Francesco bozza
Download 5.01 Kb. Pdf ko'rish
|
- Bu sahifa navigatsiya:
- Scontrone
- Celestino V
- Niccolò da Limosano
- 4.2 - Dal Cenobio di S. Pietro al Monastero di S. Pietro Celestino
- Lo laco
- Monistero
- Hanno esse parti dichiarato che nel mille ottocentoventisette la Chiesa di Santa Maria della Libera bisognosa di varie riattazioni
- La campana in parola e dell’altezza di palmi tre ed un quarto, e del diametro di palmi due e mezzo, in essa vi è nella parte superiore un’iscrizione
Castellum S.ti Angeli ad Isernia. Perché esso, teso solo al mutamento dell'immagine, non poteva riuscire a sradicare il marcio che, nella realtà molto profondo, venne diagnosticato come male appena superficiale. E, come sempre e da sempre accade quando si misconoscono e si falsificano i fatti, "per molto contribuì a distruggere il Celestinianesimo corrotto, ma per nulla a rifondare il nuovo". Quanto alle tappe della vita di S. Pietro Celestino, ci si limita a dire delle essenziali. “Pietro del Morrone, figlio di Angelerio e di Maria Leone, nasce nel 1209 in provincia (Giustizierato) di Terra di Lavoro…” 251 . Prima del 1230 entra nel Monastero benedettino di Santa Maria di Faifoli, “prope terram Limosani in quo et ipse recepit monasticum habitum [presso la Terra di Limosano (perché non viene usato il parametro geografico della vicinanza con Montagano?), dove egli ricevette l’abito monastico]”. Per ottenere l’autorizzazione papale a condurre vita eremitica, si incammina, intorno al 1231, verso Roma, ma si ferma dapprima in una grotta della località Scontrone, non distante da Castel di Sangro, e poi sul monte Polleno (attualmente Porrara), “dove trascorre tre anni in una caverna scavata nella roccia” 252 , secondo le costumanze e gli usi (che ricordano quei 251 GRANO A., La leggenda del chiodo assassino, Napoli 1998, pag. 11. 252 GRANO A., op. cit., pag. 12. 141 numerosi siti cenobitici limosanesi ricavati sulle ‘morge’) assai diffusi tra gli eremiti con la vocazione della estrema solitudine. Va, tra il 1233 e l’anno seguente, a Roma, dove, alloggiato presso il Laterano, dopo aver compiuto con diligenza gli studi, viene ordinato sacerdote. Ritiratosi, intorno al 1235, sulla montagna del Morrone, nei pressi di Sulmona, inizia a vivere in caverne ricavate dalla roccia insieme ad alcuni suoi primi discepoli. La santità della sua vita attira, tra il 1240 ed il 1245, molti pellegrini e seguaci; lui, per evitarli, si ritira sulla Maiella in spelonghe sempre meno accessibili. Il 1° Giugno del 1263 Papa Urbano IV incarica il Vescovo di Chieti, nella cui diocesi giurisdizionalmente rientrava la Maiella, di assoggettare alla regola del monachesimo benedettino (i timori del nuovo ed il modo antico di gestire e di essere attaccati al potere, evidentemente, lo fanno ancora preferire al recente francescanesimo) il movimento eremitico, formatosi spontaneamente intorno a Pietro del Morrone, che poteva contare tra l’Abruzzo ed il Molise già su ben 16 ‘loci’ frequentati da circa 600 ‘monachi’. E tra essi è quasi certamente da annoverare il primitivo eremo di S. Pietro, a Limosano, fondato direttamente e di persona da Pietro. Per ottenere la canonica approvazione della sua Congregazione e per sottometterla al Papa, nel 1273 parte, ultrasessantenne, per recarsi a Lione, dove era in corso un concilio ecumenico. Il Papa Gregorio X, dopo aver ritenuto di poterlo escludere dall’elenco dei tanti eremiti sovversivi rivoluzionari che si annidavano nelle numerose sette ereticali e contestatrici, tanto invise e contrastate dalle gerarchia ecclesiastica, gli affida una Bolla pontificia, datata 22 