa nel riportare che "igitur quia ysernienses aliqui cives nec non et quidem alii forenses in unum coniuncti glutino caritatis, opera et labore religiosi viri fratris Petre de Murrone huius civitatis Ysernie civis, ut certo tempore eorum operibus ipsis et pauperibus convivia preparent, ut nemini per eos lesio fiat, ut sacrificia Deo libent, ut infirmi visitentur, pauperes ex ipsis in necessitatis tempore substententur et aliis bonis operibus insistant, Fratariam seu Fraternitatem fecerunt;...", nemmeno la Bolla del Vescovo Roberto, del 1° ottobre 1289, costituisce prova ed argomentazione sicura. Prima di tutto perché vi osta tanto l'attento esame linguistico sia delle parole che della composizione testuale quanto quello formale dell'atto. In secondo luogo perché il documento, "conservato in pergamena in folio nell'Archivio Capitolare" 239 di Isernia [ma l' isernista "Ciarlanti, ottimo conoscitore" di tale Archivio, il quale pubblica le sue Memorie historiche del Sannio (1644) quasi contemporaneamente e, forse, con e per gli stessi interessi del Telera (1648) e dello Spinelli (1664), "non facendo menzione neppure ad nudam notitiam di questa Bolla del Vescovo Roberto", mostra di non conoscerla e, pur essendogli nota "la Vita scritta dal Marino (1630), favorevole a S. Angelo Limosano", "non ha la minima premura di confutarne gli argomenti"], "rimonta al secolo XVI" ed è rappresentato "da una copia semplice, non autentica" 240 . E, da ultimo, perché tali circostanze tutte si associano al fatto che "il primo ad addurre tale Bolla a favore di Isernia fu Celestino Telera, nelle sue Historie sagre degli huomini illustri per Santità della Congregatione de' Celestini" 241 . Ma sul Padre Telera da Manfredonia, che "invece di curare l'edizione dell'Autobiografia totalmente conforme all'originale, qua e là, anzi in più punti, ne alterò il testo e dimostra di non potersi rassegnare al fatto che S. Pier Celestino fosse nato in un castello piuttosto che in una città" 242 , "che affidamento possiamo fare, alla luce dei suoi falsi?" 243 . Al contrario e tenendo nella dovuta considerazione: a) che l'abbreviazione Mo.E., in caratteri gotici, potrebbe ben stare per Mosane, b) che, come aveva già indicato il De Angelis, Ausoni potrebbe ben essere errore del copista nel trascrivere il genitivo della parola Musane e c) che dai Registri della Cancelleria Angioina (Vol. XIV, pag. 145, n. 93), coevi a Pietro del Morrone, e dai manoscritti della Collectoria t. 61 dell’Archivio Vaticano (v. capitolo 1°) si assegna sempre a Limosano, come esclusivo parametro di localizzazione amministrativa, perfettamente in linea con quanto a molte fonti della storia celestiniana, il trovarsi "in 237 DE ANGELIS E., La Patria di S. Pier Celestino, Ravenna 1958, pag. 17. "La Bolla del Vescovo Matteo, conservata in originale autentico nell'Archivio Capitolare di Isernia, è diretta ai Religiosi Fra Pietro del Morrone, Abbate di S. Maria di Faifoli, Diocesi di Benevento, ed ai suoi frati, dimoranti presso Isernia, nella Chiesa di S. Spirito dell'Ordine di S. Benedetto, costruita di nuovo. Nel corpo della Bolla è detto né più e né meno che 'il Vescovo Matteo, col consenso di tutto il Capitolo, nel IX anno del suo Episcopato, esenta dalla giurisdizione vescovile il Monastero di S. Spirito presso Isernia'". 238 DE ANGELIS E., op. cit., pag. 17. 239 FAGIOLO V., Le Confraternite, Campobasso 1996 (postfazione di BUCCI O.), pag. 122. 240 DE ANGELIS E., op. cit., pag. 17. 241 DE ANGELIS E., op. cit., pag. 18. 242 DE ANGELIS E., op. cit., pag. 47. 243 DE ANGELIS E., op. cit., pag. 54. 