Francesco bozza
Chiesa' riferisce che "la sudetta Chiesa
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- Non si ha memoria e notizia delle sue Bolle giudicandosi haversele portate seco
- R. Abb: Fra’ Jonno Morra
- Prior S. Silvestri de Limosano solvit TAR. III
- 3.3 - Il cenobio di S. Illuminata
- Musane
- Sancta Maria
- S. Maria, S. Pietro e S. Benedetto della località ‘Maccla bona’
- S. Brunonis nostri caussa
- Sanctae Alluminatae
- Benef.o semplice senza cura
Chiesa' riferisce che "la sudetta Chiesa del nominato Benef:o di S. Silvestro, era nelle pertinenze della Terra de Limusani quasi un miglio distante da essa, situata nella parte setten.e sop.a una Morgia, hoggi in un Mucchio di pietre per esser Demolita d'ord.e dell'E.mo Sig.re Card.l Arciv.o Orsini in S: Visita dell'anno 1693: E' lungo pal: 36 e larga pal: 24; Confinante in tutte le parti li beni di d.o Benef.o...; Presentem.te il sud.o Benef.o si gode dal Rev.o Sig.re D:n Giuseppe Rota, della Città di Bergamo conferitoli dallo stesso E.mo Arcivescovo Orsini. Non si ha memoria e notizia delle sue Bolle giudicandosi haversele portate seco". Perché il Cardinal Orsini 'ordina' la demolizione, sino a ridurla in un Mucchio di pietre, di quella Chiesa sop.a una Morgia? Perché tra un Clero diocesano, numeroso a dismisura e, come era costume, disposto persino a pagarlo, quel Beneficio viene conferito al "Rev.o Sig.re 167 ASC, Fondo Protocolli Notarili, Not. Amoroso F.Antonio di Limosano, atto del 2 Novembre 1746. 168 ASC, Fondo Protocolli Notarili, Not. Iamonaco Michele di Limosano, atto del 1 Luglio 1778. 169 ASCL, Catasto Onciario del 1743, B.1, f.1. 108 D:n Giuseppe Rota, della Città di Bergamo"? Perché se le ha portate seco (e, con quelle, quanti e quali gli altri documenti asportati dalle istituzioni limosanesi? E, soprattutto, di che natura?) così che, appena qualche anno più tardi, già non si ha memoria e notizia delle sue Bolle? Dalla "somma de tutti li frutti" si ha che, nel 1712, 'introitava': - Per Vigne à 29 anni 04:55 - Per Vigne a 29 anni in g.no tt.a dieci e mezzo, a carl: otto il tt.o 08:40 - Per Terraggi in g.no, tre quarti alla sud.a raggione 0:60 - Per Territ.o in dem.o 0:40 A fronte di tali entrate, che ammontavano a complessivi 13:95 ducati, ne pagava "per cattedratico" 0:50 (ma, nel 1742, l'importo dovuto "per cattedratico all'Arcivescovo" risulta salito a ducati 1:20) e 0:16 (invariato nel 1742), "per spoglio, e galere". L’intensa attività patrimoniale veniva da lontano. E, difatti, da un atto (Not. De Blasiis Nicolantonio di Lucito Aprile 1672 sappiamo che il Rev.do Don Vincenzo Testa (non certo limosanese di origine) “proprie nell’Anno 1669”, quando “… il R. Abb: Fra’ Jonno Morra (era il) beneficiato (di S. Silvestro)”, ha venduto al limosanese Loreto Luciano “una casa di più membri un horto et una vigna redditizia al’Abate di S.to Silvestro con peso d’annuj tt.a due di grano, li quali beni, et fundi, ne fece detta cessione in sodisfatione del legato fatto del q.m D. Francesco Radicchio di detta terra di limosanj…”, il quale era stato ‘Rettore’ della Chiesa Parrocchiale di S. Stefano. A sua volta e così ridotto, il 'Beneficio' di S. Silvestro, e la cosa traspare evidente anche dall’attenta lettura del ‘Catasto Onciario’ del 1743 dal quale risulta che diversi cespiti, sparsi nell’intero agro, situavano “in suolo dell’Abadia di S. Silvestro di Benevento”, era solo la parte residuale di un notevole complesso monastico, che, in un passato sempre più lontano, aveva conosciuto tempi assai migliori e goduto di buon prestigio. Lo lascia ben intendere il fatto che per le "Rationes Decimarum", le decime pagate nel 1308-1310 (quando il movimento benedettino era già da tempo entrato in crisi) alla mensa vescovile di Benevento, veniva così tassato: "4745 - Prior S. Silvestri de Limosano solvit TAR. III" 170 . Proprio la circostanza per cui a governare la struttura, il patrimonio e la comunità dei monaci vi fosse destinato un 'Prior' dimostrerebbe, almeno per questo periodo della sua storia, l'appartenenza all'ordine benedettino di quel centro badiale. E, se non già da prima, almeno ad iniziare dai primi anni del secolo XII fece sempre e continuamente riferimento, anche come osservanza religiosa, all'Abbazia di S. Sofia di Benevento, nel cui suolo in diversi punti del 'Catasto Onciario' si riporta che ancora situasse. Di certo doveva essere monastero di discreto interesse se, con la dicitura di "(monasterium o ecclesia) Sancti Silvestri", viene sempre indicato nelle 'concessioni' papali, con le quali, a partire dal 1102, si inizia a farlo rientrare nella giurisdizione del grande Monastero sofiano 171 . Ciò probabilmente perché, nonostante l'incipiente ma palpabile fase di declino (alla ricca potenza dei monasteri benedettini si contrappone il seguito sociale degli ordini mendicanti), 170 INGUANEZ, MATTEI-CERASOLI e SELLA, Rationes Decimarum Italiae: Campania, Roma (Città del Vaticano) 1942. 