Francesco bozza
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- 4732 – Ecclesia S. Petri de Sala solvit tar III
- S. Maria e di S. Benedetto
- 4774 – Castellucium de Lipiosano
- Casalenum Ecclesie de Sancto petro in dicto territorio limosanj et proprie ubi dicitur a San Pietro
- 3.5 - Emergenze religiose minori e tentativo di ricostruzione del paesaggio medioevale
- Casalenum ecclesie dicte de sancto vittorino
- Chiesetta
- Chiesette ’ dei SS. Giovanni
loco Maccla bona”, la “Ecclesia Sancti Benedicti de Lemisano ibidem” e la “Ecclesia Sancti Petri de Lumesano ibidem”, la quale ultima sarebbe da situare alle ‘Lame di S. Pietro’ dove di essa è ancora possibile trovare qualche pietra lasciata, in quanto inservibile, dai contadini della zona per le costruzioni delle loro ‘massarie’. Costituiva quello benedettino tra il VII ed il IX secolo “un fenomeno sostanzialmente nuovo, privo di continuità con il monachesimo dell’età tardo antica, e ciò non solo in senso materiale, ma anche ideale e istituzionale” 219 ed, ancor di più, culturale, in quanto allo spontaneismo del secondo si contrappone per quello una ‘Regola’ precisa. E, mentre la ricomposizione dell’organizzazione religiosa secolare “avveniva in maniera lenta e per di più sotto il controllo quasi totale dei duchi longobardi, è sui monasteri che si concentrò l’azione papale, e ciò non solo per diffidenza nei riguardi dei legami assai stretti esistenti tra episcopato e potere politico, ma anche perché, data la situazione di spopolamento che caratterizzava le campagne meridionali, erano i monasteri i soli a poter svolgere la duplice funzione di centri di ripopolamento e di direzione della vita religiosa” 220 . In tale contesto è del tutto evidente che le strutture cenobitiche minori diventassero sempre di più semplici strumenti a disposizione delle grandi abbazie (e non solo), divenute titolari dal 787 del privilegio dell’immunità negativa per le loro ambizioni e lotte politiche. Ed è così che “l’aggregazione ad esse di un numero sempre crescente di monasteri e di chiese, queste ultime a volte officiate da monaci eremiti o da piccoli nuclei monastici, che, si erano rivelate strumento efficacissimo di animazione religiosa soprattutto nelle campagne”, era destinata a diventare ben presto più estesa ed incisiva 221 . Alla necessità di tenere unita quella gran moltitudine di ‘dipendenze’ si deve il formarsi e la codificazione tra la fine dell’VIII secolo e gli inizi del successivo di consuetudini, che adattavano “alle esigenze di una vasta comunità, non più riunita tutta insieme sotto la guida vigile dell’abate, ma smembrata in più nuclei di diversa consistenza, i cui rettori, i prepositi, si ricongiungevano una volta all’anno, il 1° agosto, al resto della comunità. Era in quell’occasione che essi ascoltavano dall’abate quid facere, quid cavere, quid corrigere, seu qualiter sub Dei praesentia et timore cum regulari observatione vivere deberent” 222 . Una tale codificazione innovativa, ovviamente, avveniva nel pieno rispetto dello spirito della ‘Regola’, della quale, considerata la larga diffusione del monachesimo benedettino nell’area limosanese, se ne riportano le linee e le caratterizzazioni essenziali. “Poste le basi della vita cenobitica e ascetica nel prologo e nei capp. I-VII, nei seguenti capp. VIII-XVIII sono le norme della preghiera liturgica e comune, mentre i capp. XIX-XX indicano lo spirito che deve vivificarla insieme con l’orazione privata. Sistemata così la vita spirituale, si passa a stabilire l’ordinamento del monastero. I capp. XXI-XXX ordinano la 218 QUARTULLO M., op. cit., pag. 49 e seg. 219 VITOLO G., op. cit., pag. 8. 