136 Justitiariatu Terre Laboris", il cui ‘Giustiziere’ titolare vi si reca per gestire la “Iurisdizione” e per esercitarvi la giustizia; il contenuto dei codici e dei documenti, dai più antichi di fine secolo XIII [per es.: il Prologo (1296) di Roberto de Sale, che recita "in castello Sancti Angeli natus dicitur"] e del successivo [per es.: la Vita 'C' (1303-1306) riferendosi a S. Maria di Faifoli, dice "quod erat in provincia unde ipse exiterat oriundus" e il Ms. C. I. V n. 68 Biblioteca Marciana, il cui modello della terza parte "o fu tracciato contemporaneamente al modello della seconda, o fu elaborato prima del 1319" ed "ebbe per copista il padre celestino Stefano Tirabuschis", riporta, in caratteri gotici del 1400, "in provincia de terra de Mo. E., in uno castello chiamato Sancto Angelo"] a quelli del XV [per es.: la Vita Beatissimi Confessoris Petri Angelerii (1471/1474) di Stefanus Litianus, Abbas Generalis Coelestinus, dove si legge "Petrus de Castello Sancti Angeli, comitatus Molisij, prope Limosanum" e, riferito al luogo della monacazione, "in quo et ipse recepit monasticum habitum, cui nomen erat Sancta Maria in Fayfolis, prope terram Limosani et Sancti Angeli castellum, unde iam ipse oriundus fuit"] e sino a quelli del XVI secolo [per es.: la Vita (1520) di Notturno Napolitano recita "una città Lemusane apellata"], può ben essere riassunto nelle parole del documentato e criticamente severo Daniele Papebrochio: sunt tamen vetusta Mss. (quorum pars prior scitur ex Prologo scripta esse a B. Roberto Salentino) ubi in Castello S. Angeli natus dicitur, et Nocturnus Poeta Limosinum sancti patriam facit: (quae duo loca situ coniunctissima sunt). A questo punto, un dubbio: ma non è che debba leggersi nella storia della Religione celestiniana, dopo il Concilio di Trento e, con determinazione ancora maggiore, a partire dai primi anni del secolo XVII, un tentativo, tanto evidente nei fatti quanto nascosto ed occultato dalle fonti, di spostare da S. Angelo ad Isernia la patria di Pietro del Morrone? Ad esso, pare, faceva riferimento già Mons. De Angelis, quando scrive: "la leggenda dice che il santo nacque in Isernia dei Sanniti. Quale è la fonte? La letteratura storica del 1600, i cui migliori esponenti sono due: Arnoldo Wion della Congregazione Benedettina di S. Giusta in Padova col suo Lignum Vitae (Venezia 1595), ed il Marini (Vita et Miracoli di San Pietro del Morrone già Celestino Papa V, Milano 1630), forte del ricchissimo Archivio dell'Abbazia di S. Spirito del Morrone" 244 . Lo stesso Marini, che, "come Abbate Generale della Congregazione Celestina, ebbe a sua disposizione documenti copiosi e sicuri, lavorò con diligenza, intensità e scrupolosità senza pari, e si recò di persona nelle varie città, sedi di Monasteri Celestini, per raccogliere notizie e documenti" 245 , "aiutato nelle ricerche dall'Abbate D. Francesco Aielli" 246 , ne lasciava intravedere l'esistenza, quando scriveva che "La patria del Santo secondo l'opinione volgare fu Esernia... Altri scrittori nondimeno hanno lasciata memoria, che il luogo dove nacque Pietro, fu un Castello chiamato S. Angelo: Così hanno alcuni Manuscritti antichissimi, la prima parte dei quali si professa nel prologo, che fu lasciata scritta di propria mano da un Monaco di Santa vita discepolo del Santo e si ha che fu Beato Roberto de Sale (nota: per la localizzazione, si noti la particolarità dell’espressione)". Ma era il Marini documentatissimo, per un verso, e, per l'altro, costretto da superiori esigenze a mettere in evidenza, a fronte ed in contrasto con le risultanze dei Manuscritti antichissimi esaminati (ne indica: uno che "ora vien conservato dal Molto Reverendo Padre Abbate Don Francesco d'Aielli" ed altri "duoi manuscritti antichissimi, nei quali è descritta la vita del Santo assai minutamente uno dei quali in carta pergamena fu trovato da me gli anni passati in occasione di visita nell'Archivio del nostro Monastero di San Nicolò dei Celestini di Bergamo, e questo fu scritto da un discepolo del Santo,...; l'altro... fu scritto da altri discepoli separatamente, secondo che avevano visto"), i quali coincidono con gli stessi vetusta Mss. del Papebrochio, 244 DE ANGELIS E., op. cit., pag. 35. 245 DE ANGELIS E., op. cit., pag. 11. 246 DE ANGELIS E., op. cit., pag. 30. 