171 Si veda il 'Chronicon Beneventani Monasterii S. Sophiae' (in UGHELLI-COLETI, X, specialmente 495 e 500, ma anche altrove). Dal combinato delle due 'concessioni', rispettivamente del 1102 (495) e del 1140 (500), traspare la notevole diffusione del monachesimo e del cenobitismo nell'area del medio Biferno durante il secolo XII: "... Sancti Martini Episcopi in Biferno, Monasterium Sancti Angeli cum cellis suis in Petra Sancti Angeli, S. Trinitatis in Patara Findi (o Petra Findi) Sancti Agnelli, Sancti Petri in Balneo in Valle luparia, Sancte Crucis in Limosano (o Limosana), Sancti Silvestri, in fossa caeca Sancti Stephani". 109 nella zona limosanese stava rimanendo l'unico e più importante avamposto, da non cedere, della politica beneventana per contrastare il forte espansionismo di Montecassino. Tra alti e bassi anche il complesso badiale di S. Silvestro, come la gran parte dei centri monastici dei benedettini, visse il periodo del suo maggior sviluppo tra l'VIII ed il XI secolo. Continui e di ogni tipo dovettero essere i contatti con il vicino "Monasterium (o, come lo si riporta nei diplomi più antichi, 'Ecclesiam') Sancti Angeli in altissimo", che era posto, nella concessione del 5 Novembre 999, "super fluvium Bifernum in fluviis atque finibus campi Morani cum eadem Ecclesia haereditatem quae est in longitudine milliaria duo (nota: tutti i parametri geografici portano ad identificare questa 'ecclesia' con S. Silvestro)" e, nell'altra del 6 Novembre 1102, "... cum cellis suis, in Petra Sancti Angeli" 172 , sulla pietra (o morgia) di S. Angelo, appunto, tuttora esistente al centro di una 'contrada Abbazia', che col nome vuole ancora ricordarne il passato. Ma, necessariamente e senza ombra di dubbio, il cenobio limosanese di S. Silvestro dovette essere ancora più antico. Lo dimostra, nonostante manchi il supporto della documentazione certa, il riferimento, valido come per S. Angelo in Altissimo così per tutti gli eremi (quel caratteristico modo di essere sulla sommità di masse rocciose, oltre che di S. Silvestro, lo fu anche di S. Martino e di S. Illuminata) del territorio limosanese, alle 'celle', definibili e definite "minuscole abitazioni per anacoreti ed eremiti solitari" 173 , scavate e ricavate nei fianchi delle 'morge'. Lo dimostra, nonostante manchi il supporto della documentazione scritta, la posizione, poco offendibile ed a mezza strada tra gli insediamenti antropici di Cascapera e di Ferrara, di certo i più antichi dell'area limosanese, il primo dei quali ha mantenuto la continuità storica con la "Ti-phernum" di origine sannita e sede della omonima diocesi del primitivo Cristianesimo. Del resto, quella, ai cui margini è possibile localizzare sia il sito del cenobio che l'area archeologica di Cascapera (e Colle Ginestra), è la contrada di Monte 'Mercurio', che, nella toponomastica, richiama un luogo di culto antico e, comunque, di origine romana. Lo dimostra, nonostante manchi il supporto della documentazione diretta, la vicinanza del sito, oltre che alle grandi risorse idriche del 'Lago di Cascapera' e del 'Lago maiure', alla antica strada, che, chiamata più tardi "dei Langianesi", collegava la fascia adriatica degli Abruzzi a Benevento attraverso l'area, che era, dapprima, stata 'tiferno-fagifulana' e, poi, apparterrà al 'gastaldatus Bifernensis'. Va, infine, a tutto ciò aggiunto che tanto la devozione per S. Silvestro che l'uso di intitolargli un 'locus' cenobitico trovano documentazione per le zone del medio Trigno (area del 'municipium' di Terventum) e del medio Biferno (area del 'municipium' di Fagifulae) nel periodo di tempo che va dalla seconda metà del V secolo e non supera la fine di quello successivo. 3.3 - Il cenobio di S. Illuminata Nonostante le posteriori abrasioni (frutto, quasi certamente, della volontà di 'cancellare' il titolo di obbligazioni ataviche) sia alla 'pianta' che al nome del "Benef.o semplice senza cura (animarum) sotto il tit.o di _ _ _ _ _", riportato nell'INVENTARIUM del 1712, diversi sono gli elementi che portano ad identificarlo con certezza quasi assoluta con quanto, davvero poco, allora rimaneva dell'antico cenobio di S. Illuminata. Dalla relativa 'descrizzione' si 172 UGHELLI-COLETI, X, 485 e 495. Il PIETRANTONIO (op.cit., pag. 409) localizza il Monastero di S. Angelo in Altissimo "presso il bosco di Trivento già in territorio di Civitacampomarano ora Lucito" e lo dice "donato da Arechi, principe di Benevento, a S. Sofia nell'870". 173 FERRARA V., Canneto sul Trigno, Vasto (CH) 1988. 