Marzo 1274, con la quale viene riconosciuta la Congregazione, viene definitivamente incorporata nell’Ordine benedettino e ne vengono confermati i beni. Tra il 1276 ed il 1279 “l’arcivescovo di Benevento, Capoferro, chiede a Pietro di rimettere ordine nel Monastero di Santa Maria a Faifoli, dove aveva iniziato la vita monastica, e ve lo consacra abate. Nei due anni che questi guida il monastero ne risolleva le condizioni morali ed economiche, e per la prima volta entra in rapporti con Carlo I d’Angiò, che il 27 settembre 1278 accoglie Santa Maria a Faifoli sotto la sua protezione” 253 . L’arroganza del feudatario di Montagano, Simone, costringe (era l’8 Marzo 1279) l’abate Pietro ad abbandonare il Monastero insieme con tutti i suoi monaci. Deluso da quella amara esperienza, tornò a ritirarsi nel romitorio di S. Onofrio sul Morrone, dove, ed era trascorso circa un quindicennio, lo colse la notizia della sua elezione a Sommo Pontefice avvenuta il 5 Luglio 1294 a Perugia dopo una ‘vacatio sedis’ di circa 27 mesi per la morte di Papa Niccolò IV. Accettata l’elezione, l’eremita Pietro del Morrone si recò a L’Aquila, dove in presenza di pochi cardinali (i più erano rimasti fortemente delusi dall’andamento delle cose), di re Carlo II e di una folla festante venne incoronato il 29 Agosto 1294. “(All’incoronazione) il pio eremita arrivò dal Morrone,…, cavalcando un asinello… Ma fra i presenti, espressamente convocati dal nuovo papa, vi erano anche i capi del movimento semiclandestino dei fraticelli ‘spiritualisti’, perseguitati fino allora dai tribunali ecclesiastici per il loro fiero anticlericalismo, che si richiamavano alla primitiva regola di San Francesco” 254 . La sua eccessiva sottomissione al potere del sovrano angioino, che lo aveva imposto, fece sì che venisse costretto a lasciare L’Aquila, dove il 18 Settembre aveva creato 12 cardinali (di cui due del suo Ordine religioso), tutti graditi al re Carlo, e con la Bolla “Etsi cunctos” del 27 dello stesso mese aveva concesso numerosissimi privilegi ai monaci Celestini, per seguire lo stesso re presso la sua corte di Napoli, passando per Sulmona e Montecassino, dove obbligò i 253 PECE F., Cronologia di S. Pietro Celestino, s.d., pag. 13. 254 SILONE I., L’avventura d’un povero cristiano, Milano ed. 1982, pag. 13. 142 monaci ad abbracciare l’istituto dei Celestini, comando poi abrogato, come tanti altri, dal suo successore Bonifacio VIII. A Napoli gli fu preparata la residenza in Castelnuovo, ma non tardò ad accorgersi di non essere all’altezza della sublime dignità; era attediato dalle brighe dei curiali, e bramava la solitudine della sua cella. Al principio dell’Avvento voleva affidare il governo della Chiesa a tre cardinali e ritirarsi in una cella appartata. Opponendosi un cardinale e tormentato da scrupoli, cominciò a pensare all’abdicazione. Il 10 Dicembre emanò una ‘costituzione’ con la quale stabiliva che un Pontefice può rinunziare alla sua alta dignità ed appena qualche giorno più tardi, già il 13, dinanzi ai cardinali della Curia lesse la formula dell’abdicazione propria, libera e spontanea. Era stato Papa per soli cinque mesi. Gli successe sul soglio di S. Pietro Bonifacio VIII, il quale, temendo che malintenzionati si giovassero della grande semplicità di colui che era stato Celestino V, lo fece condurre e custodire nel castello di Fumone, presso Alatri, dove visse sino alla morte avvenuta il 19 Maggio 1296. Venne canonizzato da Clemente V il 5 Maggio 1313 255 . “Quando, all’Aquila, dopo l’incoronazione di Celestino V, fu riorganizzata la Cancelleria pontificia e si presentarono dal Papa i notai e gli scrittori del predecessore Niccolò IV, venne notata subito tra di loro la presenza di un nuovo scrittore, Niccolò da Limosano (“N. de Limos settembre 1294 al 28 gennaio 1300. Con molta probabilità fu dunque Celestino V a portarlo nel collegio degli scrittori, dove rimase anche al tempo di Bonifacio VIII” 256 . Sulla figura di questo personaggio limosanese, che certamente non dovette essere né secondaria né di poca importanza nella ‘gerarchia’ della Chiesa, occorrerebbe ulteriormente fare indagini, per accertarne l’opera. 