137 che indicano, come patria di Pietro, il Castello chiamato Sancto Angelo, il formarsi, in quel preciso momento storico, della opinione volgare, che deve favorire e privilegiare Isernia. I 'falsi' del Telera, successivamente, rappresenteranno solo ed esclusivamente la fase terminale di quell'intervento tipico della e da Controriforma. Per inciso: una delle prime biografie di Pietro del Morrone "fu lasciata scritta di propria mano da un Monaco di Santa vita discepolo del Santo e si ha che fu Beato Roberto de Sale". Questa località di origine del Beato Roberto, Sale, è la stessa di quel "loco Sale iuxta Bifernum fluvium" del Chronicon Volturnense del monaco Giovanni (III, 332 A e B), 'sconosciuto' per gli storici, ma che trova la sua precisa collocazione geografica nell’omonimo corpo feudale confinante col "Casale di Castelluccio", il cui clero nelle Rationes Decimarum del 1309 "solvit Tar. IIII.or", ed "è di tomuli mille, e cinquecento incirca" e dove, dominato dal Monastero di S. Pietro de Sala, che, anch'esso, nelle Rationes Decimarum del 1308-1310 "solvit Tar. III", si era accampato col suo esercito Papa Leone IX il 10 giugno 1053 "cum... contra Apulie fines pergens". Quel corpo feudale era, ed è, come S. Angelo, nell'area limosanese e "li Territorij detta la Sala è terminata dell'infratto modo: Incomincia alla strada publica dello Fiume nominato Biferno, quale strada se nomina lo passo della Covatta, e se ne vene sempre per la strada publica suso in sino alla strada che se piglia per andare alla Fonte della Valla, seguitando per lo Frattale traverso, che esce sotto detta Fonte, e se ne vene sempre strada in sino à Fonte Faucione alla Confina, che è fra S. Angiolo, e Limosano, e del resto confina da ogni banda con lo Casale di Castelluccio e Territorij di Fossacieca" 247 . Più che una pura coincidenza geografica di nomi, la circostanza starebbe a dimostrare che anche il Beato Roberto de Sale, biografo tra i primi e, sempre tra i primi, seguace filiale e fedele, era, e non poteva non esserlo, originario degli stessi luoghi in cui era nato il suo Maestro. E rappresenta, inoltre, un ulteriore punto a favore del Castellum Sancti Angeli come patria di Pietro del Morrone. Tornando all'intervento modificativo esterno ed accertatane l'esistenza, quali furono le motivazioni, le modalità attuative e, soprattutto, le finalità? Il privilegio, di lunga data e quasi esclusivo, di poter disporre della ricchezza, tanto patrimoniale e fondiaria che del circolante monetario, permetteva al Clero, secolare e regolare, sia nei singoli esponenti che nelle specifiche istituzioni, di menare, e contro ogni morale, vita dissoluta, godereccia e scandalosamente concubina. Più che la cura delle anime, l'unica preoccupazione sua era quella di imitare, se e quando già non vi appartenesse per nascita, i modi di vivere degli esponenti della classe feudo-baronale. Così che parrocchie e conventi erano diventati, pur se una siffatta situazione di disagio non va assolutamente ed in nessun caso generalizzata, ricettacolo di amanti e di prostitute 248 . Derivata da quella cultura monastica alto medievale, che in origine si era concretizzata nell'amministrazione delle attività economico-produttive al servizio dei villaggi-curtes, la gestione dei patrimoni ecclesiastici, via via sempre più ingenti e nel cui alveo anche le cose del sacro erano state ricondotte, si era, col trascorrere dei secoli, mondanizzata, degenerando nello strozzinaggio e nell'usura. Così che la concessione, ad interessi insopportabili, di prestiti, e 247 ASC, Protocolli Notarili, Not. Santoro di Fossaceca, atto 8 luglio 1596. 248 Significativo quanto accadde nel 'Conventino', il primo dei Frati Cappuccini fondato (1530) nel Molise ed il sesto di tutto l'Ordine, di Castelluccio Acquaborrana (Castelmauro). Trascriviamo dalla "Cronichetta", già citata, pag. 531: "Questo fu uno dei primi luochi pigliati in questa nostra Provincia, il quale sì per la paucità di frati come anco per che un vicario del vescovo forzatamente introduceva in detto luogo una sua amica contro il voler de frati, da quali quantunque avisato et pregato ad emendarsi, altramente, pigliandosi li calici, harrebbono lasciato il luogo, persistendo nella sua occecatione et pertinacia, fu da frati lasciato il luogo per vivere conforme la loro purità. Del che poco lui curandosi, il Guardiano d'esso luogo disse che Iddio benedetto l'haverrà castigato per detta insolenza conforme meritava il suo peccato. Ma avvenne in successo di tempo che, volendo il predetto prete intrare nella chiesa maggiore, un suo nemico con un colpo di ronca li spaccò la testa et morse malamente". 