220 VITOLO G., op. cit., pag. 20. 221 VITOLO G., op. cit., pag. 21. 222 VITOLO G., op. cit., pag. 22. 123 casa nelle sue linee generali, mentre i capp. XXXI-LVII ne regolano il regime materiale. Dal cap. LVIII al LXI si tratta del reclutamento. Il gruppo seguente, capp. LXII-LXVII, dispone la gerarchia e l’ordine della comunità, le sue relazioni con l’esterno. I rimanenti capitoli, dal LXVIII al LXXII, sono delle aggiunte posteriori, intese a delucidare dei punti particolari di disciplina o di ascetica, in relazione soprattutto alla vita di comunità. Il cap. LXXIII costituisce l’epilogo. (…). Questo edificio riceve coesione e garanzia di sicurezza dal voto di stabilità. E’ con esso che san Benedetto prende decisa posizione contro il vagabondaggio e l’arbitrio individuale, i mali che affliggevano e minacciavano il monachesimo dei suoi tempi. Con esso il monaco restava fissato quasi da un’ancora spirituale nella sua via di perfezione, nel santo proposito di perseverare in monastero fino alla morte. Ed il cenobio benedettino assume così quella fisionomia giuridicamente stabile, che, mentre lo rende il modello della vita religiosa, offre alle anime un saldo riparo. (…). Ma soprattutto quest’ambiente è una famiglia,…, sotto la guida di un padre,… Colui che è il centro e cardine di questa famiglia, l’abbate,…, riunisce nella sua persona gli uffici di maestro e di padre. In questa Regola,…, è ignorata la parola,…, di superiore: chi presiede al monastero,…, ha il carattere e le funzioni di un padre (abbas = padre), non di un’autorità temuta; e l’ufficio suo, più che rigida custodia di una disciplina e mantenimento dell’ordine, è la cura delle anime. Scelto dalla comunità e canonicamente installato, la sua carica è di per sé perpetua,… Se l’autorità paterna dà consistenza e carattere a questa famiglia, il raccoglimento e la separazione dal mondo assicurano le necessarie condizioni di ambiente perché vi si possa senza impedimento attendere alla ricerca di Dio. Ogni anima,…, deve procurare ciò, tenendo, …, ad una adesione completa della propria volontà a quella del Signore, mediante l’obbedienza; al conoscimento di se stessa, nell’esercizio dell’umiltà; ad una totale rinuncia del proprio io e di ogni privato bene materiale, con la castità e la più completa povertà personale, per cui deve sperare il necessario dalla provvidenza del padre di famiglia,… Questa vita di unione a Dio si traduce nella preghiera, specialmente in quella che forma l’occupazione principale, non il fine del monaco, l’opera di Dio, cioè la preghiera liturgica comune, espressione della perfetta comunità di vita. (…). Essa dividerà la giornata del monaco insieme con il lavoro, altro elemento essenziale, che il legislatore nobilita ed estende, sì che ora et labora sarà poi nei secoli il motto sintetico della sua Regola. E se il lavoro assumerà le forme più varie secondo i tempi e luoghi, sarà però sempre tale da salvaguardare l’unica preoccupazione del Santo, quella di condurre le anime a Dio. In vista di questo fine esclusivo, la casa, come una vera domus Dei, sarà ‘saggiamente amministrata’, in modo che ‘nessuno vi sia rattristato o conturbato’. Sarà quindi necessario che l’abate, non potendo far tutto da sé, affidi ad altri ‘parte dei suoi pesi’. Se il numero dei monaci è grande, essi verranno divisi in gruppi di dieci affidati alle cure immediate di decani; uno di essi, con il nome di preposito, potrà, se proprio lo crederà necessario, coadiuvare direttamente l’abate e farne le veci. La Regola enumera pure altre cariche, i cui ufficiali attualmente