110 riesce a sapere che "la Chiesa sotto il ti.o_ _ _ era situata nelle pertinenze de Limusani poco distante da d.a Terra verso la parte occidentale, qual distanza importera da 500 passi;... la quale vedesi pr.ntemente diruta con alcune reliquie di muraglia indicante esser stata Chiesa; nell'anno 169_ nella prima S. Visita unita alla Chiesa Arcip.le dall'Emo e Rev:mo Sig.re Cardinal Orsino Arcivescovo". Il Lanzoni 174 , tanto autorevole per le ricostruzioni storiche quanto, per quelle ‘geografiche’, poco attento, così che già il Gasdia ne poteva mettere in discussione la sua localizzazione di Tifernum 175 , dopo aver collocato questo antico insediamento a Città di Castello (Perugia), cerca in ogni modo di posizionare nelle sue immediate vicinanze anche la ‘ecclesia’ di S. Illuminata, asserendo di derivarne la notizia dagli ‘Acta di S. Illuminata’ 176 . Più di quanto voglia pretendere, l’assunto lanzoniano dimostra semplicemente che: 1) quella istituzione religiosa aveva origini e radici assai antiche; 2) una ‘ecclesia’ (tale etimo, anteriormente al mille, da quando cioè si inizia con frequenza sempre maggiore a sostituirlo con ‘monasterium’, veniva usato per indicare una struttura cenobitica) titolata a S. Illuminata situava in prossimità di un insediamento, sede di diocesi proto-cristiana, chiamato ‘Tiphernum’; 3) era essa, almeno per un certo periodo, appartenuta alla giurisdizione cassinense, come prova il codice, da cui la notizia è tratta. Ed anche se la cosa potrà recare dispiacere al Lanzoni ed ai suoi estimatori, quelle suesposte sono tutte condizioni che ben si adattano alla “ecclesia sanctae Illuminatae infra fines praedicti castri Limessani, loco ubi dicitur Petra majore, cum omnibus ecclesiis et pertinentiis suis” 177 . Sulla prima fondazione del cenobio, anch’esso, così come gli altri di S. Martino e di S. Silvestro, posto sulla parte superiore di una ‘morgia’, propriamente “in loco ubi dicitur Pesclo majore”, va detto che dovette essere molto antica (V o VI secolo) e certamente di origine eremitico-anacoretica. Sono applicabili pure alla struttura di S. Illuminata tutte le motivazioni (vicinanza ad una importante arteria viaria, posizione poco accessibile e scarsamente offendibile, prossimità alla risorsa idrica rappresentata, nello specifico, dalla fonte dello 'Spiracolo’), tipiche del primo eremitismo ed analizzate in precedenza, che portano a datare ad epoca assai antica le emergenze religiose ‘regolari’ dell’agro limosanese, tutte situate vicino a quanto restava di preesistenti strutture romane e che, poste lungo i grandi percorsi viari, servivano a mantenere una certa unità del territorio. Dovette, in seguito, mantenere quella rigida natura anacoretica almeno sino a quando, tra il secolo VII ed il successivo, non ebbe inizio la aggregazione, nell’attuale sito, dell’insediamento di ‘Musane’ (o ‘Mesane’), che riprende il ruolo storico e le funzioni, civili e religiose, dell’antica ‘Tiphernum’, scomparsa o in procinto di esserlo, e che sta per rappresentare il centro più importante del “gastaldatus Biffernensis”. E’ così che proprio in 174 LANZONI F., Le diocesi d’Italia dalle origini al principio del sec. VIII (604), Faenza 1927. 175 GASDIA V.E., Storia di Campobasso, Verona 1960. Il Gasdia, a pag. 192, scrive: “Il Lanzoni,…, identifica Tifernum con Città di Castello. Ma se questa città è la nostra sannita, dirò che essa ebbe due vescovi…”. 176 LANZONI F., op. cit. “MATURO, Gli ‘Acta’ di S. Illuminata, in ‘Roma e l’Oriente’, an. 1914 (VII, pp. 101- 18, 286-91; VIII, 31-9, 86-90, 214-30)” li deriva da un codice cassinese (e Limosano è di molto più vicino a Montecassino, cui peraltro il cenobio limosanese appartenne, di quanto non lo siano l’Umbria ed, in particolare, Città di Castello). “Una redazione degli ‘acta’ scrive: Extat ecclesia in territorio castri Massae (Martanae) in diocesi tudertina, in qua dicitur requiescere corpus”. A parte la possibile corruzione nella trascrizione con ‘castrum Massae’ del ‘castrum Mesane’, che in seguito diventa ‘castrum Limessani’ (v. GATTOLA E., Historia Abbatiae Cassinensis…, Venezia 1733, pag. 421 e seg.), non avvertita dal Lanzoni, egli sembra far grande confusione (e da ciò le sue difficoltà nella ricostruzione ‘geografica’) tra gli etimi ‘tudertinus’, ‘tiberinus’ e ‘tiferninus’, i quali proprio non stanno ad identificare la stessa cosa. 177 GATTOLA E., op. cit. Vedasi la precedente nota 33. Traduciamo: “la chiesa di S. Illuminata (posta) dentro i confini del ‘castrum’ di Limosano, nel luogo dove si dice ‘la Pietra maggiore’, insieme a tutte le chiese e le sue pertinenze”. 