138 monetari e di derrate, rientrava tra le normali attività di monasteri, conventi, parrocchie, confraternite e di quant’altro era all'ombra delle Chiese. Da ultimo, ma non per importanza, grosse e compromettenti devianze dalla ortodossia dottrinale ed, a queste riconducibile, il diffuso traffico di increduli, ebrei e musulmani, già schiavi o da schiavizzare, erano assai presenti nelle strutture del Clero, sia regolare che secolare, come dimostrano i frequenti scontri che si verificavano al loro interno. Le ragioni tutte, cioè, che portarono alla Riforma protestante, le cui radici affondavano in un passato lungo di secoli e che, come la Controriforma, durerà, tra resistenze e difese di interessi più o meno nascosti, ben oltre il Concilio di Trento e certamente per tutto il secolo XVII, si vissero anche dai Celestini e pure nello specifico molisano. Come quelli, se non in misura maggiore, di altre osservanze, i monachi della Religione dei Celestini dovettero risultare coinvolti in sconcezze, sregolatezze e dissolutezze 249 di tale gravità da consigliare ai Superiori della Congregazione di ridare ad essa una nuova immagine, di ridescriverne la storia e, se fosse stato necessario per ri-ottenerne la credibilità di un tempo, di mutare le origini stesse all'Ordine e (perché no?) al suo Santo Fondatore. Era, inoltre, necessario riportare con ogni mezzo la Congregazione nell'alveo della ortodossia, dalla quale alcuni suoi esponenti avevano deviato. Si principiò a por mano ad una tale operazione chirurgica, decisa a Concilio di Trento terminato e che aveva per obiettivo mutamenti tanto radicali quanto complessi, sin dagli ultimi decenni del XVI secolo, come dimostrerebbe la presenza (v. nota 13) nel 1571 a Limosano di Fra' Antonio de' Diano con l’incarico di Commissario deputato per il Rev.mo Generale de' Celestini. 249 E come a Trivento "c'era un convento maschile di Celestini in cui entravano donne, in cui non si osservavano le regole ed in cui si commettevano mali di ogni genere" (v. DELMONACO A., Quelli della Pietra cupa... cit., pag. 117), così anche per il Monastero di Limosano, dove nell'anno 1571 (24 agosto) è provata la presenza di un "commissario deputato per il Rev.mo Generale de' Celestini", mentre è Priore il Rev.mo Albano, "ordinis ac congregationis S.ti Benedicti, monacus celestinianus", è da ipotizzare molta rilassatezza nella vita monastica. Un ‘modus vivendi’ del genere durò per un periodo di tempo assai lungo. Lo proverebbe quel memoriale, del quale parla il Not. DE BARDIS Giulio Cesare di Trivento in atto del 1° Ottobre 1645 (ASC, Protocolli notarili), e di cui “tenor Memorialis est: Ill.mo ac R.mo Sig.re Il Procuratore Generale de Celestini dice a V.S. Ill.ma come ad istanza di Malevoli di detta Congregat.ne fù dato a V.S. Ill.ma memoriale contro il Padre D. Pietro de Mercone (il quale almeno dal 7 Gennaio 1742 era ‘Prior Sancte Marie ad Maiellam Civitatis Triventi’) di negotij illeciti, e per V.S. Ill.ma fù ordinato che se ne pigli informatione, e per opra di detto Malevole fù commessa ad un Prete parente suo, il quale Comm.o senz’altra informat.ne subbito cacciò da dentro Monasterio il detto P.re, et le pigliò trentatrè tommola di grano, doi tommola d’orgio, doi tommola di fave, alcune pezze di Cascio, un poco d’oglio, et sale, e tutti l’utensili, biancarie, caldare, legne, candalieri, e sequestrato il Calice, le quale cose sono tanto per servitio, et uso del detto povero Monasterio, e per tale effetto ??>, per tanto supplica V.S. Ill.ma resti servita ordinare che subito siano restituite…”. 