disimpegnano anche le attribuzioni degli antichi decani: il cellario, che avrà cura di tutti i beni temporali ‘quasi padre per tutta la comunità’; il maestro dei novizi, ‘un seniore pieno di sollecitudine’ nell’esaminare le disposizioni dei candidati; il forestario ‘la cui anima sarà piena di timore di Dio’; l’infermiere anch’egli fornito di timor di Dio; il portinaio ‘un vecchio saggio a cui l’età impedisce di vagabondare’. Tutti questi incarichi vanno esercitati secondo le direttive date dall’abate, il quale può rimuovere ciascuno dall’ufficio, qualora lo creda. Oltre questi aiuti, l’abate ha quello di una duplice categoria di consiglieri. (…). Nei casi ordinari l’abate chiederà il parere dei seniori tra 124 i fratelli, i quali costituiscono quasi il senato del monastero. Ma nelle questioni più gravi tutti, come è naturale in una famiglia, saranno chiamati a consiglio. Così il potere discrezionale e paterno dell’abate viene soprannaturalmente temperato e la forma di governo cenobitico,…, appare come un felice equilibrio fra quella monarchica, oligarchica e democratica. Da questa società nessuna età, nessuna condizione o razza è esclusa:…, tutti vi possono trovar posto,… Alla professione, pubblicamente fatta nell’oratorio con la esplicita promessa della stabilità, obbedienza e conversione di costumi, o conversazione, va premesso un anno di noviziato, in un locale separato, e vi si leggerà per tre volte per intero la Regola. I fanciulli (oblati) sono offerti dai genitori. (…). La diffusione di questa società, ossia la propagazione della Regola fu enorme” 223 . Circa l’alimentazione dei monaci, evolutasi di molto nel corso dei secoli e sicuramente migliore e più abbondante rispetto alla gente comune, va detto che la ‘Regola’ di san Benedetto proibiva in modo assoluto l’uso della carne di quadrupedi, mentre consentiva, ma solo implicitamente, il consumo di quella dei volatili (polli, pollastri e galline, capponi, oche e papere, anatre, piccioni e colombe); nel periodo quaresimale però anche tale consumo era severamente proibito. L’uso del grasso animale (lardo) non turbava l’etica alimentare monastica, solo nei periodi di astinenza imposta veniva utilizzato l’olio di oliva. Assai diffuso era il consumo delle verdure. Quanto ai tre complessi cenobitici della ‘Maccla bona’, che, pur indipendenti l’uno dall’altro, quasi certamente dovettero essere collegati tra di loro, essi, sin dall’VIII secolo e per un periodo molto lungo, rappresentarono per gli abitanti della zona organismi notevoli di direzione religiosa, di produzione agricola e di organizzazione sociale. Lo lascia ben intendere quella espressione (“curtem Sancte Marie in Sala”), con cui una di esse veniva indicata dalla bolla, databile tra il 1153 ed il 1154, di Papa Anastasio IV, specialmente se al termine ‘curtis’ deve essere correlato “non quel particolare tipo di conduzione dell’azienda agraria diffusissimo nell’Europa carolingia e noto appunto come sistema curtense, ma soltanto la vecchia grande proprietà fondiaria, coltivata in gestione diretta dal proprietario attraverso il lavoro di servi senza terra propria (definiti nelle fonti famuli, prebendari o mancipia), magari stanziati sul fondo in nuclei familiari (le cosiddette condome)” 224 ; ossia quella “vecchia grande proprietà fondiaria”, nella quale si erano andati evolvendo i latifundia e le ville del periodo tardo romano e che sta passando nella gestione dei monasteri. Non parve vero all’Abbazia di Montecassino di potersi agevolmente inserire nello scontro della seconda metà del secolo X (v. paragrafo 3.3) tra il Principatus beneventano ed