111 questo momento storico, oltre al passaggio alla ‘religione’ benedettina, si inizia a dire “de Musano” 178 l’organizzazione monastica di S. Illuminata. Ed a tale espressione, così come si è visto già per S. Martino e così come fu anche per la diocesi, che in questa fase (epoca carolingia) è detta “Musanense”, non può non essere associata una valenza indicativa di un ben preciso momento storico. I benedettini del Monastero di S. Illuminata svolsero nello specifico dell’ambito del territorio “musanense” il ruolo tipico e tutte le funzioni socioeconomiche, che è possibile riferire al monachesimo del periodo che corre tra l’VIII ed il X secolo. Dopo aver sottomesso le popolazioni rurali, che, però, trovarono “nell’istituzione benedettina la sicurezza necessaria per sopravvivere in un’epoca contrassegnata da incertezze, violenze e soprusi, con la progressiva estensione del territorio dipendente, la missione religiosa delle badie passò in secondo ordine e gli interessi dei monaci privilegiarono gli aspetti economico-politici, divenendo sempre più problematico cogliere in essi i lineamenti dell’autentica vocazione alla solitudine. Con l’acquisizione di vari possedimenti si presentò, infatti, la necessità della loro organizzazione e si fece strada l’idea di una più efficiente amministrazione con l’obiettivo di un migliore sfruttamento dei beni terrieri. Si rileva innanzitutto nella politica agricola delle badie la tendenza ad accorpare i vari fondi in una struttura più organica e quindi più facilmente controllabile, per cui appezzamenti discontinui, conseguenza di donazioni in zone diverse e distanti, si aggregano con opportuni acquisti e permute. Il secondo criterio perseguito nell’amministrazione e sfruttamento del patrimonio terriero è rappresentato dai contratti di colonia, dai cottimi e, soprattutto, dalle concessioni a titolo di enfiteusi, come conseguenza dell’impossibilità da parte dei monaci di provvedere alla gestione diretta dei fondi e delle terre dislocati anche in luoghi lontani” 179 . Nascono e si organizzano in tal modo sul territorio, anche se di dimensioni assai ridotti, veri e propri insediamenti (villaggi), in tutto dipendenti dal monastero e da esso dominati sia socialmente che economicamente, il cui surplus della produzione rimane a sua completa disposizione. Anche il Monastero limosanese di S. Illuminata “cum omnibus ecclesiis et pertinentiis suis” diventa, da una parte, un attivo soggetto economico e di amministrazione fondiaria e, dall’altra, oggetto delle mire e dei disegni politici nello scacchiere rappresentato dal territorio dei medi bacini fluviali del Biferno e del Fortore, che, durante la seconda metà del X secolo, è il vero teatro di un forte scontro per interessi contrastanti tra i poteri, religioso e civile, riferibili al ‘principatus’ di Benevento. Dopo averne definito una ben precisa strategia e con gli evidenti obiettivi di aggregare alla 'provincia beneventana' i territori di Lucera, di Termoli e di Trivento (e perché non anche quelli di Civitate, di Dragonara, di Ferentino, di Larino e di Limosano?), soggetti all’influenza bizantina, e di rinsaldare i legami del clero latino di quelle regioni con la Chiesa di Roma, “in seguito al Concilio tenutosi a Roma nel maggio del 969, il papa Giovanni XIII conferisce al vescovo Landolfo di Benevento il titolo di arcivescovo e gli riconosce la potestà ut fraternitas tua et successorum tuorum infra tuam diocesim in locis quibus olim fuerant semper in perpetuum episcopos consacret, qui vestre subiaceant ditioni” 180 . La qual cosa in 178 PIETRANTONIO U., op. cit., pag. 435. Il Pietrantonio, a pag. 63, scrive: “Nel sec. IX,…, il ducato di Benevento, diventato principato di Arechi, fu diviso fra Siconolfo (Salerno) e Radelchi (Benevento). La sovranità di Radelchi si estendeva sopra i gastaldati di Brindisi, Bari, Canosa, Lucera, Siponto, Bovino, Ascoli Satriano, S. Agata dei Goti, Telese, Alife, Isernia, Boiano, Larino, Biferno e Campobasso”. Annotato che tutti tali insediamenti erano sede di diocesi ed a parte i seri dubbi su quello di Campobasso, che in tale epoca storica doveva essere, se non inesistente, insediamento minimo, dove, tra Boiano e Larino, localizzare Biferno se non nell’area limosanese? 179 BUCCI S., La Badia di Melanico, Venafro (IS) 1998, pag. 39. 