139 Negli anni che seguirono alla vicenda (1604-1615) di Suor Giulia de Marco 250 , quasi certamente quell'operazione ebbe un'accelerazione fortissima. Tanto che Papa Paolo V, nel gennaio del 1616 e, quindi, dopo appena sei mesi dalla conclusione di quella vicenda, approva le nuove Constitutiones della Congregazione dei Celestini, nelle quali figura l'elenco delle 'Abadie, Priorati e Chiese' allora esistenti, tra cui il Monastero di S. Pietro a Limosano, che in questo preciso momento storico cambia anch’esso la titolazione per diventare "di S.ta Maria de' libera, Monasterio di S.to Pietro Celestino". Semplice coincidenza di date? Ed i vari e quasi singolari donativi patrimoniali al monastero di quel centro da parte di alcune nobildonne delle Terre circonvicine sono pura casualità? O non stanno a dimostrare che la vicenda di Suor Giulia ebbe anche nella provincia un seguito maggiore di quanto dica, o le si faccia dire, la cronaca del tempo? Dopo aver tentato di renderne visibile un minimo di credibilità, l'intervento di rifondare la Congregazione Celestina può dirsi del tutto esaurito con la relazione seguita all'inchiesta voluta e ordinata dalla "santità di N. S. Innocenzo X per (mezzo di) un decreto pubblicato li 22 250 Per una prima conoscenza della vicenda di Giulia de Marco, molisana di Sepino, si veda MASCIOTTA G.B., II, pag. 361-366. Costituendo essa una chiave di lettura assai interessante ed originale per la comprensione della storia e della società del '600, ne riportiamo i tratti essenziali che prendiamo, passim, dall'articolo di PALUMBO C., Giulia De Marco una molisana tra i protagonisti del Quietismo a Napoli nella prima metà del '600, in AM 1992, I, pag. 155 e segg. Nel 1575, "Giulia De Marco nacque a Sepino, in provincia di Campobasso, da un bracciante e da una turca convertita al Cattolicesimo. Servì, in qualità di domestica, nella casa di un negoziante di Cava, prima in Campobasso e poi a Napoli. Uno staffiere la rese madre. Ravvedutasi, rivestì l'abito del Terzo Ordine di S. Francesco. Ma, giovane intelligente e astuta, non ritenne di doversi rassegnare ad imitare la Maddalena del Vangelo. All'età di trent'anni scelse come suo confessore il P. Aniello Arcieri e seppe presto acquistarsi fama di grande santità, riuscendo così a far correre presso di sé gente di ogni sesso e condizione, ingannata dalla sua finta santità. (...). I seguaci di Giulia e di P. Arcieri si distinguevano in due categorie: i nuovi affiliati e gli intimi. I nuovi affiliati, o novizi, venivano attratti e resi costanti mediante un'apparente rettitudine di vita e santità. Gli altri, ormai assicurati al carro di Suor Giulia, venivano gradatamente istradati nella via di una degenarazione morale. (...). Fra tutti gli affiliati si distinse l'avvocato Giuseppe De Vicariis, colto e, ancora, furbo. Fu allora che venne fondata una Congregazione, nella quale si tenevano conferenze serotine con un numero limitato di dieci uomini e di dieci donne per volta. Ma l'inquisitore Mons. Adeodato Gentile, che diffidava delle voci di santità accreditate dalla folla,..., volle procedere ad un'inchiesta. Il risultato fu quale si prevedeva: gravi disordini morali, uniti a sconcezze. Il P. Arcieri fu chiamato a Roma e sospeso dalla confessione; Giulia fu rinchiusa nel Monastero di Sant'Antonio da Padova in Via Costantinopoli. In seguito, Mons. Gentile,..., fece relegare Giulia in un monastero di Cerreto, e poi in un monastero di Nocera. Ma l'interessamento e le pressioni dei Reggenti e dei Consiglieri del Collaterale ottennero che Giulia ritornasse a Napoli, dove fu accolta al suono delle campane e dal popolo inginocchiato a riceverne la benedizione. Presto ricominciarono le riunioni serotine, nelle quali i congregati amavano confessarsi a Suor Giulia, chiamandola mamma,... Finalmente quattro Sacerdoti, stanchi della vita menata nell'assistere alle riunioni serotine, rivelarono ogni cosa al teatino P. Benedetto Mandina. E, questi sostituito, d'accordo con altri confratelli, ma contro il parere del P. Generale, il quale temeva l'odio e le persecuzioni dei potenti partigiani di Giulia e ignorava la gravità dei fatti, riferirono ogni cosa anche al nuovo inquisitore; ma questi,..., ben