il Clero secolare nell’area del medio Biferno quando, nel 972, oltre a raggiungere senza contropartita alcuna un obiettivo politico, assai importante, rappresentato dalla presenza in un’area territoriale dove era sempre rimasta assente, poté impadronirsi anche della giurisdizione su una “vecchia grande proprietà fondiaria”. Si era nel mese di Settembre del 972, quando, spinti soprattutto dal timore di incursioni saracene, “allo stesso modo furono offerte a questo Monastero tre Chiese, (situate) in Limosano, e cioè Santa Maria, San Pietro e San Benedetto nella località ‘Maccla bona’, con tutte le cose e le pertinenze delle stesse Chiese” 225 . 223 BUCCI S., op. cit. pag. 46 e segg. 224 FIGLIUOLO B., Il Molise dalla caduta dell’impero romano all’età angioina, Dispensa inedita, 1992, pag. 4. Fondamentali, per chi voglia approfondire le conoscenze sull’organizzazione religiosa e sociale in epoca alto medioevale, gli studi, veri classici sull’argomento, di DEL TREPPO M. e specialmente “La vita economica e sociale di una grande abbazia del Mezzogiorno: San Vincenzo al Volturno nell’alto medioevo” (in ASPN, 1955). 225 Chronicon Cassinense, II. “… eodem modo oblatae sunt huic monasterio tres ecclesiae in Lumisano, id est Sancta Maria, Sanctus Petrus et Sanctus Benedictus in loco Maccla bona, cum omnibus rebus et pertinentiis earundem ecclesiarum”. 125 E che fosse assai grande l’interesse politico di Montecassino verso l’ambito territoriale del medio Biferno, dove si sta vivendo un lungo periodo di contrasti politici e dove è da “presumere che sia esistita un’unità amministrativa a sud della contea longobarda di Trivento che occupa la media valle del fiume” 226 e che non può non rappresentare anche una entità politica, lo dimostrano le riconferme della sottomissione dei tre cenobi dopo circa un cinquantennio. Queste, fatte nel lasso di tempo durato pochi mesi e singolarmente, sono la “Oblatio Amiconis presbyteri de Sancta Maria in Lumesano loco Maccla bona” del Giugno 1019, la “Oblatio Richardi presbyteri de Sancto Petro ibidem” pure del Giugno 1019 e la “Oblatio Berardi et Amiconis presbyterorum de Sancto Benedicto de Lumesano” del Marzo 1020 227 . In seguito, dopo la riconferma a Montecassino con la ‘bolla’ di Anastasio IV, della quale già è stato riferito, occorre aspettare le ‘Rationes Decimarum’ per altre notizie sui tre cenobi della ‘Maccla bona’, situati tra Castelluccio di Limosano ed il corpo feudale de ‘la Sala’. A Benevento: “4732 – Ecclesia S. Petri de Sala solvit tar III” nel 1308-1310 228 . A Trivento: “4928 – Monasterium S. Johannis de Macla (solvit) tar XV”; 5018 – Clericis de S. Blasio de Macla Bona (solvunt) tar VIIII” 229 . La decadenza del complesso badiale di S. Pietro, che a Benevento, in quanto ricade nel tenimento di Limosano, paga solo “tre tareni”, deve essere imputata ad un possibile evento di dissesto idrogeologico, del quale rimane traccia nel nome della contrada, in cui situava e che attualmente è ‘le Lame di San Pietro’. Alle altre due strutture monasteriali di S. Maria e di S. Benedetto viene assegnata (secondo una prassi non rara ed abbastanza consolidata nelle cose della Chiesa del basso medioevo) una nuova e diversa titolazione (S. Giovanni e S. Biagio), probabilmente nel momento in cui entrambe passano nella giurisdizione della diocesi di Trivento, dalla quale non certo casualmente dipende anche “4774 – Castellucium de Lipiosano (che paga) tar IIII.or” 230 . Ed in effetti nella ‘bolla’ di Papa Alessandro III, data da Ferentino il 9 Aprile 1175, la Chiesa di S. Benedetto risulta assegnata alla diocesi di Trivento con le seguenti parole: “… concludens usque ad oppidum Ferrarii, quod est finis eiusdem episcopatus; ascendit denique finis eiusdem usque ad ecclesiam Sancti Benedicti de Maccla bona, que est tui episcopatus, …” 231 . 