180 BUCCI S., op. cit., pag. 43 e 44. L’analisi proposta da BUCCI, al quale si chiede venia per la rielaborazione, è stata opportunamente riadattata. Ne trascriviamo la sua conclusione (pag. 40): “La soluzione di una lunga vertenza con l’arcivescovo di Benevento è il segnale di un’affermazione di ruolo autonomo rispetto alla sede 112 pratica voleva rappresentare la possibilità reale di assoggettare e di organizzare ingenti e vasti territori, col sistema della suffragania, alla giurisdizione (‘ditioni’) dell’arcivescovo ed, in senso più lato, della Chiesa. La simultaneità di certe date rende difficile dire se una tale opzione politica del Papato e del Clero secolare rappresentasse essa la risposta ad una ‘diversa strategia’ da parte del potere civile dei Principi beneventani (nella cui orbita ruotavano tanto la media valle del Biferno che quella del Fortore) messa in campo “per accrescere il controllo del territorio” allorché “dal 961 al 981 Pandolfo, consapevole della dilagante predicazione benedettina con i suoi assunti, moltiplicò le donazioni pro remedio animae a favore delle comunità monastiche le quali divennero delle vere e proprie imprese di trasformazione fondiaria…” 181 . Oppure sia accaduto il contrario e, cioè, che la nuova politica, favorevole all’espansione del Clero regolare da parte del Principato, abbia rappresentato, per ridimensionare le pretese dei vescovi (che si stanno riappropriando delle sedi episcopali delle ‘civitas’), una scelta troppo obbligata in seguito al nuovo atteggiamento dei Pontefici. E, se, a questo punto, cogliere la cronologia delle motivazioni politiche non è affatto semplice, di contro è assai facile ricostruire i fatti che ebbero ad interessare i monasteri dell’agro limosanese e, nello specifico, il ‘cenobio’ di S. Illuminata. Quest’ultimo, subito dopo che, rompendo delicati equilibri, si è inserito (schierato dalla parte del Papato) nello scontro anche il Monastero di Montecassino, al quale, come si vedrà quando si dirà di esse, nel mese di settembre 972 “oblatae sunt… tres ecclesiae in Lumisano, id est Sancta Maria, Sanctus Petrus et Sanctus Benedictus in loco Maccla bona, cum omnibus rebus et pertinentiis earundem ecclesiarum” 182 , viene assoggettato dal Principe Pandolfo alla giurisdizione dei Monasteri di S. Eustasio (o Eustachio) e di S. Elena, situati nel contado di Pantasia, sin dalla data di fondazione di questo secondo (“ab ipso suae constructionis exordio”), che risale al 976 183 . I favori dei ‘domini’, i quali per mezzo di ‘donazioni’ fatte per la salvezza dell’anima mirano a rafforzare la propria autorità politica; l’attività patrimoniale, che si concretizza in acquisizioni di nuovi possedimenti, in permute ed in cessioni le più opportune a migliorare il disponibile; e la gestione quasi esclusiva dei mezzi di produzione economica e della forza lavoro, che permette di controllare l’assetto sociale della popolazione rurale stanziante sul territorio, fecero del Monastero di S. Illuminata un centro di potere capace, almeno per un certo periodo, di garantire la stabilità politica ad un’area di frontiera, quale era quella limosanese, e permisero ai suoi ‘praepositi’ di contrastare la potenza, frutto di commistione tra il terreno e lo spirituale, dell’episcopus Musanense S. Mariae. E’ da pensare che all’origine delle rilassatezze nei costumi e delle dissolutezze ipotizzabili per un certo, e non breve, periodo nel cenobio limosanese vi sia stato proprio questo nuovo ‘status’ degli Abati- metropolitana, secondo una tendenza centrifuga opposta a quanto si era osservato nell’alto medioevo”. 181 BUCCI S., op. cit., pag. 44. 182 Chronicon Cassinense, II. “(Nello stesso modo) sono state sottomesse (a questo Monastero) tre Chiese (situate) in Limosano, cioè S. Maria, S. Pietro e S. Benedetto della località ‘Maccla bona’, con tutte le cose e le pertinenze di quelle Chiese”. 183 TRIA G.A., Memorie storiche, civili ed ecclesiastiche della città e diocesi di Larino, Roma 1744 (rist. Isernia 1988), pag. 576 e segg. Sarà più chiaro dai documenti che si riporteranno nel prosieguo il collegamento di S. Illuminata con i Monasteri di Pantasia sin dal momento della fondazione di S. Elena. Quanto alla famiglia dei Pantasia, titolare dell’omonimo contado, cui sono da riferire i territori dell’area del medio Fortore con le diocesi di Dragonara e di Ferentino, il Vipera la dice “nobile famiglia beneventana”, dalla quale “Limosani ripete i suoi natali”. E, nonostante allo stato sia quasi del tutto sconosciuto, almeno nei termini, il rapporto tra i Pantasia e Limosano, una pergamena (in cattivo stato di conservazione e che a fatica siamo riusciti a copiare) dell’APL, datata “anno a Nativitate X.sti millesimo quatuorcentesimo octuagesimo quarto (1484)”, sembrerebbe confermare l’esistenza di lunga durata, la notevole importanza e che essa, ancora attiva all’epoca, sia appartenuta alla migliore nobiltà beneventana. 