presto finì per cedere alle pressioni del Viceré. I Teatini allora comunicarono ogni cosa direttamente a Roma, e da Roma venne l'ordine di condurvi "Suor" Giulia e il De Vicariis. A Roma andarono contemporaneamente alcuni figli di Giulia: persone di alta nobiltà e con molto denaro, ma, come la loro madre, furono chiusi in carcere e vi rimasero fino all'aprile del 1615. Il 2 luglio di quello stesso anno Giulia, il P. Arcieri e il De Vicariis fecero la loro pubblica abiura nella Chiesa di S. Maria sopra Minerva. Ivi, per espresso volere del Papa, Paolo V, furono presenti, oltre al Tribunale Supremo dell'inquisizione, l'intero Collegio dei Cardinali, una eletta e folta rappresentanza di Arcivescovi e Vescovi, una moltitudine mai vista di popolo. Subito dopo le abiure furono lette nel duomo di Napoli affinché tutti potessero riconoscere la verità". Tra le numerose lettere scritte a Giulia si conservano quelle a firma di "Religiosi e religiose d'ogni Ordine o Congregazione, (di) Titolati ed Autorità illustri di Napoli, Roma, Milano, Genova,..." e (di) molti Cardinali ed Esponenti della Chiesa. 140 di dicembre 1649, (col quale si stabiliva) che tutte le Religioni debano dar relatione dello stato de propri monasteri". Poco note le risultanze dell'inchiesta innocenziana che riguarda l'Ordine dei Celestini. Pur tuttavia sappiamo, e senza ombra alcuna di dubbio, che alcuni monasteri storici di quella Religione, come Limosano, vengono, intorno al 1650, irrimediabilmente abbandonati a se stessi. E sappiamo, sempre senza ombra alcuna di dubbio, che sulla Congregazione Celestina, a partire dalla metà del secolo XVII si abbatte quel ciclone che ne doveva spazzare via e per sempre la presenza dalla storia. La progressione del disegno modificativo, alla cui concretizzazione partecipano i massimi esponenti dell’Ordine Celestino, coincide perfettamente con quella delle date delle biografie che danno Pietro del Morrone nato ad Isernia. E' del 1595, quando appena pochi anni (una quindicina) sono trascorsi dal periodo in cui è documentata la presenza di Commissari nei monasteri dell'Ordine, il Lignum Vitae del Wion, che scrive "Aeserniae in Samnitibus humili in loco natus est (è nato in un modesto luogo di Isernia nelle zone Sannite)". Sulle capacità di falsificazione e sulle intenzioni di Arnoldo Wion, che risulta essere stato il primo ad aver fatto il nome di Isernia, si vedano (in DI MEO, Annali …, ad annum 1058, VII, p. 372) i tentativi di falso sulla vita di Papa Gregorio VII, già Desiderio, il quale, originario di Benevento, ‘deve’ “vestire l’abito di monaco nella Cava”, anziché a S. Sofia di Benevento, dove per molti anni visse. E' del 1630, solo, cioè ed ancora una volta, quindici anni più tardi dalla conclusione della vicenda di Giulia de Marco, l'opera del Priore della Congregazione dei Celestini, Lelio Marini, che, come la riferita traduzione letterale dal Wion, lascia ancora seri dubbi. Già si è detto del lavoro (1648) del Telera, Abate Generale dell’Ordine dei Celestini, completamente acritico e non rispettoso dei fatti. Ed è del 1664 e, quindi, a risultati dell'inchiesta innocenziana acquisiti, la Vita di Vincenzo Spinelli, anch’egli Abate Generale della Congregazione dei Celestini. Dimostrato (v. De Angelis, pag. 29 e segg.) che è di "epoca susseguente al 1662" anche il manoscritto della Bolla di Darius Aeserniensis civis, Episcopus, che ne falsifica persino la data di nascita, va aggiunto che anche la 'lezione' del Breviario Romano, che, prova forte per i laici, vuole Pietro del Morrone nativo di Isernia dei Sanniti, ovviamente raccoglie le risultanze dell'inchiesta di Papa Innocenzo X, essendo "in uso dal 1668". Ora, atteso che attualmente del Celestinianesimo poco o nulla rimane, va registrato che di quell'intervento modificativo ordinato dall'autorità superiore, come delle tante interessate biografie, l'unico risultato che resta consiste nell'aver spostato il luogo natale di Fra' Pietro dal Download 5.01 Kb. Do'stlaringiz bilan baham: |
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