226 DE BENEDITTIS G., Fagifulae: Repertorio… cit., pag. 36. 227 HOFFMAN H., Chronik und Urkunde von Montecassino, in Quellen und Forschungen, LI (1972) da pag. 93 a 260, pag. 122 e seg. L’Hoffman riferisce anche di una ‘Oblatio Johannis presbyteri de rebus suis in Sancto Johanne et Paulo de Limosano’ del marzo 1012. Circa le località indicate in tale documento: 1) ‘Sancto Joanne’ potrebbe essere identificato o con ‘San Giovanni della Serra’, che era assai vicino alla ‘Maccla bona’, oppure con ‘Santo Janni’, che, come contrada, esiste ancora, ma in prossimità dell’attuale abitato e, perciò, in posizione più lontana rispetto alla stessa ‘Maccla bona’; in entrambe le località esistevano (ASC, Not. Di Rienzo Giovanpietro di Fossaceca, atto del 17 Agosto 1595), nel XVI secolo, dei “casalenum ecclesie (= cappelle di campagna)”; 2) ‘Sancto Paulo’ potrebbe ben essere identificato con quella Chiesa di S. Paolo, dei cui ‘Clerici’ si parla al f. 190 della citata Collectoria t. 61 dell’Archivio Vaticano e che la vicinanza con la contrada ‘Santo Janni’ porta a localizzare là dove successivamente sorgerà il Monastero celestiniano di S. Pietro prima e, poi, di S. Maria della Libera. Tornando ai cenobi della ‘Maccla bona’, il DE BENEDITTIS (op. cit., pag. 36) aggiunge che “secondo il Bloch (BLOCH H., Monte Cassino in the Middle Ages, 3 voll., Roma 1986, II, pag. 797) le tre chiese di S. Benedetto, S. Pietro e S. Maria sarebbero da collocare nella contrada Macchia bona (nota: inesistente), presso Limosano”. Al contrario, nella zona vi è una contrada, le “Macchie Colucci”, che, come toponimo ed almeno in parte, ben potrebbe far pensare alla ‘Maccla bona’. L’opera del Bloch risulta molto interessante anche per approfondire le notizie e la conoscenza sul Monastero di S. Illuminata (v. nota 44). 228 INGUANEZ-…-SELLA, op. cit. 229 SELLA P., op. cit. 230 SELLA P., op. cit. 231 KEHR P.F., op. cit. in nota 72, V, pag. 575. 126 Gli importi dovuti da questi ultimi due complessi monastici (S. Giovanni e S. Biagio) li fanno ritenere, ancora nei primi anni del XIV secolo, di rilievo e con a disposizione consistenti patrimoni fondiari. Da allora più nulla. Se non che, nel 1595 232 , ridotto a semplice ‘beneficium’, esisteva ancora un “Casalenum Ecclesie de Sancto petro in dicto territorio limosanj et proprie ubi dicitur a San Pietro”. Di esso e di ben altri cinque ‘beneficia’, con altrettante cappelle il nuovo ‘beneficiato’, il “Reverendus D.nus Toma de aloijsio terre sancti angeli limosanj”, il 17 di Agosto prende possesso. 3.5 - Emergenze religiose minori e tentativo di ricostruzione del paesaggio medioevale Da una ‘captio possessionis’, più volte citata, del 17 Agosto 1595, stipulata “in territorio limosanj… et proprie ubi vulgo dicitur lo laco maiure” (che da un documento coevo risulta ancora pieno di acqua) sappiamo che: “Ad preces nobis factas pro parte Reverendi d.ni Tome de aloijsio Archipresbiterj terre sancti angeli limosanj nec non et per reverendum domnum Angelum de rubeis dicte terre limosanj personaliter accessimus et nos contulimus ad sub.tta beneficia, ut infra nuncupata sita in territorio limosanj et… ab uno ad aliud que beneficia sunt: in quodam Casalenum ecclesie dicte de sancto vittorino situm et positum in territorio limosanj et proprie ubi dicitur lo laco maiure super quodam magno saxo iuxta eius fines et ab eo in quodam aliud Casalenum ecclesie dicte de santa