4.2 - Dal Cenobio di S. Pietro al Monastero di S. Pietro Celestino Il fatto che nelle mappe e nei disegni più antichi rappresentanti l'agro limosanese il vallone "la Valle" venga indicato come "torrente S. Pietro" sembra essere, e con buona ragione, una circostanza di ulteriore conferma per quella ipotesi che tende a posizionare in luogo non assai discosto da tale corso d'acqua, alla sua sinistra e propriamente là dove attualmente situa la 'massaria' della famiglia Del Gobbo, il sito del primitivo ed originario eremo, dalla titolazione omonima, fondato personalmente, e prima del 1263, dall'eremita Pietro del Morrone 257 . 255 OLIGER L., voce ‘Celestino V’ in Enciclopedia Cattolica, Firenze 1949. 256 PECE F., Celestino V cerca casa, in IL TEMPO Molise di Martedì 21/10/1997. 257 Poco comprensibile l’atteggiamento, fortemente acritico, del PIETRANTONIO (op. cit., pag. 426) quando dice il sito del cenobio limosanese “non chiaramente identificato”. E, se potrebbe essere comprensibile il dubbio per l’originario e primitivo eremo fondato non, come scrive il Pietrantonio che riprende pari pari la notizia dal Masciotta, nel 1312 (ed è trasparente la confusione con la data di fondazione del Convento dei francescani), bensì oltre mezzo secolo prima dallo stesso S. Pietro Celestino (che nella sua area d’origine trovò, come dimostra il Beato Roberto de Sale, larghissimo seguito), non lo può essere in maniera assoluta ed inequivocabile, e lo si vedrà con chiarissima evidenza, il sito del Monastero di S. Maria della Libera nelle immediate vicinanze del centro abitato. Altra grave inesattezza del Pietrantonio è l’indicare quello di Limosano “dipendenza del Monastero SS. Annunziata di Guglionesi”, in quanto, se esso è stato ‘grancia’ di altro Monastero, lo è stato di quello omonimo (S. Maria della Libera) di Campobasso e solo di esso; ma, nel tempo, siamo già ai secoli XVII (fine) e XVIII. Ancora più confusa la ricostruzione di PECE F. (Badie, Priorati e Chiese celestine nel Molise, in Vita Diocesana di Campobasso, n. 9 del 15 Giugno 1998, pag. 6), il quale, seguendo fedelmente le gravi inesattezze del citato Pietrantonio, identifica (e confonde) il Monastero di S. Pietro Celestino con quello di “S. Pietro de Maccla bona” o “de Sale”, quando scrive: “Oggi della chiesetta sono scomparsi persino i ruderi, ma da testimonianze molteplici di contadini limosanesi mi è stato possibile individuare l’esatta ubicazione. Si trovava in contrada 143 Più di un motivo porta ad identificare il luogo scelto dal Santo Fondatore per organizzare un posto solitario per i seguaci, ogni giorno più numerosi, dell’area limosanese della sua Congregazione con quello della Chiesa, preesistente, del “Benef.o semplice senza cura sotto il tit.o di S. Antonio Abbate”, che (v. paragrafo 3.5) era “distante dalla Terra de Limusani quasi un miglio nel luogo dove si dice le Macchie, e (nota: si era nel 1712-13) totalmente diruta, che non si possano ne meno giudicar le sue vestigia”. Quei motivi sono: a) prima di tutto la distanza di “quasi un miglio” dal centro abitato, identica