113 priori, i quali, per emulare la vita ed i comportamenti del vescovo, vanno sempre di più perdendo di vista la parte della regola benedettina rappresentata dalla preghiera (ora), per riservare uno spazio sempre maggiore alla produzione ed alle attività economiche (labora), se non proprio ad una vita fatta di mondanità e di piaceri di ogni tipo. Dopo una simile fase (tra la fine del X secolo e la prima metà del seguente) di vita poco conforme ai dettami della regola, sembra, tuttavia, molto probabile che, come lascia ipotizzare l’espressione “S. Brunonis nostri caussa” del Gattola, a partire dai primi anni della seconda metà del secolo XI e dopo una riforma dei costumi nel cenobio si sia iniziato a praticare una osservanza (la cistercense?) più rigida della regola monastica. Il passaggio ad un modo di vivere più severo e conforme al rigore della riforma voluta da S. Bruno, i cambiamenti nel rapporto di forze nell’area del medio Biferno disposti da Papa Leone IX nel ‘placito’ svoltosi il 10 Giugno 1053 “in loco Sale iuxta Bifernum fluvium”, i possibili mutamenti politici seguiti all’avvento dei Normanni, i quali per affermarsi rompono le resistenze del Papato e di Benevento nelle aree del medio Biferno e del medio Fortore; oppure, che è più probabile, le tre cose combinate insieme portarono al trasferimento del Monastero di S. Illuminata nell’orbita della giurisdizione di Monte Cassino. Una prima ‘oblatio’ dovette sicuramente essere anteriore al 1066, se è vero che la porta di bronzo del Monastero cassinese, sulla quale (Pannello XII – II Valva) risultava inciso il nome del cenobio limosanese, venne fusa proprio in tale anno 184 . Ma che il passaggio dalla giurisdizione ‘beneventana’ a quella ‘cassinese’ sia avvenuto tra mille contrasti e non sia stato, proprio nel momento in cui verso l’area limosanese iniziano ad essere rivolte anche le mire dell’emergente Trivento, del tutto indolore, lo dimostra con assoluta evidenza il seguente brano del Chronicon Cassinense: “Sed et Johannes, Triventinae sedis episcopus una cum Robberto filio Tristayni (a: Trostayni in charta ap. Catt Limessani castri domino, optulit huic loco ecclesiam sanctae Illuminatae infra fines praedicti castri Limessani, loco ubi dicitur Petra majore, cum omnibus ecclesiis et pertinentiis suis, pena indicta centum librarum auri id removere quaerentibus. Notandum plane videtur, nequitiam et fraudolentiam Alferii Triventinatis episcopi (b: Jam anno 1084 episcopus fuit; v. DI MEO Ann. Ad h. a.) hoc in loco inserere. Hic enim, dum praepositus in eadem beatae Illuminatae ecclesia esset, sciens supradictam ecclesiam monasterio Sancti Eustasii ab ipso suae constructionis exordio subditam, et a Beneventanis principibus in eodem loco concessam, simulque cupiens eam a dicione eiusdem monasterii subducere, accessit ad praepositum qui tunc monasterio praeerat, eumque rogare suppliciter coepit, ut sibi cartas eiusdem loci ostenderet, dicens suae haereditatis cartas ibidem esse repositas: orare ut sibi illas exinde auferre permitteret, ne forte temporis vetustate perirent. Praepositus autem nullum in verbis eius dolum existimans, dat ei et perquirendi et adsportandi licentiam. Tandem igitur inter reliquas praeceptum a Beneventanis principibus de ecclesia Sanctae Illuminatae monasterio sancti Eustasii factum invenit; quod videlicet lucide satis et aperte continebat, qualiter ecclesia illa a suae constructionis principio monasterii beati Eustasii a Beneventanis principibus tradita fuerat. Huius illa ductus invidia et iniqua nebriatus vesania, rapuit, abscondit et ad domum propriam reversus illud minutiam incidit. Haec ita acta fuisse ego ex ore Alberti huius nostri Coenobii monachi ultimam fere jam aetatem agentis audivi, ne quis hoc existimet mendose descriptum” 185 . Quali erano gli interessi (e si spiega bene il motivo per cui, relativamente al periodo che precede quella data, non rimane ‘carta’ alcuna) celati dietro a tali comportamenti, che, mossi 184 FABIANI L., La Terra di S. Benedetto, Badia di Monte Cassino 1968. 185 Chronicon Cassinense, IV, 34. 114 ed ispirati solo (si fa per dire) da ‘nequizia e fraudolenza’, avevano per evidente obiettivo il cambio di giurisdizione del Monastero di S. Illuminata? Facile e senza dubbio alcuno immaginare la risposta a tale domanda. Va, tuttavia, aggiunto che l’autore, Alferio, già ‘praepositus’ di S. Illuminata, viene premiato con l’essere nominato vescovo di Trivento. Va aggiunto anche che la famiglia dei ‘de Molisio’, ad un cui ramo sicuramente appartenne per gran tempo Limosano, sta organizzando a partire dalla seconda metà del XI secolo una contea assai importante e mira a rendersi autonoma da Benevento. E va ancora aggiunto che, dopo circa un trentennio dal ‘fattaccio’, il cenobio limosanese, nel Giugno del 1109, viene, una seconda volta ed in maniera definitiva, ‘oblato’ a Montecassino; e tutto questo sempre dagli stessi protagonisti, il Vescovo di Trivento e Roberto ‘de Molisio’, figlio di Tristaino e cugino del conte di Bojano 186 . Perché il documento permette di dare ai fatti accaduti nell’area del medio Biferno una lettura diversa e nuova, lo riportiamo nella trascrizione (l’originale si conserva tuttora nell’Archivio di Monte Cassino) del