Justa in dicto territorio limosanj et proprie ubi vulgo dicit le macchie iuxta eius fines et ab eo in Casalenum sancti Joannis bapta et Evangeliste situm etiam in dicto territorio limosanj et prope dictam viam ubi dicitur a santo Janne, et ab eo in Casalenum ecclesie dicte de Sancto petro in dicto territorio limosanj et proprie ubi dicitur a san pietro iuxta eius fines et ab eo in Casalenum ecclesie dicte de santo Joanne della serra in dicto territorio limosanj et proprie ubi dicitur la serra iuxta eius fines et ab eo in Casalenum ecclesie dicto de santo leone situm in dicto territorio limosanj et proprie ubi dicitur la piana santo leo iuxta flumen bifernj et Confinia a terra limosanj et feudi Casalis de Castell(ucci).o terre fosse. Omnia p.tta beneficia sine Cura et beneventane diocesis” 233 . La ‘Chiesetta’ del primo di tali ‘beneficia’, quello di S. Vittorino, che (come già si è visto per S. Illuminata, S. Silvestro e S. Martino) era pur essa posta “super quodam magno saxo (= sopra una ‘Morgia’)” a “lo laco maiure”, quasi certamente, e così come lascia intendere la toponomastica fortemente corrotta nell’etimo, dovrebbe essere quella eretta sopra ‘la Morgia 232 ASC, Protocolli notarili, Not. Di Rienzo Giovanpietro di Fossaceca (Fossalto), atto del 17 Agosto 1595. V. nota 84. 233 V. nota 89. “Per le preghiere fatteci per parte del Reverendo Don Tommaso de Aloisio Arciprete della Terra di S. Angelo Limosano e per mezzo del Reverendo Don Angelo de Rubeis della suddetta Terra di Limosano accedemmo e ci portammo ai sottoindicati ‘beneficia’, come sotto chiamati, siti nel territorio di Limosano e da uno all’altro tali benefici sono: (ci recammo) in una tal ‘Cappella’ detta di S. Vittorino, sita e posta nel territorio di Limosano e precisamente dove si dice ‘lo laco maiure’ sopra una certa grande pietra presso i suoi confini; e da essa (ci recammo) in una tal ‘Cappella’ detta di S. Giusta nel predetto territorio di Limosano e propriamente dove la gente chiama ‘le macchie’ presso i suoi confini; e da essa (ci recammo) alla ‘Cappella’ dei SS. Giovanni Battista ed Evangelista, pure sita nel predetto territorio di Limosano e presso quella strada dove si dice a ‘Santo Janne’; e da essa (ci recammo) alla ‘Cappella’ detta di S. Pietro nel predetto territorio di Limosano e precisamente dove si dice a ‘S. Pietro’ presso i suoi confini; e da essa (ci recammo) alla ‘Cappella’ detta di S. Giovanni della Serra nel predetto territorio di Limosano e propriamente dove si dice ‘la Serra’ presso i suoi confini; e da essa (ci recammo) alla ‘Cappella’ detta di S. Leone sita nel predetto territorio di Limosano e precisamente dove si dice ‘la Piana Santo Leo’ vicino al fiume Biferno ed ai confini tra la Terra di Limosano ed il feudo del Casale di Castelluccio della Terra di Fossa(ceca). Tutti i predetti ‘beneficia’ (sono) senza cura e della diocesi beneventana”. 127 di Santa Luttrina’; il posizionamento e, mancando ogni altra indicazione, solo quello la vorrebbe molto antica. Anche la ‘Chiesetta’ del beneficio di Santa Justa, il cui culto nel territorio molisano (v. Palata, Baranello,…) era discretamente diffuso lungo i percorsi tratturali almeno dal IX-X secolo, probabilmente deve farsi risalire a quel periodo; era situata a ‘le macchie’ nei pressi dell’incrocio tra la strada che portava a Dirriporri ed a Ferrara e l’altra che dal Ponte, passando al margine del bosco, risaliva sino a Montemarconi ed a Cascapera. Delle ‘Chiesette’ dei SS. Giovanni a ‘Santo Janni’ e di S. Pietro, così come anche di quella Download 5.01 Kb. 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