per entrambe le evidenze e che entrambe riesce a ben soddisfare; b) la stessa contrada, poi, de “le Macchie” (dove, successivamente, per S. Maria della Libera sarà documentata la proprietà di diversi cespiti patrimoniali), che ben può essere la stessa per entrambe le emergenze religiose; ed, infine, c) la vicinanza del sito, in zona boscosa e di macchia, alla strada che scendeva da S. Angelo Limosano e da Cascapera, lambendo il bosco Fiorano, ed, attraversato l’antico Ponte, risaliva l’altro lato della valle fino a S. Maria di Faifoli, dove, nel frattempo (era passato appena un trentennio dalla monacazione del Santo) ed al momento della ri-fondazione del nuovo eremo da parte di Pietro, il rigore e l’osservanza della disciplina monastica si erano alquanto rilassate. Inoltre, alla credibilità di quella ipotesi, che vorrebbe posizionata una struttura cenobitica proprio nel luogo dove attualmente situa la ‘massaria’ della famiglia Del Gobbo, oltre ad una tradizione ancora assai radicata, assicura un notevole contributo l’atto, del 18 Ottobre 1582 del limosanese Notaio Ramolo, di una “Conventus S.ti Francisci minorum Conventualium Terre Limosani ab Antonio de Lione Terre Cirreti emptio Massariae”, la quale ‘massaria’ era “sita in loco ubi dicitur Lo laco, seu (a questo punto del testo segue una parola poco leggibile, ma che sarebbe da interpretare con ‘valle’) … S.to pietro”. E, se, come sembra assai probabile, quel “laco” è da farsi coincidere con il “lago maiure”, all’epoca ancora pieno di acqua, della geografia limosanese, la zona di S. Pietro sarebbe proprio da identificare con quella relativa alla parte più ‘alta’ del vallone “la Valle”. Le ragioni che indussero il futuro Celestino V al ‘cambio’ immediato della titolazione sono da ricercare nella volontà di esprimere la sottomissione e la fedeltà del suo movimento al Papato in un momento in cui nell’area riferibile a Limosano, che, con i suoi 4000 abitanti, era di gran lunga il centro abitato più consistente ed importante, l’idea ghibellina era vincente, e nel desiderio di testimoniare la ortodossia dottrinale della sua aspirazione ideale proprio quando nel diffuso eremitismo idee contestatrici, quando non propriamente eterodosse, erano assai presenti. La famiglia dei ‘monachi’ della “Religione Celestina”, che, così come sempre accade quando si costringe lo spontaneismo a diventare struttura organizzata e burocratizzata, col trascorrere degli anni andava perdendo la sua esigenza di ricerca della solitudine per assumere sempre di più la connotazione di ‘ordine’ monastico in tutto identico ai tanti già esistenti, restò appena un settantennio nell’isolato e modesto ‘eremo’, “distante dalla Terra de Limusani quasi un miglio nel luogo dove si dice le Macchie”. Difatti, subito dopo che, a partire dal 1312, si ebbe dato inizio da parte della popolazione limosanese (la ‘parte’ guelfa e filo-angioina) alla costruzione del “più magnifico che veder si possa” Convento per i francescani, divenne per i ‘monachi’ celestini, vuoi per non essere da meno dei ‘poveri frati’ minori e vuoi per inserirsi da attori nella vita politica e sociale di Limosano, insopprimibile l’esigenza di stabilirsi in luogo più vicino all’abitato. Le caratteristiche del sito, che, da un lato, permetteva di rimanere “extra moenia” e, con ciò, di quantomeno sembrare di dare osservanza ai dettami di isolamento e di solitudine comandati dal Santo Fondatore, e che, dall’altro, si presentava favorevole alle loro ‘nuove’ esigenze per essere posizionato, così come il Convento francescano, vicino alla importante strada che Lame di S. Pietro, a 2 chilometri circa dal paese, in direzione sud-ovest”. Al Pece, forse, sarebbe tornato più utile rivolgere la seguente domanda ai più anziani di Limosano: “Dov’era S. Maria della Libera?”