Gattola: “Quamquam decreveramus nullas ecclesiarum Donationes recensere, quasdam tamen hic referre in animo est, quae consensu, authoritateque Gelasii secundi, Callisti II et Anastasii IV nobis concessae sunt, recensebimus etiam ecclesiam S. Illuminatae S. Brunonis nostri caussa. Atque ut ab hac exordiamur, sic de ea scribit Petrus Diaconus cap. 34: ‘Sed et Johannes, Triventinae sedis episcopus una cum Robberto filio Tristayni Limessani castri domino, optulit huic loco ecclesiam sanctae Illuminatae infra fines praedicti castri Limessani, loco ubi dicitur Petra majore, cum omnibus ecclesiis et pertinentiis suis, pena indicta centum librarum auri id removere quaerentibus (an. 1109 Jun)’. Extat hujusce donationis autographum in archivo nostro, estque hujuscemodi: ‘In nomine domini nostri Jesu Christi filii dei eterni, anno ab incarnationis esius millesimo centesimo nono, mense Junio, secunda indictione. Ego Robbertus filius cujiusdam bonae memoriae domni Frostayni, qui dei nutu Limosani castelli sum dominus, declaro me habere quamdam ecclesiam pertinentem mihi per hereditariam successionem infra fines praedicti limosani, quae constructa est in loco ubi dicitur Pesclo majore, in honore S. virginis et martiris Illuminatae. Quam ecclesiam, cum quadam die, divina me inspirante misericordia, cogitans, animadverti utpote facinorum meorum, quorum me nexibus graviter, obstricteque religatum, agnosco absolucionis saltim aliquantulum merear. Et qui nimii thesauri pondere innumerabilium peccatorum onera lavare debuissem munusculo hoc exiguo terribilis judicis praesentiam judicii in diem tantorum absecrationibus SS. Fratruum non iracundam, sed placabilem utinam in ultimo Fidelium cetus loco positus, conspicere possim, et pro animae meae redempcione, et patris mei Trostayni, et matris meae Altrudae, et filii mei Guilielmi, et Ruberti, et animarum parentum nostrorum, videlicet Raonis comitis, et Rubberti, Raonis, Ugonis comitis, et Rogerii filiorum ejus. Deo primitus, et ecclesiae beati Confessoris, et Abbatum omnium patris Benedicti, quae sita est monte castri Casini, ubi sacratissimum ejus corpum humatum est, et ubi tunc omnipotentis providencia dispensante Brunus Signiensis episcopus Abbas, et rector esse videtur, cum omnibus utensilibus suis interius, exteriusque manentibus, et cum aliis subditis illis Ecclesiis, earumque facultatibus universis transactive offerro, atque transmitto in potestate praedicti cenobii S. Benedicti, et ejus rectorum, atque custodum ad tenendum, et dominandum, et faciendum omnia quaecumque ad utilitatem ejus Monasterii placuerint in perpetuum, absque ulla contradictione mea, vel meorum heredum, seu cuiuscumque hominis 186 Non furono infrequenti (e lo dimostra anche quanto era avvenuto per i tre Monasteri della ‘Maccla bona’), anche se si è portati a pensare il contrario, i casi di doppia ‘oblazione’. 115 pro parte nostra, et hoc mea sponte ut fatus sum optuli, una cum consensu, et voluntate Johannis Triventini episcopi. Igitur obligo me ego qui supra Robbertus, et meos heredes quod si hanc oblacionis cartulam evacuare aut minuare quocumque modo quesierimus, vel contradicere his que continet subjaceamus penae composicionis librarum auri centum, ast ego praenotatus Johannes celsa, annuente potentia Triventinae sedis presul sic quod ex eadem ecclesia pertinet pro dei tempore, et S. Benedicti, ac ob fraternum amorem venerabilis pontificis, et Abbatis Bruni, et omnium Fratrum pariter offero, atque concedo, sine ulla reservacione sicut ceterae ecclesiae, quae subditae ibi conceduntur, quatinus eorum sacratissimis adiutus subfragiis, apud eternum bonorum omnium remuneratorem, retribucionem accipere valeam. Et ego qui supra Johannes episcopus una cum nostrorum consensu, et voluntate Canonicorum canonice anathemate perpetuo condemnamus, et excomunicamus successores nostros, et ipsum Robbertum, et eius heredes, et omnes quicumque hanc cartulam oblacionis contraire, vel minuare, seu contraire temptaverint, ut sint anathematizati anathemate Maranata, idest pereant in secundo adventu domini nisi forte resipuerint, et ecclesiae deiquam leserint per emendacionem, et condignam paenitentiam satisfecerint fiat, fiat, fiat. Et haec cartula firma, et stabilis permaneat, et hanc cartam jussu praedicti pontificis Johannis, nec non praenominati Rubberti scripsi ego Johannes presbyter eiusdem ecclesiae Triventinae intus castello Limosano feliciter. + Ego Johannes episcopus Triventinae ecclesiae subscripsi + Ego Johannes presbyter Ego Rizmannus presbyter Ego Rubbertus de abrepa me subscripsi Ego Johannes judex + Ego Johannes Angeli me subscipsi’” 187 . Successivamente alla ‘donazione’ del 1109, il Monastero di S. Illuminata restò sempre sotto la giurisdizione dell’Abbazia cassinese e, come