. 144 collegava S. Angelo a Limosano, convinsero i monaci a costruire il loro nuovo ‘Monistero’ nello spiano “a cento passi” appena dalla porta delle Fucine, vicino sia alla fonte ‘salza’ che all’incrocio tra la menzionata arteria viaria con l’altra che menava a ‘Santo Janni’ e, più in là, sino al bosco. La costruzione del nuovo ‘Monistero’, la cui Chiesa, alla quale rispetto al ‘casalenum ecclesie’ del primitivo cenobio viene cambiata la titolazione, è dedicata, anziché a Pietro, Principe degli Apostoli, al Santo Fondatore dell’Ordine, S. Pietro Celestino, canonizzato solo da pochi anni, molto probabilmente fu iniziata nel decennio degli anni venti del XIV secolo ed, intorno al 1332, poteva dirsi in procinto di essere già terminata. Era, questa del 1332, la data incisa sulla campana “appartenente alla Chiesa di Santa Maria della Libera”, tramandataci dal seguente atto, il cui testo, tanto preciso quanto semplice e genuino, si riporta nel suo contenuto integrale, rappresentando esso una prova assai consistente e decisiva. “Il dì diciotto Giugno milleottocentotrentasei. (…). Avanti di noi Giuseppantonio Lucito, fu Francesco,… e dè qui sottoscritti Testimoni si sono presentati: I Reverendi Padri Religiosi Conventuali di questo Monistero di San Francesco, cioè Padre Vincenzo Carnevale Guardiano, Padre Gennaro Janigro, Collegiale, Padre Erasmo de Angelis, Padre Giuseppe Nardi, e Padre Domenico Zingarelli, tutti sacerdoti; e Fra Salvadore Tenaglia, Diacono, religiosi tutti stanzianti e componenti la famiglia del suddetto Monistero, e cogniti a noi e Testimoni, da una parte. Ed il Signor Don Domenico Robustella di Don Giovanni, Farmacista, ed attuale Sindaco di questo Comune di Limosano, ove domicilia, a noi e Testimoni similmente noto, dall’altra parte. Hanno esse parti dichiarato che nel mille ottocentoventisette la Chiesa di Santa Maria della Libera bisognosa di varie riattazioni fu con approvazione superiore destinata pel Camposano, e per ridurla a quest’uso fu smantellata, e la sua campana deposta. Da quell’epoca fin’oggi l’opera intrapresa è rimasta per taluni incidenti paralizzata, e così del pari la campana è stata inoperosa ed inservibile. Al contrario la Chiesa di questo Monistero di San Francesco trovandosi dotata di una semplice campanella, per essere state le altre più grandi tolte sotto l’occupazione militare, perciò nello scorso anno i suddetti Reverendi Padri richiesero la Campana suddetta per farne uso a maggior comodo di questa popolazione nel frattempo che la Chiesa di santa Maria fosse riattata. Questa domanda accolta, dal Sindaco e Corpo Municipale fu disposto consegnarsi la campana in parola per situarsi nella Chiesa di S. Francesco coll’obbligo della restituzione subito che occorreva alla Chiesa, cui si appartiene; ma perché di tale consegna non se ne formò veruna scrittura, perciò attualmente dietro disposizione di Sua Eccellenza il Signor Intendente di questa Provincia, si deviene alla stipula del presente atto. In vigore di cui i sopranomati Reverendi Padri hanno dichiarato d’aver ricevuto, e di esser stata loro consegnata la campana appartenente alla Chiesa di Santa Maria della Libera, che attualmente trovasi sospesa sul Campanile della loro Chiesa al di sotto della campanella di proprietà del convento. La campana in parola e dell’altezza di palmi tre ed un quarto, e del diametro di palmi due e mezzo, in essa vi è nella parte superiore un’iscrizione numerica in cifre Gotiche, indicante l’anno mille trecento trentadue, epoca in cui si suppone esser stata fusa. Quindi si è convenuto e stipulato: 1. Che i succennati Reverendi Padri, e loro Superiore pro tempore dovranno a semplice cenno de’ rappresentanti del Comune, allorché la Chiesa di santa Maria della Libera sarà completata, restituire la suddetta campana per esser situata al suo destino. 145 2. Che essi medesimi e i loro rappresentanti pro tempore si rendano garanti della stessa campana restituendola sana e tal quale l’hanno ricevuta, e che nel caso di rottura per qualsivoglia ragione non esclusi i casi fortuiti, previsti ed impedibili, saranno obbligati di riformarla dello stesso calibro a loro proprie spese. 3. Che la ritenzione di detta campana presso di loro per qualsivoglia lunghezza di tempo non dà luogo a prescrizione di dritti a prò del Comune, che perciò essi rinunciano espressamente ad un tale beneficio di legge. Per la sicurezza di una tale restituzione essi obbligano ed ipotecano i beni da loro acquistati, all’infuori di quelli ricevuti in dotazione dall’Alta Commissione mista del Concordato, e specialmente le loro rendite annuali. E per l’esecuzione di quanto sopra si è trattato, hanno le parti eletto il domicilio di loro dimora. Di tutto ciò si è formato l’atto presente che si è letto alle parti e Testimoni a chiara ed intelligibile voce. Fatto e pubblicato nel Comune di Limosano in Provincia di Molise, nel Monistero di San Francesco, sito dentro l’abitato di questo Comune, e propriamente nella stanza del Padre Guardiano, presenti per testimoni i Signori Antonio de Angelis figlio di Francesco, Calzolaio, e Pietro Santorelli del fu Pasquale, similmente Calzolaio, ambidue domiciliati nel suddetto Comune,…” 258 . Con la contemporanea, o quasi, costruzione del Convento francescano e del Monastero celestiniano di S. Pietro, entrambi titolati al Santo fondatore del rispettivo movimento religioso, nelle immediate vicinanze del centro abitato, il primo trentennio del XIV secolo fa prendere coscienza all’insediamento del suo nuovo ruolo di catalizzatore economico in concorrenza ed in contrapposizione con la filosofia ‘curtense’ delle antiche abbazie benedettine e rappresenta il chiaro momento conclusivo di una (o della?) profonda svolta nell’organizzazione sociale, economica ed urbanistica di Limosano 259 . 258 ASC, Protocolli notarili, Not. Lucito Giuseppantonio di Limosano, atto del 18 Giugno 1836. 259 Quanto avviene per Limosano è fenomeno generalizzato per diversi centri abitati ‘importanti’ del Molise. Si veda il Cap. 2 di COLAPIETRA R., Profilo storico-critico del Molise da Federico II ai giorni nostri, Campobasso 1997. 146 147 Cosa singolare è che tale mutamento, che rappresenta il culmine di un cambiamento epocale e decisivo nella organizzazione sociale ed economica dell’insediamento antropico limosanese, 148 sia stato originato e provocato dai movimenti religiosi dalla spiccata vocazione ad una vita evangelica, povera e spiritualistica. Evidentemente la loro iniziale forte carica, nel breve volgere di soli pochi anni, già andava esaurendosi e, così come sempre accade, la sete di gestione del potere e le comodità del mondo avevano preso subito il sopravvento sulla esigenza e sul bisogno di assoluto. Col mutare dei tempi e delle condizioni socio-religiose cambiava il modo di essere della collettività. Cambiavano i presupposti al divenire storico di Limosano. Download 5.01 Kb. Do'stlaringiz bilan baham: |
Ma'lumotlar bazasi mualliflik huquqi bilan himoyalangan ©fayllar.org 2024
ma'muriyatiga murojaat qiling
ma'muriyatiga murojaat qiling