tale, figura: - in un ‘privilegium’ “datum Laterani… Nonas Februari indictione IIII incarnationis diminicae anno MCXIII (1113) Pontificatus autem domni Paschalis secundi papae anno XIII 188 ; - in un ‘privilegium’ “datum Besulis… Kalendas Octobris indictione I incarnationis dominicae anno MCXXIII (1123) Pontificatus autem domni Calixti Secundi Papae anno III 189 ; - in un ‘diploma’ dell’anno 1137 dell’imperatore Lotario III, dettato in Supplimburgo 190 e rielaborato da Pietro Diacono (Ch. Cass., III, c. 17), nel quale tra i possedimenti abbaziali viene indicata “(ecclesiam)… in castro Lemisano sanctae Illuminatae…”; 187 GATTOLA E., op. cit., V, note 33 e 34. Quanto alla bibliografia sul Monastero di S. Illuminata di Limosano, riportiamo i pochi elementi indicati dal citato PIETRANTONIO (op. cit., pag. 426): - REG. M.C.: Abbazia di Montecassino; I regesti dell’Archivio: 1°, 68 n. 51 (a. 1368); 2°, 62 n. 13 (a. 1109). - GATTOLA E., Historia abbatiae Casinensis per saeculorum series distribuita, Venetiae 1733, vol. 1°, 333. - CIARLANTI G.V., Memorie historiche del Sannio, 1644, III, 222. - GALUPPI M., Note Storiche Molisane, La Donazione della Chiesa di S. Illuminata all’Abbazia di Montecassino, in IL GIORNALE D’ITALIA del 3/12/1938. - GALUPPI M., Note Storiche Molisane, La chiesa ed il cenobio di S. Illuminata, in IL GIORNALE D’ITALIA del 20/12/1938. - MASCIOTTA G.B., 1°, 276. - BLOCH H., Montecassino in the Middle Ages, Vol. 3, Roma 1986; 427 n. 60, 476, 641 n. 160, 671 b. n. 40a, 676 n. 52, 797 n. 119, 922 n. 52. 188 GATTOLA E., op. cit., pag. 333. 189 GATTOLA E., op. cit., pag. 335. 190 FABIANI L., op. cit., II, pag. 425. 116 - in altro ‘privilegium’ “datum apud Ninpham anno MCLIX (1159)” da Alessandro III nel suo primo anno di Pontificato; - in altro ‘privilegium’ “datum Laterani anno MCLXXXVIII (1188)” da Clemente III nel suo primo anno di Pontificato. Nel 1368, il 5 Luglio, da Montefiascone “Guglielmo, Cardinal vescovo di S. Sabina, uditore e commissario per le cause e gli affari di Montecassino, ai rettori etc. della diocesi di S. Marco e di altrove: li incarica di provvedere alla restituzione perché appartenuti a Montecassino:…, di alcune possessioni di S. Illuminata, prese da Antonio di Galluccio;…” 191 . “L’abbate Giovanni Aragonio, l’ultimo di tutti commenda questa Chiesa il 4 Novembre 1471 al ‘Clerico’ Giovanni Fiorillo da Mercogliano (nota: vicino Avellino) ed al ‘Clerico’ Barnaba Brancia da Sorrento l’11 Agosto 1479” 192 . Col fenomeno della ‘commenda’, e come tutti gli altri anche il Monastero limosanese di S. Illuminata, “i grandi antichi cenobi che affondavano le loro radici nell’ordinamento feudale e che erano in stretto rapporto coll’autorità politica (nota: quando, ed è il caso di Antonio di Galluccio con il cenobio di Limosano, non ne avevano subito gli attacchi ai rispettivi patrimoni), subirono una crisi più grave. (…). Per porre rimedio alla situazione di dissesto economico e di decadenza disciplinare, invalse l’uso,…, di affidare (commendare) i monasteri in difficoltà all’amministrazione di un prelato della curia o anche a qualche ecclesiastico locale bisognoso di aumentare (nota: frequenti furono i casi di ‘compra’ delle commende) le proprie rendite coi proventi delle ancor ricche abbazie, almeno quando a possessi fondiari. Le tentazioni di usare di tali proventi per i propri esclusivi interessi anziché per la restaurazione della vita monastica era assai forte e quasi tutti i commendatari vi cedettero” 193 . Ed i commendatari del Monastero di S. Illuminata non poterono non essere, e non furono, che come tutti gli altri. Durante i primi anni del XVII secolo, ad occuparsi di quel poco che ancora rimaneva dell’antico cenobio, dopo le usurpazioni di quanti avevano potuto impunemente farle e dopo gli abusi e gli interessi privati dei commendatari, era rimasto “Hercules monacus”, del quale (non sappiamo se a titolo di proprietà sua oppure dell’istituzione monastica) nel 1605 sono documentati “bona in loco Sanctae Alluminatae”. Era egli un idealista sognatore, l’ultimo, oppure, come par più vero, uno dei tanti ‘eremiti’, assai numerosi in quel periodo, opportunisti, il quale si era ritagliato nella società limosanese di allora la sua area di privilegio? Ci piace di pensare che solo per salvaguardare gli interessi dell’antico e millenario cenobio partecipasse alla “Particularium Civium multorum Terre Limosani Procuratio ad lites verbo signanter” del 26 Febbraio 1607 194 . Se, come sembra più probabile e come lasciano pensare gli elementi confrontabili con quelli dell’Inventario del 1723, il “Benef.o semplice senza cura (animarum) sotto il tit.o di _ _ _ _ Download 5.01 Kb. Do'stlaringiz bilan baham: |
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